Dedico questo
articolo alla cara memoria di Santino Caramella, che è
stato un pioniere degli studi galluppiani in Italia.
Il mio intervento del 20 marzo 2013 su Infosannio (v. S. Ragonesi, Pasquale
Galluppi nella storia della filosofia europea) ha inteso
dimostrare la
speciale e qualificata posizione galluppiana nella storia della
filosofia italiana ed europea e l'unità di Filosofia e Storia della
filosofia effettuata dal Pensatore calabrese per conquistare un
nuovo metodo di studi ed una indiscutibile primazia in Italia. La
conoscenza dei punti più alti del pensiero filosofico d'Europa
nell'epoca moderna, da Cartesio a Kant, e la critica puntuale e
costruttiva degli Autori e delle loro opere rappresentano certamente un
merito del Tropeano che non può sfuggire all'intelligenza storica, come
non sfugge la realizzazione di un modo originale di procedere che non
caratterizza solo le Lettere
filosofiche su le vicende della filosofia
relativamente ai princìpi delle conoscenze umane da Cartesio sino a
Kant inclusivamente, ma anche tutti gli altri lavori, dal Saggio
filosofico sulla critica della conoscenza alle Lezioni di logica e
metafisica e dagli Elementi
di filosofia alla Filosofia della
Volontà.
Nel citato intervento del 20 marzo rimarcavo la fondamentale
istanza gnoseologica di Galluppi, che si poneva nel bel mezzo della
cultura filosofica moderna, ne assimilava i prodotti migliori e cercava
di superare la generale tendenza soggettivistica che inizia da Cartesio
e si conclude con l'esasperato idealismo di
Fichte, Schelling ed Hegel. Anche Kant non è esente da valutazione
critica, e le sue idee, seppure esplorate in modo non sempre
completo, poiché mancano all'appello i riferimenti testuali più diretti
alla Critica del giudizio e
alla Fondazione della metafisica dei
costumi, sono commentate a varie riprese e tenute in grandissima
considerazione come punto di riferimento necessario, più dello stesso
Condillac, del quale si dice nell'Autobiografia
che avrebbe
determinato la seconda epoca della sua vita filosofica. Ma non risponde
al vero che il Tropeano studia Kant senza comprenderlo a fondo:
le
Lettere filosofiche e le altre
annotazioni sparse in tutte le opere
mettono anzi in luce una straordinaria capacità di analisi e di
comprensione del pensiero kantiano con i pochi strumenti bibliografici
disponibili. Solo per lo studio e la diffusione in Italia del
criticismo, oltre che del pensiero moderno, egli merita la fama e la
gloria che non gli sono state ancora concesse.
La fondazione realistica della conoscenza è ciò che caratterizza la
riforma gnoseologica di Galluppi, notevole anche per l'instancabile
ricerca del punto di vista oggettivo e per la battaglia acerrima contro
il pericolo sia dello scetticismo che del relativismo, e dello stesso
dualismo kantiano di fenomeno e noumeno, e di attività teoretica e
attività pratica. Esiste una realtà extrasoggettiva che possiede una
sua autonomia e che, causando la modificazione della coscienza
individuale nell'atto percettivo, rimanda alla conoscenza dell'oggetto
esterno e dello stesso soggetto inteso come sostanza
pensante. L'attività teoretica attraverso cui si conoscono i dati reali
ha in Galluppi il primato sull'attività pratica, nella quale rientrano
l'etica e il diritto naturale: "Noi abbiamo fatto fin qui l'analisi
dell'umana intelligenza. L'uomo non è solamente un essere che
conosce, ma eziandio un essere che opera, ed il principio delle sue
operazioni è la volontà. La scienza della volontà può chiamarsi
filosofia pratica, come quella
dell'intelletto può chiamarsi filosofia
teoretica [...] La volontà comprende quindi il desiderio e la
volontà
propriamente detta. Nei tomi precedenti vi ho spiegato gli elementi
della filosofia teoretica, cioè della scienza dell'intelletto; debbo
qui
spiegarvi gli elementi della filosofia pratica, cioè della scienza
della
volontà" (P. Galluppi, Elementi di
filosofia, vol. V, Tramater, Napoli
1940, pp. 3-4) L'elemento principale e fondativo della scienza della
volontà è però la conoscenza, giacché non può volersi ciò che risulta
ignoto e non compreso: "Se l'influenza della volontà sull'intelletto è
un fatto; quella dell'intelletto sulla volontà è un altro fatto. La
volontà è mossa dal desiderio, e questo suppone le percezioni, poiché
non
può desiderarsi ciò che è ignoto" (ibidem, p. 21).
