A sentire
Sgalambro, rivisitare Sciascia è oggi del tutto inutile. Giacché la sua
funzione "s'è esaurita" ed "occorre un'altra coscienza siciliana".
Evviva! potremmo giubilare, se non fossimo assaliti dallo sconforto, da
un sottile disagio. Lo stesso imbarazzo che ci afferra quando ci
rendiamo conto che la migliore letteratura di ogni epoca è passibile di
equivoci tanto grossolani.
Forse che la lettura sciasciana del nostro tempo e delle sue più acerbe
contraddizioni può essere scambiata per cronaca di costume? la sua
indagine morale per gossip? il suo rovello esistenziale per
esibizionismo?
Forse che la funzione dell’intellettuale in Italia, la sua solitudine
di fronte al conformismo accomodante può essere scambiata per malanno
passeggero?
Forse che il garantismo a tutela minima del diritto di ogni persona può
essere scambiato per questione estemporanea? O non sarà che la deriva
etica delle istituzioni e della politica, questo loro tendenza a farsi
sempre più cosca di un “contesto” infrangibile, autoreferenziale,
spietato, agglomerante, si sono miracolosamente convertite in virtù
solidali? in schietti atti promotori di progresso?
Forse che l’antropologia del Potere non merita la fatica di
un’indagine, di una cognizione, di un’esorcizzazione?
Forse che il recupero della memoria, dell’inestricabile legame che ci
fa autentici ricordandoci chi veramente siamo stati, non è auspicabile
doverosa attività dello spirito? O forse, più semplicemente, che
testimoniare l’esigenza di verità è divenuta un optional? O non sarà
per caso che la mafia, questo sdrucciolare continuo dal sistema di
responsabilità al sistema delle più squallide rutilanti convenienze,
non è ancora una chiave di lettura plausibile di questo nostro Paese?
E dire che la tagliente sottigliezza sciasciana, la sua ironia e
lucidità, finanche la sua provvidenziale “contraddittorietà” erta a simbolo
dell’eterna lacerante contraddittorietà umana, avrebbero dovuto
insegnarci, almeno, se non altro, a rifuggire proprio dalle facili
mistificazioni, dai facili fraintendimenti, dall’incombenza di parziali
vedute, dai retaggi delle strumentalizzazioni modaiole.
E su quali presupposti, mi chiedo, se non quelli indagati da Sciascia e
nelle sue opere forgiati, sarebbe possibile costruire un simulacro di “coscienza”? un senso di
appartenenza alla razionalità umana? le ragioni di una civile comunità
di individui? un’autentica coscienza di siciliani? Niente. Siamo
esattamente al punto di partenza: quando la cecità o la vanità, fate
voi, si mostrano più forti dell’acume della comprensione.
L’importante, al solito, è dimenticare al più presto, rinnovare
frettolosamente l'arredamento scaraventando il povero Bendicò dalla
finestra, smantellare tutto per non smantellare infine un accidente.
Tant’è; per quanto mi riguarda le affermazioni di Sgalambro sembrano
appartenersi più alle posture da palcoscenico che al rigore della
critica, e sono semmai l’empirica banalissima dimostrazione di quanto
bisogno ci sia ancora di Leonardo Sciascia; e di quanto ci manchi.
Filippo Martorana