"Gli errori sono le
porte della scoperta" (J.Joyce); "Pensare è andare da un errore
all'altro"(Alain); "Lo Spirto scientifico si costruisce su un insieme
di errori rettificati" (G. Bachelard). "Se gli uomini sono i soli a
poter fare gli errori, sono anche i soli a poterli correggere" (G.Le
Boterf). Di simili citazioni se ne possono raccogliere tante altre, ma
a scuola non si è riusciti a correggere il convincimento che l'errore
sia una colpa di cui si deve rendere conto e di cui si deve pagare la
pena,anche se come ci ricorda A. Giordan sono cinque secoli che
l'errore è considerato come inevitabile nell'atto di apprendere; come
inerente ai suoi processi.
Gli errori non sono colpe da condannare, nè imperfezioni da
disprezzare. Sono sintomi interessanti degli ostacoli con i quali si
confronta il pensiero degli alunni. Si collocano dentro il processo di
apprendimento e indicano il progresso concettuale che bisogna ottenere
(J. P. Astolfi). L'ostacolo incontrato e non superato ha lo statuto di
indicatore e di analizzatore dei processi intellettuali in giuoco.
L'errore segnala a volte un'incomprensione delle consegne da parte
degli alunni o il loro disinteresse per l'argomento trattato o ancora
la loro lontananza dalla cultura della scuola. Può essere l'affiorare
di concezioni proprie dell'ambiente umano e sociale di provenienza
degli alunni; è prova del loro modo di ragionare. L'errore può essere
soltanto l'ostacolo creato dal modo in cui gli alunni agiscono e
riflettono con i mezzi di cui dispongono.
Non bisogna cercare l'errore, ma la logica che l'ha prodotto. In altre
(incomprensibili...) parole l'errore è un'informazione, non una colpa e
bisognerebbe finirla con le intimidazioni.
Bisogna accettare gli errori come tappe apprezzabili dello sforzo di
comprendere dell'alunno e dargli i mezzi per superarli. Non si deve
perdere la memoria del cammino della conoscenza, degli ostacoli, delle
incertezze, delle vie traverse dei momenti di panico che l'hanno
contrassegnato. Si è proceduto da sempre laicamente per tentativi ed
errori: solo dove e quando il sapere costituito vuole assurgere al
ruolo di verità inconfutabile, l'errore si connota negativamente come
devianza, opposizione, renitenza, rifiuto.
L'errore diventa imperdonabile solo in un contesto in cui la conoscenza
non è ricerca personale, volontà di capire e risultato del dibattito e
del confronto di opinioni e di teorie,ma trasmissione vincolante e
dogmatica di saperi pre-costituiti; l'errore è imperdonabile dove il
rapporto educativo non è fondato sul dialogo, ma sull'obbedienza ad
autorità dichiarate indiscutibili; dove non si crea, ma si ripete; dove
non si parla, ma si deve solo ascoltare.
Se l'alunno non è il vaso da riempire, ma il soggetto autonomo che deve
fare in proprio il cammino che porta alla conoscenza, l'errore diventa
uno strumento straordinario per insegnare a ragionare. Bachelard
affermava che una buona didattica delle discipline tenta di comprendere
gli errori, prima di condannarli e combatterli.
Se l'errore, d'altra parte, è visto come causa di sanzione,gli alunni
tenderanno certamente di evitarlo col rischio, però, di cercare più le
risposte giuste che concentrarsi sull'apprendimento.
Pur nell'accresciuta consapevolezza pedagogica del significato
dell'errore a scuola spesso non si fuoriesce dalle pratiche che tengono
ancora sugli altari con tutti gli onori del caso la sua severa
condanna. Gioca a favore di questo stato di fatto il mantenimento del
valore legale dei titolo di studio, che è incline alla logica
oggettivistica della misurazione e alla pretesa di rilasciare
certificazioni corrispondenti alla reale preparazione posseduta da una
persona al termine di un tratto o di tutto il percorso di formazione.
La demonizzazione degli errori sarebbe una conseguenza dell'esigenza
diffusa di avere e di volere un riconoscimento sociale e pubblico del
sapere individuale, per assicurare al mondo del lavoro e ai vari gradi
di istruzione solo gli individui in grado di sostenere e affrontare i
compiti, che nelle varie situazioni verranno loro richiesti. Un certo
modo di considerare gli errori è funzionale ad una logica di selezione.
