Troppi articoli
e parole pesanti caratterizzano l'operazione
"immissione in ruolo" connessa con la "Buona scuola" che apre le porte
ai docenti precari delle graduatorie ad esaurimento, (GAE) ai vincitori
dei concorsi e ai numerosi docenti che attendono da anni una definitiva
sistemazione nel mondo della scuola. Avendo assistito da anni al triste
rito delle nomine annuali, alle
lunghe e faticanti attese per la nomina di un incarico o supplenza
annuale, alle tensioni emotive dell'incertezza dell'incarico, alle
manifestazioni ora di soddisfazione, ora di delusioni per il mancato
incarico, mi sembra esagerato adesso lamentarsi per un sacrificio che
comporta nel tempo la sistemazione definitiva tanto agognata. Era già
nell'aria la necessaria mobilitazione dei docenti dal Sud al
Nord, dalle Isole alla terra ferma, conoscendo le difficoltà del
reperimento dei posti disponibili. Non è certamente una forzatura, ma
una logica sistemazione di lavoro nelle regioni, dove c'è la
disponibilità dei posti.
Negli anni passati insieme a numerosi docenti abbiamo seguito questo
faticoso iter di iniziare la carriera professionale nelle scuole del
Nord e, dopo alcuni anni poter tornare a casa nella regione di origine.
Non è quindi opportuno usare i termini di "esodo", né tanto meno la
drammatica espressione di "deportazione", quasi si trattasse di
prigionieri di guerra destinati ai campi di concentramento.
Il termine "deportazione" si legge su Ceripnews, significa il
trasferimento d'autorità di qualcuno condannato lontano dal territorio
d'origine e solo con la seconda guerra mondiale, ha significato il
trasferimento di tante vittime nei campi di concentramento e la
conseguente fine drammatica.
Appare quindi un'iperbole l'uso di questi termini, pur comprendendo il
disagio e le testimonianze di giovani coppie con figli piccoli o con
genitori anziani.
Con il piano di assunzioni straordinarie viene offerta una positiva
opportunità abolendo la distinzione tra organico di diritto e, di
fatto, e favorendo la stabilizzazione dell'organico d'Istituto, così da
poter pianificare l'azione formativa secondo un progetto triennale.
La professione e missione educativa necessitano, pur tra i sacrifici,
una serenità d'animo ed una forte motivazione per donare agli studenti
cultura e formazione. Chi ama davvero questo lavoro affronterà
meglio il sacrificio di allontanarsi da casa per poi chiedere la
mobilità e nel tempo le cose si aggiusteranno. Già le recenti circolari
che fissano all'8 settembre la definizione degli organici è un primo
segnale di attenzione e di speranza.
Che le scuole del Sud e delle Isole siano sature di docenti e non ci
sono posti lavoro, mentre al Nord ci sono maggiori possibilità è un
dato obiettivo e quindi occorre dare un assetto di pianificazione e
spezzare la lunga e dolorosa catena delle graduatorie e del precariato
storico che appare come una vergogna del sistema scolastico italiano.
Se si vuole entrare nel settore lavorativo della scuola e
dell'insegnamento la ricerca del posto stabile e di ruolo è necessaria,
ma non è detto che si possa o si debba necessariamente trovare il posto
vicino casa.
Sarà certamente un problema se il posto assegnato scaturisce
dall'organico aggiuntivo e c'è il rischio che alcuni docenti possano
essere considerati "tappabuchi" o destinati soltanto alle supplenze.
Il bello dell'organico "funzionale" non è il numero delle persone
impegnate, ma la qualità del progetto e gli obiettivi da conseguire
"insieme" con maggiori risorse e benefici per tutti.
Sbagliano coloro che si illudono di poter fare i loro comodi,
utilizzando le nuove risorse aggiunte.
Il ruolo docente è unitario, pur nella differenziazione degli ambiti
disciplinari e delle competenze ed occorre evitare il pericolo di avere
docente di serie A e di serie B.
Nell'impianto organizzativo della scuola ciascuno ha un compito e tutti
insieme si collabora al conseguimento degli obiettivi comuni. La
cooperazione è quanto mai indispensabile, come pure la nuova cultura di
rete che aggrega i servizi di scuole vicine nella convergenza dei
comuni ideali.
Costruire la "buona scuola" significa non fare una "scuola alla buona"
e molto dipende da ciascuno degli operatori: dirigenti, docenti,
personale amministrativo e poi ancora studenti e genitori, tutti
protagonisti e attori in questa nuova e bella avventura.
Giuseppe Adernò
g.aderno@alice.it