Si
è negato che i Siciliani siano veramente religiosi; sarebbero uomini
di poca fede. La ricchezza e la varietà delle feste e dei riti
religiosi, delle tradizioni devozionali sarebbero la trasfigurazione di
atteggiamenti e di sensibilità spiccatamente materialistici, il
teatro in cui vanno in scena le diverse sfaccettature della loro
psicologia.
La religiosità dei Siciliani sarebbe un fatto puramente
esteriore, espressione delle passioni umane e delle paure che
tormentano
l'animo. Richiesta di aiuto e di grazie, esorcismo della morte; una
religiosità di santi e di madonne, di appartenenza e quindi di
sicurezza: devoto di, confrate di etc,. Una religiosità priva di
spiritualità e con pochi slanci di generosità. Una religiosità incline
alla mestizia o al furore, ma non alla gioia.
L'anima dei Siciliani, segnata dai confini dell'egoismo e della
diffidenza, non conoscerebbe la trascendenza, la proiezione nel futuro:
un fosco o rassegnato immanentismo sarebbe il loro orizzonte religioso.
E in tanti secoli di storia niente sarebbe cambiato.
E' vero. La storia religiosa della Sicilia non è ricca di santi, nè di
papi, nè di teologi, nè di innovazioni spirituali. Le novità sono
venute sempre da fuori, non sono scaturite da processi autoctoni di
vitalità religiosa.
La religione cristiana non avrebbe avuto una grande influenza
sull'animo dei siciliani, non l'avrebbe nè diretto nè tantomeno
migliorato. Anzi in mano ai peggiori è stata strumento per sanzionarne
il loro potere e il loro dominio sulla società a danno dei pochi
spiriti eletti, che avrebbero potuto migliorare la qualità della vita e
della società siciliana. A risollevare le sorti della religiosità dei
Siciliani non poteva tornare utile il secolare e
strettissimo rapporto tra potere statale e chiesa; non è stata un
perpetuo canto alla grandezza e alla misericordia di Dio.
Il mio convincimento è che questo genere di ragionamento non valga solo
per i Siciliani; che ci sia tanto volterianesimo, tanto
illuminismo da salotto; che ci sia tanta affabilità e
sufficienza da signori. Un discorso fondato su spezzoni di
antropologia e di sociologia di tipo intuitivo.
A considerare bene le cose e a dir la verità c'è stata poca religiosità
nella stessa storia del cristianesimo; forse perché nella sua purezza,
quella che ci piace apprezzare, la religiosità è un'esperienza
elitaria. Le religioni come fenomeno sociale finiscono sempre per
adeguarsi ai costumi di un popolo; danno qualcosa e molto ricevono nei
vari paesi in cui vengono professate. Per restare nell'ambito del
Cristianesimo mi pare di vedere una differenza tra ciò che era prima di
diventare religione di Stato e dopo; tra ciò che era quando si poteva
definire un'espressione del mondo mediterraneo e quel che divenne
quando, ritiratasi o cacciata dal suo luogo di nascita, si è sviluppata
nei popoli del Nord e dell'Est Europa.
C' è nel Cristianesimo sia una tensione verso la rivolta nei
confronti del mondo circostante, sia una tensione verso
l'accomodamento per utilizzarne le convenienze o addirittura per
ridurlo a misura delle proprie intenzioni. E in diverso modo questo mi
pare sia avvenuto dappertutto e quindi anche in Sicilia.
Quando ripenso all'educazione ricevuta, agli slanci di generosità e di
umanità di tanta gente che conosco,allo spirito di dedizione e di
sacrificio di tanta umile gente, alla loro dignità, mi sembra molto
difficile che non ci sia stata una qualche influenza positiva
della presenza del Cristianesimo nella società e che questa sia
riducibile a semplice funzione degli interessi dei ceti dominanti.
C'è una storia religiosa della Sicilia post-unitaria che smentisce se
non tutti, almeno alcuni di quelli che sembrano essere dei pre-giudizi:
la costituzione delle casse rurali, la guida politica di parte
del mondo contadino, la costituzione di congregazioni religiose
dedite al servizio dei poveri (Boccone del Povero, Annibale di Francia)
e in tempi recenti la lotta contro il fenomeno mafioso.
Il mondo cambia: anche in Sicilia.
prof. Raimondo Giunta