Nella Filosofia della volontà,
l'opera che ha dunque come oggetto
specifico la filosofia pratica e che è dedicata a Sua Eccellenza il
Signor D. Giuseppe Ceva Grimaldi marchese di Pietracatella, cioè a
colui
che lo ha sostenuto moralmente e materialmente perché ottenesse
l'insegnamento di Logica e Metafisica nell'Università di
Napoli, Galluppi esprime apertamente tutta la gratitudine al suo
potente benefattore, con parole calde e aderenti al tema
trattato: "Eccellenza, non è l'adulazione ciò che mi ha determinato a
dedicare questo mio lavoro filosofico, ma uno dei più sacri
doveri
che sono scritti nel cuore degli uomini, il dovere per lo appunto della
gratitudine". E nella Prefazione
al primo volume distingue l'attività
teoretica dall'attività pratica, e chiarisce poi i loro rapporti e la
loro necessaria e logica unificazione nella dipendenza da un'unica
fonte: "Lo spirito umano è una sostanza pensante. Le modificazioni che
osserviamo in esso si chiamano generalmente pensieri. Alcune di queste
modificazioni sono mere percezioni o conoscenze,altre sono
desiderio, voleri. Riguardato lo spirito come una sostanza che
percepisce
e che conosce, si dice intelletto, intendimento, intelligenza.
Riguardato
questo stesso spirito come una sostanza che desidera e che vuole, si
chiama volontà. Queste due facoltà chiamate intelletto e volontà non
sono dunque che lo spirito stesso riguardato relativamente alle sue
diverse modificazioni" (P. Galluppi, Filosofia
della volontà, vol. I, Carlo
Luigi Giachetti, Napoli 1852, pp 2-3). E indica anche il metodo
espositivo che intende seguire nel trattare l'argomento e che è
lo stesso usato in altre opere, nelle quali "le materie sono
state
discusse ed esaminate nel conflitto delle varie opinioni dei filosofi.
Questa polemica mi sembra il miglior mezzo di farci avere una dottrina
esatta"(ivi, p. 4).
Ancora una volta Galluppi chiama in causa il suo metodo efficacissimo e
modernissimo che consiste nell'accoppiare Filosofia e Storia della
Filosofia, e denomina tale accoppiamento con il termine "polemica", che
non è filosoficamente molto appropriato, poiché non si tratta di
condurre una guerra di opinioni, ma di realizzare un modo
dialettico di procedere per fare entrare nel terreno dell'attualità
filosofica le idee e le opere dei grandi Autori passati e
contemporanei. Così, nella Filosofia
della volontà i termini "polemici"
di riferimento sono costituiti da tutta la vicenda filosofica
dall'antichità classica ai tempi moderni, e tutti gli Autori vengono
chiamati a dare conto delle loro opinioni, che sono puntualmente
esaminate, valutate e contestate, ma sempre rappresentate nella loro
verità filologica e nel loro valore storico. Grandissimo lavoro è
quello
compiuto dal Filosofo di Tropea, che dopo aver fatto bene i conti con
tutte le opinioni appartenenti all'area
empiristica, sensistica, materialistica, razionalistica, scettica,
stoica
ed epicurea, costruisce la sua teoria dell'etica facendola poggiare
sulla razionalità universale e avvicinandosi con maggiore fedeltà e
coerenza al pensatore di Koenigsberg.
