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Didattica: Mitologie e razionalità nell’attività didattica

Redazione
A partire dagli anni '70 la cultura della programmazione didattica ha introdotto nelle relazioni educative il lessico (... e non solo) del mondo aziendale. Pour epater les bourgeois e per sradicare quello di derivazione umanistico-pedagogico, di cui si serviva la quasi totalità del personale insegnante. Il segno cercato e imposto di una svolta irreversibile verso la modernità, come auspicavano ambienti ministeriali progressisti, parte dei sindacati e del mondo accademico, molte associazioni professionali.
Si coltivava (e si continua a coltivare)l'ambizione di replicare a scuola le strategie aziendali di massimizzazione dei risultati anche in presenza e in costanza di scarsità delle risorse disponibili. Le risorse scarse a scuola, oltre a quelle finanziarie come sanno anche le pietre, sono il tempo disponibile e l'attenzione degli alunni, sviata da mille sollecitazioni. Si dovrebbero fare miracoli sfruttandole al meglio. Ma il meglio, non è la fretta e nemmeno l'abbandono di quelli che per diversi motivi non tengono il ritmo e non riescono a farcela.

Solo la tracotanza intellettuale può fare credere che il processo di formazione può essere finalizzato ad ottenere i risultati che si vogliono in un determinato tempo e magari in un solo modo. Formare ed educare giovani, però, è alquanto diverso dal produrre bulloni o pezzi di ricambio, perché il processo di formazione è diverso da qualsiasi attività aziendale. Appartiene ad un altro pianeta.
Da quegli anni si continua ancora a mettere in lite la severa, stringente, rigorosa operazione di razionalizzazione dei processi formativi, guidata dalla pedagogia per obiettivi, con la passione educativa di chi si ingegna e si ostina a vedere delle alte finalità nell'attività di insegnamento. La prima, a detta dei dottori della legge, a far la parte dell'efficienza e dell'efficacia, la seconda a trastullarsi con parole senza significato. E tutto questo a prescindere dai fatti che, come al solito, si prendono la briga di smentire le teorie che vogliono imbrigliare la realtà.

Con i giovani di oggi senza passione morale, civica ed educativa non si va da nessuna parte, anche se si è divorato tutto lo scibile in materia di didattica, di metodologie e di psicologia dell'apprendimento. Rifuggire dall'algida e ferrea logica degli algoritmi della programmazione, non vuol dire banalizzare il curriculum, ma cercare di dargli una senso. Un processo formativo al riparo degli inconvenienti non è un'utopia, ma una sciocchezza. Criticarne le pretese non vuol dire rifiutare di pagare i prezzi dovuti per accedere alla razionalità delle procedure di lavoro.
Non si sta facendo il tifo per un'attività didattica senza regole e senza razionalità; perché non avrebbe senso e non porterebbe da nessuna parte. Il processo formativo va tenuto sotto controllo per non disperdersi in iniziative inconcludenti e per raggiungere i risultati che si ritengono necessari. E' chiaro a tutti che se si vuole realizzare un progetto bisogna darsi un ordine e delle scadenze.

L'attività educativa è progettualità in sè e le sue mete non si definiscono alla rinfusa. I saperi non si apprendono per maturazione spontanea, ma secondo un preciso piano metodico di lavoro. I contenuti e le sequenze dell'insegnamento non possono essere arbitrari, perchè senza sistematicità, non c'è trasmissione dei saperi, non c'è scuola. Vi è una gerarchia degli apprendimenti, che vanno disposti secondo una linea di pertinenza logica e di successione cronologica. Con certi saperi non si fanno salti e non si possono omettere contenuti essenziali. Questo discorso a mio parere vale anche se nell'attività didattica in classe si fa ricorso costante alle tecnologie informatiche, perchè se queste possono migliorare e/o facilitare il processo di apprendimento, non è detto che ne possono mutare la logica. L'immersione nei media non garantisce la formazione di solide abitudini intellettuali.
Tutti sanno, però, che gli insegnanti ogni giorno devono far fronte a diversi casi di emergenza, che possono confliggere con la predisposizione dell'attività didattica e metterla in crisi. Le varianti intralciano sempre i lavori pubblici e fanno ritardare la consegna dei lavori ...
Non è stato solo il dogmatismo a rendere, a lungo andare, insopportabile questo orientamento pedagogico, ma soprattutto la pretesa di mettersi in alternativa all'affettività, alla creatività, alla valorizzazione delle potenzialità del soggetto in formazione in un mestiere che più umano non c'è al mondo.

Per lavorare bene ci vuole del metodo; ma c'è metodo e metodo. I metodi devono essere attinenti allo statuto epistemologico di una disciplina, all'età degli alunni e a loro grado di sviluppo intellettuale; coerenti con gli obiettivi formulati, funzionali al clima educativo che si vuole creare.
Devono rispettare alcune condizioni per essere chiamati tali: chiarezza espositiva, coerenza logica tra i vari momenti dell'azione didattica, prevalenza dell'evidenza razionale e dei fatti, spazio per il confronto e per l'iniziativa intellettuale degli alunni. E' proprio della razionalità il confronto, la verifica dei punti di vista per arrivare al consenso. Devono soprattuto essere di facile utilizzazione. Diceva R. Dottrens: "Se un metodo ha bisogno per essere efficace di un buon professore, non vale nulla".

Ai talebani della pedagogia per obiettivi sfuggiva e sfugge che l'eliminazione dello spazio del confronto cancella il faccia a faccia nelle relazioni educative e trasforma il processo formativo in una pratica asfissiante di addestramento, dove non si fanno prigionieri, perchè se si raggiunge il risultato si resta dentro, altrimenti si viene emarginati. Alla sequenza terminata se ne deve aggiungere un'altra e poi un'altra ancora perchè la programmazione va rispettata e all'appello finale nessuna unità didattica(modulo/ufc) si puo' dare per assente. . .
All'alto livello di complessità della nostra società di necessità dovrebbe rispondere un alto livello di strutturazione dei sistemi formativi e dei processi di formazione, ma è una pia illusione che questo comporti e significhi cancellare la ricchezza umana del rapporto educativo e di imprigionarlo in una sequenza ininterrotta di imput e output (giusto per rifarsi al lessico aziendale ... ).

A scuola docenti e alunni sono messi assieme per vivere nel migliore dei modi l'avventura culturale che porta a chiedersi quale sarà il nostro futuro e come ci si possa arrivare e non per sbranarsi a vicenda; si ha bisogno di una scuola riflessiva e dialogica e non di una scuola iperattiva e tuttologica.

prof. Raimondo Giunta








Postato il Domenica, 17 gennaio 2016 ore 02:30:00 CET di Nuccio Palumbo
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