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Vi racconto ...: La storia del mio cammino di Santiago de Compostela

Redazione
Ho deciso di raccontarvi una storia che ha cambiato la mia vita.
Inizio con un certo Padre Elias, un sacerdote spagnolo, che nel 1982 ebbe la felice idea di ripristinare la vecchia via che, nel Medioevo, usavano i pellegrini per andare a visitare i vari luoghi di culto. All’epoca, la Spagna aveva una miriade di paesini fantasma, abbandonati per la troppa emigrazione. Paesini con case ridotte in macerie e abitate solo da pochi anziani. Paesini arroccati su pendii scoscesi e valli impraticabili, dove non passavano strade asfaltate e per andarci si dovevano usare solo le gambe. Don Elias si armò di santa pazienza e di pittura gialla, e mentre percorreva sentieri e trazzere, segnava un albero o un angolo di casa con una bella freccia gialla in evidenza. Alcuni sindaci non furono molto d’accordo a vedere tutto il paesaggio imbrattato di giallo e fu pure minacciato di denuncia, ma lui rispondeva sempre: “Lasciatemi fare, che vi sto preparando un’invasione!”. Ebbe ragione! Adesso il “Camino de Santiago” è patrimonio dell’umanità. I pellegrini di tutto il mondo lo percorrono, e quei paesini sono risorti e tutti vivono bene! In quelle valli, adesso, ritrovi paesini di soli 30 abitanti e 9 aubergue!
Nel gennaio di quest’anno, per caso, sento parlare del cammino di Santiago, che sulle prime scambiai per Santiago del Cile, e da quel momento cambiò la mia vita. Non so spiegarvi come e perché, quel luogo era come se mi chiamasse da tempo… almeno questo è stato l’effetto che mi ha fatto! Mi sono iscritta ad un gruppo online, dove le persone che decidevano di fare questo “cammino” si scambiavano idee e opinioni, e si mettevano d’accordo per farlo insieme. Sono stati mesi di frenesia, in ogni momento della giornata ero “collegata” su youtube per vedere filmati e immagini relative al cammino. Fu così che mi misi d’accordo con delle persone che mi proposero di partire con il mio camper. Per essere considerati pellegrini bisogno avere delle “credenziali”, cioè, una specie di passaporto per poter usufruire dei vantaggi dello status di “pellegrino”. La credenziale mi venne rilasciata dalla confraternita di San Giacomo, ente autorizzato per la Sicilia, con sede a Caltagirone, il cui priore è don Massimo Porta.
Inizia da San Jean Pied de Port, in Francia, il “Camino de Santiago de Compostela”. Ci dirigiamo, all’inizio, al centro accoglienza, un tavolo e otto impiegati multilingue. Dopo aver timbrato e registrato il “passaporto” ci danno le indicazioni sul primo tratto da seguire. Ci hanno chiesto, persino, qual era lo scopo del nostro pellegrinaggio, se religioso, turistico, o spirituale. Due monitor ci aggiornavano sulle condizioni meteo della città; in una cesta c’erano vari depliant dei luoghi da visitare e delle conchiglie (di due euro), simboli del pellegrino. Notai che le strade erano piene di ristoranti, alberghi, negozi di souvenir… e di bastoni; per una mantellina di plastica ed uno zaino ci volevano 44 euro!
I pellegrini partivano alle sei del mattino, le tappe erano di circa 20 – 22 km, quindi, si arrivava a destinazione non prima di mezzogiorno, per i più veloci, e verso le 14 per i più lenti. Spesso, dopo aver completato la tappa giornaliera sul mio camper, imboccavo il sentiero al contrario e, con il mio bastone e la conchiglia, che tenevo sempre appesa al collo, andavo incontro ai pellegrini.
