Anche in pieno trionfo della multimedialità, il web è un luogo pieno di parole. Leggere è l'attività più importante che svolgiamo in rete, eppure sembra che tutti noi cerchiamo di leggere il meno possibile. Questo ci dicono le tante ricerche sui comportamenti di fronte a uno schermo. Dati a parte, ognuno di noi si riconosce nella lettrice o nel lettore irrequieto, che sorvola la superficie del testo alla ricerca di un segnale: un titolo promettente, una parola che catturi l’attenzione e gli dica "Fermati, qui si parla di qualcosa che ti interessa." Nei circa vent’anni che ormai abitiamo il web – non ce ne siamo quasi accorti ma i "nuovi media" si sono fatti maggiorenni – quel che è cambiato davvero non è tanto la scrittura, quanto la lettura. Ed è da qui che possiamo ripartire per capire cosa rende un testo sul web leggibile e chiaro. Una chiarezza cui contribuiscono più elementi rispetto a quelli che siamo abituati a considerare in un testo sequenziale su carta.
Un testo plastico, come un bassorilievo
Di fronte all'abbondanza del web siamo per forza diventati lettori-esploratori. Per decidere se una pagina ci interessa e merita il nostro tempo e la nostra attenzione, la esploriamo prima velocemente con gli occhi in lungo e in largo. Non leggiamo parola per parola ma cerchiamo "segnali" che ci facciano fermare e ci diano degli indizi. Per il guru dell'usabilità Jakob Nielsen i nostri occhi sono attratti soprattutto da:
• titoli e sottotitoli
• grassetti e corsivi
• parole tra virgolette o tra parentesi
• parole particolarmente lunghe
• parole con l'iniziale maiuscola all'interno del testo
• parole in colore
• link
• parole vicine ai link
• numeri in cifre
• simboli
• voci di una lista come questa.
Una mappa visiva di solo testo, insomma, prima da guardare e poi da leggere. Un testo "plastico", proprio come un bassorilievo, in cui anche lo spazio bianco gioca la sua parte. Perché, aggiungiamo, tutte le parole che confinano con lo spazio si vedono meglio, come se ci puntassimo una luce sopra, anche senza evidenziarle con un font diverso o con il grassetto. È il caso di tutte le parole che inaugurano e chiudono un capoverso, la vera unità di misura del testo digitale. Organizzare e scrivere il testo per la lettura esplorativa, creare un itinerario per gli occhi del lettore, è la condizione per assicurarsi la lettura più concentrata e profonda. Non di tutto, ma almeno di buona parte, perché molto raramente una pagina viene letta per intero.
Lo schermo è una finestra
Che sia la finestrina dello smartphone o quella più ampia di un personal computer, non vedremo mai il testo per intero, non riusciremo ad abbracciarlo con lo sguardo come la pagina di un libro o di un giornale, né a sfogliarlo rapidamente per avere un'idea complessiva del contenuto. Ne vedremo solo un pezzetto alla volta, staccato da tutto il resto. Se poi leggiamo su un tablet, le cose cambiano ancora: con un gesto veloce possiamo ingrandire e vedere meglio, ma perdiamo ancora di più il contesto. Per questo uno degli elementi di chiarezza di un testo digitale è la modularità: blocchetti brevi, autonomi, meglio se con un titoletto. A colpo d'occhio i titoletti costituiscono quasi un livello di lettura a sé, assecondano la lettura esplorativa e anticipano i contenuti della pagina. Letti uno per uno, si incastonano nella finestra dello schermo e ricordano il contesto.
Ogni buona regola ha le sue eccezioni
Il modello modulare con titoletti funziona benissimo per i siti giornalistici, informativi e di servizio, ma ha mille creative eccezioni. Tutti noi conosciamo siti di grande successo con testi lunghissimi. Un esempio? Il popolarissimo Brain Pickings, che ha fatto della content curation una vera e propria arte. La sua ideatrice, Maria Popova, scrive testi chilometrici e contraddice anche la famosa regola della "piramide rovesciata", che sui giornali e sui siti vuole la cosa più importante, la notizia, al primo posto. Lei la prende molto alla larga, ma riesce a catturarci lo stesso grazie a incipit dalla sintassi sinuosa, a un buon numero di bellissime immagini e a titoli avvincenti e misteriosi – Se William Shakespeare avesse scritto Guerre Stellari.
