Si pensava di
cambiare il mondo, perchè si cercava di cambiare la scuola. Storia che
appartiene in modo particolare alla generazione che con
entusiasmo prendeva, agli inizi degli anni '60, la strada che
portava all'insegnamento. Erano tempi in cui con lo stipendio di
insegnante si poteva pagare il mutuo e mantenere il figlio
all'Università; erano tempi in cui si potevano con la laurea scegliere
più strade e non solo quella dell'insegnamento.
Una generazione preziosa alla quale non è stata riservata
la gratitudine per avere con poco e solo con le proprie forze tenuto a
galla il sistema scolastico per alcuni decenni. Una generazione che ha
creduto alla funzione emancipatrice e liberatoria
dell'istruzione. Si diceva: l'operaio conosce cento parole, il padrone
mille ed è per questo che comanda. Si poteva insegnare nei licei e
tanti invece sono andati nelle medie per sostenerne la riforma da
poco approvata, anche se si guadagnava di meno.
Gli anni sono passati per tutti e anche per la scuola,che lentamente
anche per stanchezza è tornata ad essere uno strumento di
stabilizzazione e di conformismo; tradito dalle forze politiche
l'impegno per riforme che non arrivavano mai; finito l'entusiasmo degli
insegnanti di essere i protagonisti della promozione sociale e
culturale delle nuove generazioni, che con grandi
aspettative entravano per la prima volta nel sistema scolastico; persa
la partita della mobilità sociale, la scuola poco alla volta ha ripreso
la funzione di esclusione sociale.
Le sono venute a mancare le energie, le passioni che
l'avevano spinta ad andare sempre avanti nell'apertura alla
società, nel cancellare le barriere di ogni genere di segregazione,
nella sperimentazione di nuovi metodi di lavoro e di valutazione, di
nuovi linguaggi. Le è venuta meno la consapevolezza di non essere nè
innocente e nemmeno neutrale nel rapporto con l'assetto
economico-sociale dato.
Oscurato e trascurato l'orizzonte della promozione umana, è
cominciata la lunga stagione delle innovazioni imposte dall'alto,
pensate in sostituzione di un grande disegno riformatore e animate da
prevalenti intenzioni di economicità e di efficienza. Innovazioni
che così com'erano non potevano incrociare le passioni civiche
che avevano animato per due decenni l'impegno professionale dei
docenti: hanno creato, invece, conflitti e disagio per la scoperta
volontà di ridimensionare gli aspetti democratici della scuola uscita
dai decreti delegati. Una scuola di pari e senza padroni. Una scuola
della libertà e dell'inclusione.
Invece di andare verso il rafforzamento della democrazia di
un'istituzione, che si dichiara ancora comunità educativa,
e della responsabilità educativa del docente ci si è incamminati per un
drastico ridimensionamento degli spazi di confronto professionale, come
se l'autonomia intellettuale dei docenti fosse la causa della crisi del
sistema scolastico e non invece il suo rimedio.
E' iniziato con questo genere di innovazioni l'operazione ingannevole
di far credere che la crisi del sistema di istruzione e
formazione fosse di tipo organizzativo e non di natura
gnoseologico-culturale. A questa strisciante opera di deligittimazione
della funzione docente si sono progressivamente accompagnati il
declassamento sociale e la perdita di prestigio sociale, di cui nessuno
si è curato,nemmeno i sindacati che lo dovrebbero fare per mestiere.
Precipitati negli inferi della sopportazione sociale e del
disprezzo,alimentati da scriteriate campagne di stampa
e giustificati dai provvedimenti stessi dell'amministrazione, per
molti insegnanti la vita a si è trasformata in una faticosa
e sofferta routine ,incapace di inventare idee e modi per illudere e
per illudersi.
In molti luoghi e per tantissimi insegnanti ed alunni la scuola ha
perso fascino e credibilità. Invece di spalancare le finestre,di fare
respirare l'aria fresca della libertà e della responsabilità, per
semplice e consapevole sadismo si continua a rendere più soffocante il
clima interno e per tacitare le rane nello stagno si minaccia di
mandare il drago, che farà strame dell'impertinenza dei docenti,
dell'indisciplina degli alunni, della petulanza dei genitori. Il padre
padrone che si inventa il curriculum, che chiama gli insegnanti, li
giudica, li promuove o li condanna. Anche se vengono da concorsi
truccati o sub-iudice, anche se si fa scempio della costituzione, anche
se non si sa per quale genere di società la scuola dovrebbe lavorare.
Com'era bella e libera la scuola dei decreti delegati; come si
poteva non amarla? E questa che dovrebbe venire come si fa a non averne
orrore?
prof. Raimondo Giunta