di Marta Allevato
Roma (AsiaNews) – A 5 anni dalla caduta del regime del mullah Omar, che le aveva
relegate fra le mura domestiche, vittime di soprusi sempre impuniti, la
condizione delle donne in Afghanistan sta migliorando, anche se il futuro del
Paese appare ancora “sospeso”. A fronte di un grande sviluppo si registra ancora
un alto tasso di analfabetismo, mortalità da parto, violenze domestiche. Le
donne col burqa azzurro per le vie di Kabul sono ormai non solo il simbolo
dell’oppressione talebana, ma del difficile passaggio alla modernità delle
società musulmane, che si gioca soprattutto sulla questione femminile.
Lo scorso 16 febbraio a Roma, a ridosso del voto sul rifinanziamento della
missione italiana in Afghanistan, alcune esponenti della politica e della
società civile afghana - parlamentari, giornaliste, imprenditrici, avvocati –
hanno raccontato gli “enormi” passi avanti nella conquista dei propri diritti e
indicato le piste da seguire per il futuro. L’incontro, voluto dal ministero
italiano degli Esteri, aveva come tema “Afghanistan democrazia, giustizia e
sviluppo: il ruolo delle donne”.
Povertà, istruzione e sanità sono le “top priorities” da affrontare, secondo
Shukria Barakzai, deputa della Wolesi Jirga (Camera bassa del Parlamento).
L’Afghanistan è ancora uno dei Paesi più poveri del mondo: “Il 60 per cento
della popolazione vive sotto la soglia della povertà, il lavoro è assente o
sottopagato”. “Per questo fioriscono corruzione e narcotraffico – aggiunge –
soprattutto tra i giudici che esercitano un mestiere rischioso, ma mal
retribuito”.
“Combattiamo contro una mentalità medievale - continua la Barakzai - e garantire
l’istruzione è fondamentale”, anche se scuole e insegnanti sono nel mirino dei
fondamentalisti soprattutto nelle zone più remote. Oggi però l’alfabetizzazione
aumenta, anche tra le donne. Secondo stime dell’Onu, il 40 per cento delle donne
va a scuola, il dato sale al 50 percento nelle classi elementari, mentre scende
al 32 percento a livello universitario.
La mortalità da parto vede l’Afghanistan al secondo posto nel mondo. “Le donne –
denuncia Hangama Anwari, Commissario dell’Afghanistan Independent Human Rights
Commission – hanno una vita media di 44 anni, non hanno accesso garantito al
sistema sanitario e la condizione delle detenute incinta è terribile”.
“La situazione dei diritti umani è ancora disastrosa - racconta la Anwari - le
donne non hanno posto nel sistema giudiziario e a loro non è ancora garantita di
fatto una parità di diritti”. “Negli organi giudiziari non vi sono donne e
pochissime sono quelle che hanno il coraggio di sporgere denuncia”. Nel quadro
dell’impegno in Afghanistan, è l’Italia il Paese deputato alla riforma della
Giustizia. “Ma le debolezze del sistema legislativo sono ancora forti”, dice
Anwari. Bisogna rivedere le norme sul divorzio e quelle sulla famiglia.
Discriminazioni e soprusi fanno parte di una mentalità ben radicata e il tasso
di violenze domestiche e suicidi è ancora elevato”.
E invita “i donatori internazionali e gli altri Paesi musulmani ad aiutarci
nell’interpretare la legge in un modo più moderno”.
Ma alcuni passi significativi sono stati compiuti nella politica e
nell’economia. Il 27 percento dei seggi in parlamento è occupato da donne, anche
se solo una è ministro (per gli Affari delle donne, appunto), mentre a livello
governativo pochi altri incarichi sono ricoperti da donne. “È un buon risultato,
ma non basta”, dice ad AsiaNews Fawzia Koofi, vice presidente della Wolesi Jirga.
“La difficoltà maggiore è la mentalità tradizionalista: viviamo in un Paese
dominato dagli uomini, dove la politica è considerata da sempre un affare per
soli uomini”.
Anche in economia le donne sono più presenti. A parlarne è Habiba Sarabi, la
prima governatrice donna di Bamyan: “Nella nostra provincia le donne conducono
piccole attività imprenditoriali e gestiscono negozi nei mercati pubblici,
insieme agli uomini”. Suggerisce poi di “studiare forme per legittimare il
contributo delle donne alla famiglia e all’economia familiare”. Numerose donne,
infatti, lavorano nei campi, ma nessuna può gestire le entrate dell’attività
agricola.
“Gli afghani apprezzano gli aiuti internazionali - spiega l’imprenditrice Shahla
Nawabi - ma l’insicurezza aumenta e ora è necessario creare fiducia nella
popolazione verso il governo. Purtroppo la gente non vede i frutti della
ricostruzione: molti non hanno elettricità e mancano infrastrutture”. Secondo
Nawabi, la comunità internazionale ha anche “il compito di assicurarsi che gli
aiuti vengano investiti nel modo giusto”. Ma Shukria Barakzai è convinta e
fiduciosa: “Come donne stiamo cambiando tradizioni e rompendo vecchi tabù; sono
molto ottimista per il nostro futuro, a tutti i livelli: economico, sociale e
politico. Abbiamo il sostegno della gente, di coloro che credono che
l’Afghanistan può cambiare, che vi può essere giustizia, che può esistere una
società pacifica; sono problemi che richiedono tempi lunghi per essere risolti,
ma noi stiamo combattendo più per i nostri figli che per noi stesse”.