E durante il mio “Buen camino”, osservavo fin nei minimi particolari ogni sfumatura del paesaggio. Notavo la fauna, cicogne che non avevo mai visto prima, quaglie e coturnici a migliaia su prati immensi, passerotti dalle strane abitudini, famigliole di aquile librarsi in volo, una martora che attraversò la strada fermandosi un attimo. Poi la flora, esageratamente grande, rose canine grandissime, ginestre bianche che neanche sapevo esistesse, finocchietto, senape, erbe amare. Ho notato che gli spagnoli hanno un diverso modo di seminare il grano, non fanno i solchi, ma lo seminano a sfaglio, facendolo crescere molto fitto, senza nessuna traccia di erbe infestanti, come il papavero o il fiordaliso. Le campagne spagnole sono molto curate e tutte seminative, e, a differenza delle nostre, non ci sono case isolate, quindi per andare nei vari poderi bisogna percorrere grandi distanze. E come fare un viaggio nel tempo, spesso ti ritrovi in paesini piccolissimi, con quaranta anime, quasi tutti parenti, le donne, quasi tutte contadine, allevano mucche e galline, che scorazzano il più delle volte per strada. Ho notato anche che erano restii e refrattari al dialogo e all’incontro. I paesi sembravano deserti, spesso ci chiedevamo dove fossero gli abitanti, ci colpiva, soprattutto, l’assenza totale di bambini, per ben 15 giorni non ne vidi mai uno! Mi osservavano, incuriositi, tutte le volte che raccoglievo le erbe selvatiche ed ho saputo, in seguito, che di tutto quel ben di Dio, gli abitanti del luogo non ne raccolgono quasi niente, non lo conoscono nemmeno! A volte, molti pellegrini che mi vedevano raccogliere erbe, si fermavano… per una foto ricordo! Uno spasso!
Poi, all’improvviso, il cammino sbucava in una città… e in attimo, dopo essere stata nel passato, venivi proiettata nel futuro, trovavi il traffico, la gente operosa, le strutture moderne, i centri commerciali infiniti, i negozi di lusso e le donne eleganti. Ma dappertutto trovavi la “conchiglia di San Giacomo”… e le frecce gialle che indicavano il cammino. La conchiglia la scorgevi ovunque, sui tombini per terra, sulle ringhiere di ferro, nelle fontane a forma di conchiglia, sui marciapiedi, sulle facciate delle case, nei ristoranti, nelle strade e autostrade, sui cartelloni a caratteri cubitali.
E tutt’intorno vedevi solo pellegrini che passavano quasi inosservati, ognuno col proprio zaino e la loro “scelta interiore”. Le frecce indicavano i punti di ritrovo, e in ogni paese c’erano delle strutture con uffici preposti all’accoglienza, che con tanta gentilezza ti timbravano la credenziale, la datavano, ti davano la cartina della città con i posti turistici da visitare. In ogni paese c’erano degli ostelli d’accoglienza, i municipal, che con soli 10 euro potevi fare la doccia e pernottare. Erano strutturate con cameroni enormi, i posti variavano da 70 a 120, pieni di letti a castello, ognuno dormiva nel proprio sacco a pelo, senza lenzuola. La ritirata era alle 22,00, la partenza alle 6,00 del mattino (la colazione costava 3 euro, la cena 9, per lavare la biancheria il costo era 6 euro, per asciugare altri 6 euro). Se eri in tenda e volevi fare solo la doccia il costa ammontava a 3 euro.
Durante il cammino pensi che sei unito agli altri, ed invece il cammino ti separa, tuo malgrado, perché ognuno ha i suoi tempi e le sue esigenze. Quindi sei solo con te stesso, rifletti per ore ed ore, ed è quasi come morire perché la vita te la ritrovi lì davanti, tutta intera, fin nei minimi particolari, ricordi cose che pensavi d’aver rimosso, piangi e sorridi da solo, capisci i tuoi sbagli e perdoni, sei in pace con tutti, ed impari ad amare la vita.
 
Maria Agrippina Amantia, pellegrina








Postato il Domenica, 08 settembre 2013 ore 07:00:00 CEST di Angelo Battiato
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