‘U zu
Carmine, con il suo fedele e giovane asino Ciccineddu si recarono nella
vicina contrada "Vaccaro", che si trovava proprio sotto il cimitero del
piccolo paese nebroideo. Prima però passarono dalla biviratura, vicina
al cimitero, dove i due compari bevvero un bel "sorso" d’acqua fresca,
e ‘u zu Carmine riempì le brocche, i bùmmuli, che si era portato
dappresso per avere acqua fresca tutto il giorno. L’acqua, che
fuoriusciva dallo "sgriccio" e che si riversava nella biviratura,
proveniva dalla timpa Abate, sovrastante il paesino do’ zu Carmine.
Arrivati nella zona di Vaccaro, ‘u zu Carmine scaricò dalla groppa di
Ciccineddu l’aratro di ferro che si era portato per arare
l’appezzamento di terra.
Già dopo la falciatura del grano, ‘a metitura, aveva arato il
suo podere facendo amalgamare il terreno con le radiche del grano, ‘a
ristuccia, per poi farlo riposare, in attesa che le piogge autunnali,
irrorandolo, lo rendessero proficuo per la prossima semina. Questa
volta, ‘u zu Carmine, si accingeva a "passare" la seconda aratura, ‘a
rifunnuta, dopo aver appurato le buone condizioni del terreno,
abbondantemente irrigato dalle piogge di una settimana prima.
‘U zu Carmine, dopo aver depositato le sacche dall’asino, ‘i vèttuli, e
rassettato la casotta, preparò il basto adatto a Ciccineddu per poter
allacciare, ‘mpaiari, l’aratro per incominciare il lavoro di
“rifunnuta” del tirreno. E così, guidato e incitato dal suo padrone,
Ciccineddu venne condotto al margine del campo, dove affondò il vomere
dell’aratro per imprimere nella terra dei profondi solchi. Iniziò così
il via vai dell’aratro, in un verso e nell’altro, per preparare al
meglio il terreno di Vaccaro. Solcare, tracciare il solco nel terreno,
era un momento privilegiato per ‘u zu Carmine e Ciccineddu, significava
instaurare un profondo legame con il creato, una "parentesi" di pace e
di contemplazione, si sentiva solamente il loro respiro, lo schiamazzo
dei volatile… e il soffio leggero del vento.
A mezzogiorno ‘u zu Carmine liberò, spaiò, Ciccineddu dall’aratro e dal
basto, gli tolse il serraglio e lo fece bere dandogli acqua fresca
presa con un secchio dalla cisterna che era dietro la casotta, poi lo
lasciò libero di mangiare una porzione di paglia, ‘a pàgghia, ben
conservata per il giovane asino. Anche ‘u zu Carmine consumò un frugale
pasto, bevve un sorso di buon vino dal fiasco, ‘u ciascu, che si era
portato da casa. Tutti e due fecero una breve sosta, poi ritornarono a
solcare il terreno continuando la “rifunnuta“.
Prima dell’imbrunire, dopo aver riposto gli attrezzi da lavoro nella
casotta, ‘u zu Carmine e Ciccineddu, ritornarono nel paesino nebroideo
per il meritato riposo notturno, ma prima di ritirarsi passarono dalla
“gebbia” per l’ultima bevuta della giornata. Arrivati in casa, ‘u zu
Carmine spazzolò il fedele asino, lo fece entrare nella stalla dandogli
una buona porzione, ‘na junta, di fave secche per la nottata.
L’indomani mattina, ‘u zu Carmine, dopo aver fatto colazione, scese
nella stalla, diede una zolletta di zucchero a Ciccineddu, poi gli mise
il basto, le sacche, i vèttuli, il serraglio, e tutti e due si
avviarono verso la campagna di Vaccaro per continuare il lavoro di
“rifunnuta“, di aratura del terreno.
La Timpa Abate sembrava che sorvegliasse l’andirivieni do’ zu Carmine,
che accompagnato dal suo fedele asino si avviava a Vaccaro per
continuare il lavoro del giorno prima; anche la terra sembrava gradire
di essere arata e solcata, emanando… odore di nuovo. Finito il lavoro
di rifunnuta, ‘u zu Carmine, armato di zappa, si mise a vangare il
terreno attorno agli alberi posti ai bordi del podere. E mentre ‘u zu
Carmine zappuliava, Ciccineddu si concedette un meritato riposo per
brucare in piena libertà nei pressi della casotta, dove cresceva
abbondantemente l’erba. Poi ritornarono al paesino nebroideo, in attesa
dei prossimi lavori di semina nel terreno di contrada Vaccaro.
Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it