Il titolo è tutto!
Sì, perché è sempre la prima cosa che si vede, spesso l'unica. E qui ci confrontiamo con una differenza profonda rispetto alla carta, di cui spesso non siamo consapevoli. In un giornale, in un libro, nel verbale della riunione che esce dalla stampante, il titolo è fisicamente vicino al testo. Leggo l'uno e passo all'altro. Sul web, sempre più spesso invece il titolo è solo ad annunciare un testo che non vediamo: nello strillo in home page, nei risultati dei motori di ricerca, negli aggregatori di feed, in un tweet. A quelle poche parole sono affidati compiti immani: informare, incuriosire, far immaginare, convincere a cliccare. Esercitarsi nei titoli, curarli e non finire di limarli è l'attività più importante dell'editor digitale, il suo miglior investimento, ma anche un'imperdibile palestra per la redazione dei testi brevi.
Minimi, molteplici, modulari
Sono tanti, infatti, i testi brevi che ci conducono alla lettura di testi lunghi, qualche volta lunghissimi: titoli, sottotitoli, abstract, o strilli, parole e frasi in grassetto, didascalie. Una manualistica facilona invita a scrivere testi brevi "perché tanto sul web non si legge". Non è così, è vero piuttosto che è più difficile farsi leggere e talvolta bisogna essere più bravi e accorti che sulla carta, intrecciare sapientemente nel "tessuto" del testo molti più fili: testi lunghi, testi brevi, stili del carattere, colore, font, spazi. Fare text design, oltre che scrivere. E saper distribuire il testo in profondità, come un millefoglie, dalla ciliegina appetitosa di un titolo fino alla profondità dei link, passando attraverso l'abstract, i sottotitoli, il corpo del testo.
Creare e lucidare cristalli
A volte i testi brevi si intrecciano ai lunghi, altre devono essere autonomi, perfetti e compiuti come un cristallo, pronti a viaggiare da soli per il web. È il caso dei testi dei social media: tweet, post di Facebook, minipost di Tumbrl, didascalie di Pinterest. Una volta pubblicati vivranno una seconda vita, andranno a ricombinarsi nei contesti più diversi – in una pagina di Storify o in una di Flipboard –. In molti casi non ne conosceremo il destino e comunque non potremo cancellarli o riaverli indietro. Per questo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i testi brevi richiedono cura e revisione almeno quanto i testi lunghi. Dopo aver insegnato a generazioni di giornalisti americani a scrivere articoli e inchieste, il decano del Poynter Institute, Roy Peter Clark, ha dedicato il suo ultimo libro How to write short proprio ai testi brevi:
«Nel mondo digitale la scrittura breve è sovrana. In un mondo sempre più veloce abbiamo un gran bisogno di ottimi testi brevi – di quelli che ci fanno fermare, leggere, riflettere». Nelle 250 pagine del libro ripercorre la lunghissima storia dei testi brevi – lunga quanto la scrittura – e ci mostra come anche nel microcosmo dei titoli e dei tweet funzionino a perfezione le strategie retoriche che conosciamo da 2.500 anni.
Niente di nuovo sotto il sole?
Verrebbe proprio di rispondere di no, se si pensa che i primi caratteri cuneiformi vennero incisi su una tavoletta di argilla dalle dimensioni molto simili a quelle dei tablet che stanno ormai soppiantando i personal computer. E qui arrivano le sorprese: il tablet è talmente flessibile che promette un ritorno alla lettura lenta, immersiva, profonda; un'esperienza molto simile a quella di un libro. Secondo le ricerche più recenti, si va affermando la sua dimensione di compagno della sera, dei momenti di relax e disconnessione. Esaurita la missione diurna di strumento lean forward, che ci vede protesi in avanti nella lettura veloce di e-mail e notizie, la sera diventa lean backward. Possiamo staccare tutto, abbandonarci sul divano e ricominciare a leggere. Parola per parola.