L'etica galluppiana recupera la ragione universale che si trasforma in
principio morale e ragione "legislatrice", una ragione pura pratica
capace di mostrarci il bene ed il male e di esprimere l'imperativo
categorico: "La ragione come principio
morale è la ragione legislatrice
della nostra volontà, quella facoltà che ci mostra il bene e il male, e
che ci comanda di far l'uno e di non far l'altro. E' evidente che essa
ha per oggetto finale e diretto lo stato dell'anima degli altri uomini
o lo stato dell'anima propria relativamente a quello dell'anima degli
altri uomini. Io esaminerò a suo luogo se la morale può essere derivata
da un solo principio. E' questa una ricerca molto
importante" (ivi, pp. 518-519). Siamo, com'è facile notare, al
di là di
ogni empirismo e dello stesso razionalismo
cartesiano. L'intelletto illuministico viene superato d'un colpo e ci
si
appella ormai ad una ragione che va oltre il limite sensistico e che si
scioglie dai vincoli della materia. La ragione non è più il semplice
intelletto, e l'imperativo morale non è più quello "ipotetico", bensì
il
"categorico", che attesta la presenza nell'uomo di una forza
trascendente, simile a quella messa in campo da Kant: "Nell'uomo la
legge
ha la forma di un imperativo,perché in esso, a dir vero, come essere
razionale si può bensì supporre una volontà pura, ma, in quanto essere
soggetto a bisogni ed a cause determinanti sensibili, non si può
supporre una volontà santa, cioè tale che non sarebbe capace di nessuna
massima contraria alla legge morale" (E. Kant, Critica della ragion
pratica, Laterza, Roma-Bari 1979, p. 41). Ciò significa che la
razionalità
kantiana non si sviluppa senza il necessario contrasto con l'empiricità
e che essa dà il tono e la qualità al vivere morale dell'uomo
combattuto tra legge morale razionale e sensibilità empirica. Anche nel
Pensatore di Tropea si registra il medesimo conflitto e si porta avanti
il medesimo ragionamento sul fare morale.
Galluppi ritiene che la legge suprema della ragione,che lui accetta
proprio nei termini ormai classici della razionalità kantiana,
sia
stata impressa direttamente da Dio nel cuore dell'uomo; e questo fatto
stabilisce un qualche allontanamento da Kant: "Dio essendo l'autore di
tutta la natura, segue che i comandi della nostra ragione pratica
debbono riguardarsi come comandi di Dio. Noi possiamo e dobbiamo dunque
dirigere tutte le nostre azioni alla gloria divina; e questa direzione
è
una azione virtuosa. I cieli narrano la gloria di Dio e l'uomo che li
contempla potrebbe egli non cantare colle creature tutte l'inno di
gloria all'eterno?" (P. Galluppi, Elementi
di filosofia, vol. V, cit., p.
106). Dio è quindi l'autore della razionalità universale e della norma
che ha impresso nel cuore dell'uomo, e la presenza divina che ha
creato la legge del dovere è immanente alla coscienza
umana. L'imperativo categorico sta nella ragione, e questa lo rivolge
alla volontà che realizza concretamente l'atto morale. Dio ordina tutto
il mondo morale e garantisce una corrispondenza ultraterrena tra virtù
e premio: "Questa enunciazione ci viene dall'interno del nostro essere
ed è una nozione soggettiva. E dobbiamo credere all'immortalità
dell'anima. Io trovo nel santuario del mio essere la necessità della
ricompensa della virtù e della punizione del vizio; vi trovo in
conseguenza la necessità di un giudice supremo. Vi è dunque
un'intelligenza suprema, infinita, assoluta, che si manifesta a tutti
gli
esseri intelligenti. Questo supremo legislatore e Giudice è Dio; Iddio
mi
è dato dunque non solamente dalla mia ragione teoretica, ma eziandio
dalla mia ragione pratica" (ivi, pp. 196-197).
La legge morale universale è impressa direttamente da Dio nel cuore
dell'uomo, e senza questo intervento, in prima istanza, non vi sarebbe
moralità per colui che non è solo un "agente fisico", ma anche un
"agente morale". In ciò consiste pertanto la lontananza di Galluppi da
Kant. Questi parte da una concezione autonoma della razionalità
umana, l'altro, per quanto influenzato dal criticismo, affida a Dio il
compito iniziale di imprimere nel cuore umano razionalità pura e legge
universale. Vi è anche per conseguenza una diversità nel modo di
concepire il diritto naturale, che per Galluppi è un diritto non
generato dall'uomo e dato direttamente da Dio. Il diritto di natura è
comunque la più coerente prosecuzione dell'etica, che è la
facoltà
morale di agire o di non agire: "Ciò vale quanto dire che consiste
nella
potenza di fare ciò che non è opposto alla legge [morale] e perciò il
diritto di fare azioni, a far le quali siamo obbligati: Essendo
obbligati
a conservar la vita e la sanità del corpo, segue che abbiamo il diritto
di vivere e di viver sani. Similmente abbiamo il diritto di tutte
quelle
cose senza le quali non possiamo soddisfare la nostra
obbligazione (ivi, p. 69-70). Ed anche il diritto di proprietà sugli
oggetti acquisiti legittimamente con il lavoro e la fatica è un diritto
di natura.
