Catania.
L'affettuoso "grido" - "Cucì...Cucì" ("cugino" nel dialetto
siciliano) - che attraversa i due atti di Nino Romeo - in scena sui
legni del Piccolo Teatro di Catania - permea con una solitaria dolcezza
di sentimenti e di affetti, uno spettacolo denso di violenza e di
sopraffazione.
C'è una piccola summa della nostra condizione isolana nella
drammaturgia di Nino Romeo che ritorna a questo suo testo a venticinque
anni dalla sua stesura e dall'assegnazione del Premio Fava:
l'ordinaria migrazione - per mare e per terra - il pregiudizio, la
mentalità sessuofoba e patriarcale che si articola in lugubri e
sinistre figure al maschile, le neoeconomie illegali - dalla manodopera
in nero al "bisiniss" dei rifiuti fino alle nuove mafie dai colletti
bianchi - la quieta indifferenza nei confronti del più forte. Ma c'è,
crediamo, molto di più: il paradigma di una personale condizione di
sdradicamento e di perenne conflittualità con una città - Catania - che
con Nino Romeo non è mai stata prodiga, tutt'altro, e che si scandisce
magnificamente in questa sua "contemporaneità estetica".
Il susseguirsi di brevi sequenze - nave, treno, campagna, piazza, casa
- in cui si struttura la messinscena, non solo alludono ad un
procedimento tipicamente cinematografico ma costituiscono le tappe di
un viaggio tanto più doloroso quanto più si avvicina al suo epilogo. E
lungo questa personalissimo cammino di passione si muovono infatti
Filippo e Vannina, i due protagonisti, replicati sulle scene in altre
due coppie omologhe. Non c'è dunque, volutamente, determinazione: ogni
presenza condensata in una meta-teatralità che collide volutamente con
un registro linguistico pieno, aspro e musicale ad un tempo (comè lo è
il dialetto che lo riecheggia) e con una serie di presenze-simbolo
immanenti che sovrastano tutta la vicenda. Insomma in questa
riproposizione vale per Romeo quella Sicilia come "metafora" di
sciasciana memoria che si fa condizione del mondo, proiettando appunto
luoghi, persone e fatti su uno schermo bruciato.
Eppure Filippo e Vannina rimangono uniti, nonostante i tremendi vissuti
personali: lui maritato con la sorella del boss locale a sfidarele
leggi della "Famiglia", lei che dovrebbe coniugare la sua condizione di
vedova con un irreprensibile anonimato di sentimenti e di desideri. In
questo modo e in quel mondo mafioso e intransigente, il loro ritorno
diventa una terra desolata e il figlio che attendono un "sorbo acerbo,
"una pietra lanciata contro il destino". Contro il muro del rifiuto
pagheranno la loro eversione in un finale crudele e terribile che sulle
scene si ricompone nella straziante "Lacrimosa" mozartiana e
nell'anonimo, ferale, apperentemente definitivo "non è successo
niente". Anche se - fulmen in clausura - i loro pensieri e lo loro
parole, confortate dalle note di Battisti, si fanno annuncio di
speranza concreta e di liberazione.
Con: Ludovica Calabrese, Franco Colaiemma, Pietro Casano,
Nicola Costa, Pietro Cocuzza, Sara Emmolo, Alessandro Incognito,
Valeria La Bua, Emiliano Longo, Viviana Militello, Emanuele Puglia,
Camillo Sanguedolce.
Giuseppe Condorelli -
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