*Luisa Carrada è editor freelance e svolge attività di copywriting, consulenza di comunicazione e docenza di scrittura professionale per aziende e amministrazioni. È autrice dei libri Scrivere per Internet (Lupetti 2000), Il mestiere di scrivere. Le parole al lavoro tra carta e web (Apogeo 2008) e Lavoro, dunque scrivo! (Zanichelli 2012). Nel 1999 ha dato vita a www.mestierediscrivere.com, il primo sito italiano dedicato alla scrittura nel mondo del lavoro, e nel 2003 all'omonimo blog blog.mestierediscrivere.com.
www.treccani.it
Di fronte all'abbondanza del web siamo per forza diventati lettori-esploratori. Per decidere se una pagina ci interessa e merita il nostro tempo e la nostra attenzione, la esploriamo prima velocemente con gli occhi in lungo e in largo. Non leggiamo parola per parola ma cerchiamo "segnali" che ci facciano fermare e ci diano degli indizi. Per il guru dell'usabilità Jakob Nielsen i nostri occhi sono attratti soprattutto da:
• titoli e sottotitoli
• grassetti e corsivi
• parole tra virgolette o tra parentesi
• parole particolarmente lunghe
• parole con l'iniziale maiuscola all'interno del testo
• parole in colore
• link
• parole vicine ai link
• numeri in cifre
• simboli
• voci di una lista come questa.
Una mappa visiva di solo testo, insomma, prima da guardare e poi da leggere. Un testo "plastico", proprio come un bassorilievo, in cui anche lo spazio bianco gioca la sua parte. Perché, aggiungiamo, tutte le parole che confinano con lo spazio si vedono meglio, come se ci puntassimo una luce sopra, anche senza evidenziarle con un font diverso o con il grassetto. È il caso di tutte le parole che inaugurano e chiudono un capoverso, la vera unità di misura del testo digitale. Organizzare e scrivere il testo per la lettura esplorativa, creare un itinerario per gli occhi del lettore, è la condizione per assicurarsi la lettura più concentrata e profonda. Non di tutto, ma almeno di buona parte, perché molto raramente una pagina viene letta per intero.
Lo schermo è una finestra
Che sia la finestrina dello smartphone o quella più ampia di un personal computer, non vedremo mai il testo per intero, non riusciremo ad abbracciarlo con lo sguardo come la pagina di un libro o di un giornale, né a sfogliarlo rapidamente per avere un'idea complessiva del contenuto. Ne vedremo solo un pezzetto alla volta, staccato da tutto il resto. Se poi leggiamo su un tablet, le cose cambiano ancora: con un gesto veloce possiamo ingrandire e vedere meglio, ma perdiamo ancora di più il contesto. Per questo uno degli elementi di chiarezza di un testo digitale è la modularità: blocchetti brevi, autonomi, meglio se con un titoletto. A colpo d'occhio i titoletti costituiscono quasi un livello di lettura a sé, assecondano la lettura esplorativa e anticipano i contenuti della pagina. Letti uno per uno, si incastonano nella finestra dello schermo e ricordano il contesto.
Ogni buona regola ha le sue eccezioni
Il modello modulare con titoletti funziona benissimo per i siti giornalistici, informativi e di servizio, ma ha mille creative eccezioni. Tutti noi conosciamo siti di grande successo con testi lunghissimi. Un esempio? Il popolarissimo Brain Pickings, che ha fatto della content curation una vera e propria arte. La sua ideatrice, Maria Popova, scrive testi chilometrici e contraddice anche la famosa regola della "piramide rovesciata", che sui giornali e sui siti vuole la cosa più importante, la notizia, al primo posto. Lei la prende molto alla larga, ma riesce a catturarci lo stesso grazie a incipit dalla sintassi sinuosa, a un buon numero di bellissime immagini e a titoli avvincenti e misteriosi – Se William Shakespeare avesse scritto Guerre Stellari.
Il titolo è tutto!
