La
cosmologia tolemaica (la Terra è al centro dell'universo e tutto
gira intorno ad essa) non è solo una visione scientifica: è anche una
filosofia. Se la Terra occupa il centro geometrico di tutto, ciò
avviene in vista dell'uomo, considerato come il beneficiario finale
dell'atto creativo di Dio, così come è attestato dagli autori dei primi
capitoli della Genesi: per illuminare i giorni e le notti dell'uomo
sono stati messi in cielo i due grandi luminari e per servire all'uomo
sono stati creati tutti gli animali; anzi, Adamo fin dal primo
momento mostra di prendere sul serio il suo ruolo di signore del
creato, imponendo un nome a ogni animale.
Questa cosmologia e l'antropologia che le è sottesa implicano (o
presuppongono) una radicale asimmetria tra la Terra e il resto del
mondo: nella Terra esistono i classici quattro elementi; al di fuori di
essa ne esiste un quinto del tutto eterogeneo; i "pianeti" (cioè, i
corpi celesti che noi chiamiamo con questo nome, più il Sole e la Luna)
esercitano i loro influssi sulla Terra e sugli uomini, ma nessun autore
di osservanza tolemaica ha mai pensato che la Terra potesse mandare i
suoi “influssi” sui corpi celesti; i pianeti si muovono di moto
circolare, mentre sulla Terra il moto naturale (cioè, non forzato) è
rettilineo; come gli oggetti terrestri si muovono solo finché si
applica loro una forza motrice, così è per i pianeti, i quali si
muovono perché schiere di angeli impartiscono loro in continuazione la
spinta occorrente etc.
Nessuna di queste asimmetrie sopravvive alla transizione al modello
copernicano, il quale diventa espressione di una filosofia antitetica
alla precedente: se il centro dell'Universo ora è il Sole e
la Terra è estromessa dal centro del mondo, allora la Terra sta in un
punto “qualunque” dell’universo, un punto che non si distingue per
nessuna peculiarità: tutti i punti dell’universo sono equivalenti tra
loro. Newton dimostra che la Terra da una parte e la Luna e il Sole
dall’altra sono legati da una relazione simmetrica: la forza di gravità
lega la Terra al Sole e alla Luna così come lega il Sole e la
Luna alla Terra; se la Luna produce le maree sulla Terra, è anche vero
che la Terra produce maree sulla Luna, come dimostra la rotazione
sincrona della Luna (la Luna ci rivolge sempre la stessa faccia);
mentre Comte, in pieno XIX secolo, asseriva che mai avremmo conosciuto
la natura dei corpi celesti, un oscuro ottico tedesco - Fraunhofer -
andava scoprendo una miriade di righe scure nello spettro del Sole,
nelle quali furono presto riconosciute le “impronte digitali” degli
stessi elementi che sono presenti sulla Terra.
Eppure, c’era una forma di “influsso” della Terra su un corpo celeste -
sulla Luna - che era ben visibile a tutti: è la debole luminosità delle
parti della Luna che non sono illuminate dal Sole (p.es., al primo
quarto) e che solo Galileo seppe correttamente interpretare come dovuta
alla luce che la Terra invia sulla Luna, riflettendo su di essa parte
della luce che la Luna manda sulla Terra; durante le eclissi di Luna,
invece la Luna - pur immersa nel cono d’ombra della Terra, ci appare
debolmente luminosa perché la luce del Sole, passando attraverso
l’atmosfera terrestre, subisce una deviazione dalla linea retta (è la
rifrazione) che ne porta una parte a illuminare debolmente la Luna.
Bastava chiedersi il perché di questa luminosità di parti della
Luna non esposte al Sole per avere un primo serio indizio della
fallacia della filosofia tolemaica.
Galileo avrebbe arricchito il quadro indiziario di molti altri
argomenti (le fasi di Venere, i satelliti di Giove, il principio
di relatività...), insufficienti per convincere il Santo Uffizio ma
sufficienti per Newton e per tutti quei fisici e astronomi che
non aspettarono la prova regina (la parallasse annua delle
stelle) per accettare il modello di Copernico. Pensiamoci, stanotte,
quando vedremo la Luna emanare una “irragionevole” luminosità: in
quella luce c’è un segno della simmetria che lega la Terra al resto
dell’universo, anzi, c’è un segno dell’unità dell’universo. C’è
un segno di come la forza dei pregiudizi possa essere tale che gli
uomini continuino a restare ciechi pur vedendo la luce.
Maurizio Ternullo