La valutazione a scuola non può fermarsi alla logica giudiziaria della
prova; valutare non vuol dire istituire il tribunale delle colpe e
degli errori con tutto il corredo di drammatizzazione, di stress, di
angoscia (Ph. Perrenoud). Gli alunni e anche gli insegnanti hanno il
diritto all'errore, a pensarci bene. Gli insegnanti non sono contabili
di punti e di errori, ma guide del processo di formazione, di cui
devono comprendere gli ostacoli e le resistenze ad esso frapposti.
Gli alunni non sono dati da giudicare, ma soggetti da conoscere, da
capire e da ascoltare, perchè hanno una storia cognitiva da raccontare.
Solo nelle pratiche di una valutazione che vuole essere formativa trova
una soluzione pedagogica soddisfacente la gestione degli errori. Con
accurata strumentazione l'errore diventa un'opportunità per la
regolazione del processo di formazione, perchè dà informazioni
all'insegnante sul grado di padronanza raggiunto da un alunno e sulle
difficoltà che incontra nel processo di apprendimento.
La valutazione formativa non ha come oggetto diretto il profitto
scolastico, ma la relazione pedagogica del processo formativo,che viene
valutata per poterla migliorare, in modo che l'alunno sia aiutato a
identificare, a superare le sue difficoltà e a progredire. "La
valutazione formativa mira a consentire all'alunno di sapere perchè è
riuscito in un caso e non in un altro (...). L'obiettivo di questo tipo
di valutazione è in effetti di confrontare l'alunno con se stesso e di
aiutarlo a compensare le difficoltà identificate da lui e per lui" (A.
De Peretti).
Andare verso la valutazione formativa significa rinunciare a fare della
selezione il nodo permanente del rapporto pedagogico. La valutazione
formativa non ha una vocazione selettiva e in qualche modo suggerisce
di sostituire una relazione cooperativa ad una relazione potenzialmente
conflittuale.
La valutazione formativa dovrebbe esercitarsi soprattutto sugli alunni
in difficoltà; è funzionale alla differenzazione dell'insegnamento per
un'educazione su misura.La buona valutazione è quella che suscita
motivazione ad apprendere ;è quella che valorizza lo sforzo e il
superamento delle difficoltà e degli ostacoli; é quella che che non
tende a sorprendere in fallo e non demonizza gli errori.
Nelle operazioni di valutazione convivono naturalmente sia l'intenzione
della misurazione, per gli esiti pubblicistici di cui si è parlato,sia
l'intenzione dell'interpretazione che si realizza nel giudizio di
valore. Intenzioni che allo stato di fatto esistono e che bisognerebbe
saper conciliare, perche danno consistenza al significato della
valutazione. Bisogna saper conciliare la prospettiva dell'aiuto e della
regolazione con quella del riconoscimento sociale degli apprendimenti,
dell'attestazione e della certificazione.
Nei fatti si registra un'oscillazione costante tra una concezione
democratica della valutazione, inclusiva e a sostegno delle pari e
migliori opportunità per tutti, e una concezione elitista, formalmente
meritocratica, ma funzionale alla riproduzione delle distanze sociali
esistenti ad un certo momento della storia della società. La
valutazione non dovrebbe servire ad escludere e a stigmatizzare, ma
dovrebbe essere un'opportunità per apprendere meglio. "Altro è la
selezione, altro è volere che le persone apprendano ad agire con
efficacia, permettendo di riflettere se sono stati ottenuti gli effetti
voluti." (G. Le Boterf)
Purtroppo generalmente nelle pratiche di valutazione viene proposta una
pedagogia dell'emulazione e della costrizione; raramente una pedagogia
della realizzazione e della cooperazione. Per preservare la dimensione
educativa della valutazione è necessario considerarla come l'operazione
che assume il proprio significato nel dare un valore, nel valorizzare
il lavoro, l'impegno, la prestazione degli alunni.
"Bisogna spostare il senso ultimo dell'attività valutativa dalla
polarità del controllo e della sanzione, a sostegno di una logica
premiale o punitiva, a quella della ricerca e sostegno
dell'innovazione" (M. Ambel).
Verrà il giorno in cui prove e valutazione non saranno considerate con
timore e terrore?
prof. Raimondo Giunta