Non è davvero un caso se tra i tanti riferimenti bibliografici Galluppi
utilizza la citazione dell'Emilio di
Rousseau e particolarmente il
testo bellissimo e appassionato del libro IV relativo alla Professione
di fede del Vicario Savoiardo, là dove di parla di una volontà
che muove
l'universo e che ne è la causa motrice e di una intelligenza che compie
operazioni proprie di un Essere attivo e pensante, la cui esistenza è
indiscutibile in virtù dell'ordine cosmologico: "A quali occhi non
prevenuti l'ordine sensibile dell'universo non annunzia una suprema
intelligenza? E quanti sofismi non bisogna accumulare per disconoscere
l'armonia degli esseri e l'ammirabile concorso di ogni parte per la
conservazione delle altre! [...] Credo dunque che il mondo sia
governato
da una volontà potente e saggia. Questo essere che vuole e che
può, questo essere attivo per se stesso, questo essere infine,qualunque
esso sia, che muove l'universo e ordina tutte le cose,io lo chiamo
Dio. Io scorgo Dio dappertutto nelle sue opere; lo sento in me, lo vedo
intorno a me. Il principio di ogni azione è nella volontà di un essere
libero. Non è la parola di libertà che non significa nulla, ma quella
di.supporre qualche atto, qualche effetto che non derivi da un
principio
attivo, è veramente supporre degli effetti senza causa, è cadere nel
circolo vizioso" (J. J. Rousseau, Emilio,
in Opere, a cura di Paolo
Rossi, Sansoni, Firenze 1989, pp.545 e 546).
Il carattere razionalistico del giusnaturalismo non contrasta con la
visione teologica dell'universo, che trova la sua dimensione autentica
nell'ordine logico impresso dal suo creatore e dalla morale che è
stata trasmessa agli uomini e che è fornita di un valore razionale
universale. Lo stesso diritto naturale è dotato di forte razionalità
etica. Per Galluppi, il senso etico è innato, come il diritto naturale
di origine divina, mentre per Kant è solo a priori, cioè diventa
un'esigenza assoluta della ragione pura pratica. Ma per entrambi il
diritto naturale immutabile non deriva dall'esperienza sensibile, anzi
la precede. Le critiche al giusnaturalismo arrivano nell'età del
Romanticismo e del Positivismo ad opera di posizioni
storicistiche o neoempiristiche che non accettano
l'esistenza di una razionalità apriori o innata. La legge universale
della ragione, come viene formulata da Kant e da Galluppi, è invece un
tentativo comprensibile di unificazione dell'umanità sotto una
sovranità unitaria: "La legge[naturale] è una norma in conformità della
quale siamo obbligati di fare le nostre azioni libere. Per norma
s'intende una proposizione la quale annuncia ciò che deve farsi o non
farsi. Se l'obbligazione di cui parliamo è fondata sulla natura delle
cose, la legge si chiama legge
naturale o legge della natura.
Il
principio della propria perfezione è la legge primitiva della
natura; poiché naturalmente ognuno è obbligato a perfezionare se
stesso, essendovi fra le azioni tendenti alla propria perfezione ed il
piacere costante una connessione necessaria, perché il secondo è un
effetto naturale delle prime.
Una legge siffatta è immutabile, vale a
dire inseparabile dalla natura dell'uomo e da quella delle cose
naturali. Iddio è l'autore supremo dell'uomo e delle cose tutte; egli è
dunque l'autore di questa obbligazione naturale o della legge di
natura. La legge di natura è perciò una legge divina, e la volontà di
Dio si è che noi fossimo obbligati di osservare questa legge. Iddio
creò
il mondo per manifestare le sue infinite perfezioni. La volontà di Dio
è
dunque che le infinite perfezioni si manifestino. A questo fine
generale
tendono tutti gli altri fini particolari delle cose tutte da Dio
create" (ivi, pp 93-94). Colpito inizialmente dal relativismo
storicistico
e materialistico, il diritto di natura si prende successivamente
la rivincita e risorge ponendo l'esigenza di trascendere le vicende
storiche delle morali provinciali e dei piccoli egoismi corporativi e
municipali e facendo appello alle più pure risorse della coscienza,
come
non può fare purtroppo il diritto positivo, al quale tocca nel migliore
dei casi di prendere spunto dalle regole scritte nel fondo
dell'esistenza civile.
prof. Salvatore Ragonesi
salvatoreragonesi@hotmail.com