Ancora oggi su
internet si possono leggere le cartoline che i prigionieri
austroungarici mandavano alle famiglie dai campi di concentramento
siciliani: Palermo, Catania (il castello Ursino), Milazzo, Piazza
Armerina, Noto ed altri. Qualcuna la troviamo anche nella mostra di
guerra allestita a Sutera dal museo etnologico comunale.
Ma il campo più grande era, insieme a quello dell'Asinara, quello di
Vittoria (RG), in grado di ospitare nelle sue baracche fino a
cinquemila prigionieri. L'estrema lontananza dalla linea di confine
rendeva improbabile una fuga ed un ritorno a casa. Anche perché il
campo di Vittoria, come i campi nemici che ospitavano prigionieri
italiani, battevano moneta propria, spesso firmata dal comandante del
campo: come un governatore della Banca d'Italia. In tal modo, anche
arrivando alla stazione, non eri in grado di pagarti il viaggio verso
casa. Oggi le monete del campo di Vittoria hanno un costo per i
collezionisti intorno ai cinquecento euro. I prigionieri potevano
comprare prodotti di prima necessità solo all'interno del campo. Se
volevi comprarti il biglietto di ritorno a casa in treno, alla stazione
si mettevano a ridere.
Il preside La Ferla parla, in una sua pubblicazione, delle baracche del
campo di Vittoria, 37 in tutto, che purtroppo furono abbattute. Ne sono
rimaste solo quattro e in una é ospitato il museo italoungherese, con
visite frequenti di delegazioni che vengono ad onorare, specie a
novembre, la memoria dei caduti. Durante l'epidemia spagnola del 1918,
con cinque milioni di vittime in Europa, a Vittoria morirono 118
prigionieri sepolti all'interno del cimitero. Il Comune ha regalato il
terreno su cui sorge oggi la cappella costruita dal governo ungherese
con incisi i nomi dei prigionieri deceduti.
Ai prigionieri non solo veniva concesso di lavorare dentro, ma spesso
erano richiesti con insistenza dai privati nelle botteghe artigiane,
soprattutto nei campi rimasti abbandonati. E venivano anche pagati,
come previsto da una convenzione internazionale che garantiva un
trattamento di reciprocità tra le nazioni in guerra. La manodopera dei
prigionieri serviva anche a calmierare il mercato.
E così anche i comuni dell'interno cominciarono a chiedere manodopera.
Nel luglio 1916 il Sindaco di Sutera, Salvatore Castelli, fa una
richiesta di 100 prigionieri dal campo di Vittoria per la nuova
stagione agricola. I proprietari lamentavano la mancanza di lavoratori
partiti per il fronte ed i pochi rimasti avevano ottenuto prezzi più
alti. In precedenza il segretario comunale aveva cercato di convincere
nel circolo agrario i possidenti, ma questi si erano mostrati
diffidenti. Ma ora sanno che nei comuni viciniori hanno dato buoni
risultati.
La trafila burocratica è difficile e faticosa anche per un sindaco: non
si trova mai l'ufficio giusto, ti rimbalzano da un posto all'altro.
Passa il tempo ed anche i telegrammi, cresce il carteggio. Finalmente
individua l'ufficio competente e riceve la risposta sospirata. Ma, dice
l'interlocutore, posso dartene solo cinquanta, la metà di quanto
chiesto.
In realtà non sono pochi. Il Sindaco era un buon negoziatore, aveva chiesto
molto per ottenere meno. Arrivati al dunque, deve quantificare il suo
bisogno reale : ne servivano solo quarantacinque!
E per dimostrare la sua buona volontà, dichiara di accettare in
anticipo tutte le condizioni: una paga di £ 0,25 l’ora, di fornire il
chinino, la paglia per dormire, vitto secondo gli usi locali, legna da
ardere e quanto occorre per l’igiene, l'acqua da bere e per le pulizie,
cappelli di paglia grandi e attrezzi di lavoro, mezzi di trasporto se
il luogo di lavoro dista più di 3 km dalla residenza.
Pochi gli obblighi per il prigioniero, che ha l’obbligo di consumare
sul posto di lavoro solo uno dei pasti giornalieri.
La documentazione, insieme a materiale di scavo proveniente dai campi
di battaglia, è esposta nella mostra per il centenario del museo
etnologico comunale di Sutera, CL, visita gratuita da concordare col
l'ufficio turistico, tel. 0934 954929, oppure chiamando il 3206226661.