Sì, perché è sempre la prima cosa che si vede, spesso l'unica. E qui ci confrontiamo con una differenza profonda rispetto alla carta, di cui spesso non siamo consapevoli. In un giornale, in un libro, nel verbale della riunione che esce dalla stampante, il titolo è fisicamente vicino al testo. Leggo l'uno e passo all'altro. Sul web, sempre più spesso invece il titolo è solo ad annunciare un testo che non vediamo: nello strillo in home page, nei risultati dei motori di ricerca, negli aggregatori di feed, in un tweet. A quelle poche parole sono affidati compiti immani: informare, incuriosire, far immaginare, convincere a cliccare. Esercitarsi nei titoli, curarli e non finire di limarli è l'attività più importante dell'editor digitale, il suo miglior investimento, ma anche un'imperdibile palestra per la redazione dei testi brevi.
Minimi, molteplici, modulari
Sono tanti, infatti, i testi brevi che ci conducono alla lettura di testi lunghi, qualche volta lunghissimi: titoli, sottotitoli, abstract, o strilli, parole e frasi in grassetto, didascalie. Una manualistica facilona invita a scrivere testi brevi "perché tanto sul web non si legge". Non è così, è vero piuttosto che è più difficile farsi leggere e talvolta bisogna essere più bravi e accorti che sulla carta, intrecciare sapientemente nel "tessuto" del testo molti più fili: testi lunghi, testi brevi, stili del carattere, colore, font, spazi. Fare text design, oltre che scrivere. E saper distribuire il testo in profondità, come un millefoglie, dalla ciliegina appetitosa di un titolo fino alla profondità dei link, passando attraverso l'abstract, i sottotitoli, il corpo del testo.
Creare e lucidare cristalli
A volte i testi brevi si intrecciano ai lunghi, altre devono essere autonomi, perfetti e compiuti come un cristallo, pronti a viaggiare da soli per il web. È il caso dei testi dei social media: tweet, post di Facebook, minipost di Tumbrl, didascalie di Pinterest. Una volta pubblicati vivranno una seconda vita, andranno a ricombinarsi nei contesti più diversi – in una pagina di Storify o in una di Flipboard –. In molti casi non ne conosceremo il destino e comunque non potremo cancellarli o riaverli indietro. Per questo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i testi brevi richiedono cura e revisione almeno quanto i testi lunghi. Dopo aver insegnato a generazioni di giornalisti americani a scrivere articoli e inchieste, il decano del Poynter Institute, Roy Peter Clark, ha dedicato il suo ultimo libro How to write short proprio ai testi brevi:
«Nel mondo digitale la scrittura breve è sovrana. In un mondo sempre più veloce abbiamo un gran bisogno di ottimi testi brevi – di quelli che ci fanno fermare, leggere, riflettere». Nelle 250 pagine del libro ripercorre la lunghissima storia dei testi brevi – lunga quanto la scrittura – e ci mostra come anche nel microcosmo dei titoli e dei tweet funzionino a perfezione le strategie retoriche che conosciamo da 2.500 anni.
Niente di nuovo sotto il sole?
Verrebbe proprio di rispondere di no, se si pensa che i primi caratteri cuneiformi vennero incisi su una tavoletta di argilla dalle dimensioni molto simili a quelle dei tablet che stanno ormai soppiantando i personal computer. E qui arrivano le sorprese: il tablet è talmente flessibile che promette un ritorno alla lettura lenta, immersiva, profonda; un'esperienza molto simile a quella di un libro. Secondo le ricerche più recenti, si va affermando la sua dimensione di compagno della sera, dei momenti di relax e disconnessione. Esaurita la missione diurna di strumento lean forward, che ci vede protesi in avanti nella lettura veloce di e-mail e notizie, la sera diventa lean backward. Possiamo staccare tutto, abbandonarci sul divano e ricominciare a leggere. Parola per parola.
*Luisa Carrada è editor freelance e svolge attività di copywriting, consulenza di comunicazione e docenza di scrittura professionale per aziende e amministrazioni. È autrice dei libri Scrivere per Internet (Lupetti 2000), Il mestiere di scrivere. Le parole al lavoro tra carta e web (Apogeo 2008) e Lavoro, dunque scrivo! (Zanichelli 2012). Nel 1999 ha dato vita a www.mestierediscrivere.com, il primo sito italiano dedicato alla scrittura nel mondo del lavoro, e nel 2003 all'omonimo blog blog.mestierediscrivere.com.
www.treccani.it