A
distanza di molti anni rimettiamo in vetrina la "Cucina Verticalista"
(nel contesto di una mostra d'arte). Si tratta di un processo di
sensazioni-espressioni "nuove" e "alte" che fanno vibrare le corde più
sottili del gusto e dello sguardo a un tempo: un vero inno del
Possibile nel divenire della creatività e del costume. "La Cucina
Verticalista è un attentato agli occhi, alla gola, all'utero. Una vera
conquista della propria vista, attimo per attimo attraverso un darsi e
un ricevere. Alla fine si è; anche per via dei ricordi che emergono
come storia mai assopita, anzi multiplata nel teatro della vita in
continuo divenire. In questo preciso momento penso al petit madeleine
di Marcel Proust e alla sua forza evocatrice dirompente che subito
riporta al capolavoro Alla ricerca del tempo perduto".
"I nostri dolciumi sono segni sinergici che attraversano i confini
della geografia, validi a creare una potente memoria nei palati
dell'umanità". "Il flusso delle nostre bevande stimola "oltre" i
neuroni con effetti speciali che si precisano in uno sguardo arricchito
e tagliente". "I liquori e i vini verticalisti sono l'ectoplasma di
racconti interrotti. Come tutto ciò che è siciliano. Riprendere il
corso degli eventi è il nostro 'amaro in bocca' che ci illumina".
Da tutto ciò se ne ricava che la "cucina" è sì necessità ma anche
passione, arricchimento, felicità, comunità, libero spazio d'amore per
gli altri e per se stessi, unione di popoli... E' il "campo di
possibilità" la nostra energia, la nostra espansione.
Nessuna "religione gastronomica italiana" (di antica memoria); ma
neanche nessuna "esclusione" e nessun "attacco" a priori per
particolari ingredienti. L'alimentazione sotto tutti gli aspetti è una
forma di linguaggio strettamente legato al pensiero, alla filosofia.
C'è una estetica una semiotica del cibo (dall'aspetto visivo al gusto
all'olfatto al tatto al rito...) che sempre più guarda alla memoria, a
una comunicazione senza confini, a una società superorganica
multiculturale.
In modo assoluto non condividiamo le parole che Platone fa dire a
Socrate: "Ti pare che un vero filosofo possa curarsi di piaceri come
quelli del mangiare e del bere?". Contrariamente, Aristotele precisa,
nella Metafisica, che la filosofia nasce quando l'uomo ha soddisfatto
le sue necessità essenziali. Nietzsche (teorizzatore del superuomo)
aveva un'intensa passione per il cibo, soprattutto per le salsicce e i
prosciutti. In Ecce homo si legge: "La cucina piemontese è la mia
preferita". Kant amava la buona cucina che condivideva con tanti
commensali: non meno di tre (le Grazie) e non più di nove (le Muse). La
Mattrie amava consumare pasti incredibilmente enormi. La sua morte
viene associata a una indigestione. Marx era un grande bevitore.
E ancora nella letteratura eno-gastronomica troviamo Seneca, Lucrezio,
Dante (Convivio), D'Annunzio (Il piacere), Joyce (Ulisse), Lévi-Strauss
(Triangolo culinario), Hemingway, Flaubert, Henry Miller, Giuseppe
Tomasi di Lampedusa... Per Gesù tutti gli alimenti sono puri (Vangelo di
Marco). Ma tutta La Bibbia è pregna di argomenti e riti che fanno
riferimento al cibo. Singolare è il legame che il grande Leonardo da
Vinci ebbe con la cucina. Prima cameriere poi capocuoco, creatore di
pietanze ed esperto di spezie, inventore di attrezzi per la cucina,
cerimoniere di banchetti per nobili (celebre quello per le nozze
tra Isabella D'Aragona e Gian Galeazzo Sforza). Per finire, altra
curiosità: insieme con Botticelli (altro grande artista che conobbe
nella bottega del Verrocchio) apre la Taverna "Le Tre Rane di Sandro e
Leonardo". E via elencando.
In questa esposizione sono presenti gli artisti: Filippo Liardo,
Rosario calì, Rosario Platania, Guglielmo Pepe, Salvatore Barbagallo,
Benito D'Accampo, Giovanni Compagnino, Vito Guardo, Salvatore Spatola,
Anastasia Guardo, Katia Caruso, Vera Ambra, Rosa Buccheri, Antonio
Timpanaro, Katia Aquilotti, Antonino Battistini, Cris Minoldi, Orazio
Gangemi, Nunzio Papotto, Santo Biff, Salvatore Commercio.
commerciosalvatore@gmail.com