Più vedo
all'opera i nuovi presidi, più mi rendo conto che le persone si
adattano alla perfezione al loro nuovo ruolo. Sembra che la riforma
della figura dirigenziale sia stata varata su misura per loro. Dalle
scelte dei collaboratori e dei membri degli "staff" si desume come i
nuovi DS preferiscano circondarsi di elementi a loro congeniali, che
non arrechino disturbo, degli automi zelanti ed efficienti, meglio
ancora se teste poco pensanti, meri esecutori di direttive calate
dall'alto. Del resto, ai nuovi presidi la legge chiede di agire come
dirigenti d'azienda. Essi devono organizzare e dirigere le scuole come
fossero "aziende". Ormai la scuola è vista e descritta come una
"azienduola".
Altro che "laboratori di saperi" o "fucine di cultura".
In base al modo in cui i nuovi presidi esplicano simili mansioni
manageriali (anche se trovo assurdo tutto ciò) alla fine del ciclo
triennale verranno valutati. Come, del resto, noi docenti verremo
valutati in virtù delle prestazioni di supporto e collaborazione al DS.
Non a caso, i presidi tengono a farlo presente e ribadirlo in occasione
dei collegi docenti.
Dunque, mi chiedo: ma un insegnante che intende limitarsi ad espletare
il proprio dovere in classe, vale a dire interagendo in modo brillante
e proficuo con i propri allievi, facendoli diventare autonomi, menti
critiche e via discorrendo, non è da considerarsi un professionista
valido o "produttivo", per cui forse conviene che cambi mestiere?. Me
lo domando ormai da tempo con una insistenza.
Sgombriamo il terreno da ogni eventuale equivoco. Lungi da me
l'intenzione di giudicare le persone, bensì valuto il ruolo. Purtroppo,
la funzione sociale di un individuo è alienante, nel senso che rischia
di trasfigurarlo in un'altra persona. Lo si è visto con i nuovi
presidi, che fino ad ieri erano insegnanti come noi, ma si sono presto
calati nel nuovo ruolo, assai remunerativo, quanto alienante. Ma
l'aspetto che non riesco ad accettare è che si pretenda di valutare e
premiare la "produttività" di un docente in base al novero degli
incarichi aggiuntivi e delle prestazioni di supporto alla dirigenza che
egli riuscirà ad eseguire.
Non che sia contrario in termini pregiudiziali. In passato, ho svolto
pure la funzione strumentale ed ho persino ricoperto l'incarico di
collaboratore vicario, quando questa era una funzione elettiva e non
retribuita. Dunque, in tempi non sospetti. Sono favorevole ai progetti
didattici-formativi di tipo extra-curricolare, a maggior ragione se
effettivamente validi e stimolanti sul versante socioculturale. Ma sono
fermamente contrario ai "progettifici scolastici", alla proliferazione
aziendalista di tali attività aggiuntive, premiate e privilegiate a
discapito delle finalità curricolari, che dovrebbero essere
prioritarie, cioè anteposte al resto.
Poi ci si lamenta che i ragazzi arrivano alle scuole medie e non sanno
scrivere sotto dettatura, non sanno redigere un riassunto, non sanno
rielaborare un paragrafo di storia, non conoscono a memoria le
tabelline, ecc. Alla luce della mia esperienza professionale, ho avuto
modo di riscontrare come i libri scolastici siano in genere (non
sempre) di un tedio mortale, in quanto aridi, se non addirittura vuoti,
spesso banali, convenzionali o stereotipati, per cui non agevolano
affatto l'opera dell'insegnante, ma al massimo servono quali noiosi
eserciziari e testi di verifica. Ne consegue che la passione per i
libri e la cultura non si potrà mai accendere in seguito ad uno studio
acritico, cioè meccanico e mnemonico, condotto sui testi adottati a
scuola, che rischiano di sortire l'effetto esattamente contrario, ossia
il disamore e la disaffezione verso lo studio, i libri e la scuola.
La ripetitività e la prevedibilità sono le più acerrime ed antitetiche
avversarie della passione e dell'immaginazione creativa. Le prime
provocano la morte spirituale, la cessazione del "viaggio
intellettuale" che un buon libro riesce a stimolare. Viaggio inteso e
vissuto come incessante avventura dello spirito e dell'immaginazione.
Le seconde suscitano quegli input utili e necessari all'opera della
ricerca e della scoperta del sapere, da vivere come un piacere ludico,
un divertimento. Voce che, non a caso, discende dall'etimo latino
"di-vertere", che sta per variare, deviare, cambiare e diversificare.
Vale a dire l'esatto contrario della ripetitività, della prevedibilità
e della monotonia, che generano noia ed uccidono il desiderio della
conoscenza, spegnendo la fiamma che spinge ad impossessarsi del sapere
e della cultura. È questo il fine primario della scuola: accompagnare i
ragazzi nel viaggio "avventuroso" che li conduce alla vera mèta, ossia
il piacere della scoperta e del sapere, non certo il voto scritto sulla
pagella.
Gli alunni (ed i loro genitori) dovrebbero comprendere che lo studio e
l'istruzione scolastica servono alla loro maturazione culturale ed al
loro avvenire, e non a conseguire buoni voti, come invece accade nella
stragrande maggioranza dei casi e nella migliore delle ipotesi, ben
sapendo che numerosi allievi non amano affatto lo studio. In tal senso,
il compito precipuo dell'insegnante meritevole, è proprio quello di
saper motivare ed incentivare gli allievi allo studio, non tanto fine a
se stesso, bensì per imparare a godere il piacere di apprendere, per
nutrire la passione verso la cultura, intesa e vissuta come una
"avventura interminabile", una ricerca incessante ed una scoperta
interiore, non certo per ottenere dei voti positivi e la promozione. Il
maestro meritevole, capace e brillante, dunque da premiare e
valorizzare, è colui che sa "contagiare" i propri allievi attraverso il
"virus" dell'amore per i libri, lo studio e la conoscenza, la vita ed
il mondo.
Lucio Garofalo
l.garofalo64@gmail.com