All’inizio
degli anni cinquanta, in un paesino all’interno della Sicilia, sul
crinale dei Monti Nebrodi, c’era un contadino che aveva un giovane
asino. Questo contadino, ogni giorno, di buon mattino, si alzava e dopo
aver salutato la moglie, scendeva nella stalla per accudire il suo
asino, poi gli metteva il basto ed il serraglio e tutti e due, padrone
ed animale, si avviavano verso l’uscita del paese, prendevano una
strada di campagna, una trazzera, la percorrevano per arrivare presso
la campagna di proprietà del contadino.
Arrivati sul posto, l’asino veniva liberato, sia dal basto che dal
serraglio, mentre il suo padrone si avviava ai lavori dei campi.
L’asino non si allontanava molto dal suo padrone, tutti e due stavano a
vista d’occhio, poco distanti l’uno dall’altro.
Il contadino, ‘u zu Carmine, aveva per quell’asino un affetto quasi
filiale, tanto che gli aveva dato anche un bel nome, Ciccineddu, (vezzeggiativo di
Ciccio), sia perché era un giovane animale e poi, in modo affettivo, un
diminutivo datogli con un ardore paterno.
Sembrava che l’asino avesse capito il sentimento do’ zu Carmine e
seguiva il suo padrone fedelmente.
Alla sera, finiti i lavori in campagna, tutti e due ritornavano al
paese per godersi il meritato riposo e passare la nottata dentro le
mura domestiche.
Questo era il tran tran quotidiano do’ zu Carmine, e di Ciccineddu, il
suo giovane asino. Il contadino passava molto più tempo con il suo
asino che con la famiglia, tanto che erano diventati una “vera” coppia,
così venivano considerati, sia in famiglia che nel paese. Parlavano di
loro come di una “coppia simbolo”, ‘u zu Carmine era il personaggio
principale, ma l’asino, Ciccineddu, ne era la sua degna spalla.
La simbiosi, tra il contadino ed il giovane asino, era talmente
“stretta” che ambedue agivano con grande… “sintonia”, ‘u zu Carmine, al
mattina, oltre a far bere Ciccineddu, lo strigliava e poi gli dava, con
la palma della mano, una piccola quantità di zucchero che l’animale
trangugiava festoso, protendendo la sua lingua nella mano del suo
padrone per gustare… quel saporito e frugale pasto!
Le attenzioni do’ zu Carmine verso l’animale erano diventate un rito,
ed il rapporto tra loro due cresceva ogni giorno di più, tanto che
mentre camminavano per le trazzere, ‘u zu Carmine esprimeva il suo
pensiero a voce alta, e Ciccineddu volgeva lo sguardo verso il padrone,
il quale era “convinto”, e contento, che l’asino capisse e approvasse
le sue lunghe “discussioni”.
Erano arrivati al punto che si avviavano per le trazzere come fossero
due vecchi amici, a volte capitava che ‘u zu Carmine inveiva contro
Ciccineddu, il quale sembrava dipendere in tutto e per tutto dal
pensiero e dall’umore del suo padrone.
In rare occasioni capitava che ‘u zu Carmine salisse in groppa
all’asino, il più delle volte li vedevano camminare come due compagni,…
l’uno al fianco dell’altro.
Ma dove c’è pace vi è sempre qualcuno che vuole minarla, e questo
qualcuno ha un nome ben preciso: la signora “Invidia”, una brutta
“megera” che non poteva sopportare il clima di amicizia e di armonia
che si era instaurato tra ‘u zu Carmine e Ciccineddu. Questa vecchia
strega cercava, in tutti i modi, di minare l’armonia tra i due,
istigava i vicini di casa ed i paesani che, alla fine, cominciarono a
fare delle invettive contro i due “amici”:
- Ma comu, havi ‘u sceccu e nun si ci metti ‘ncoddu, ma chi
ci pari ca è ‘ncani?
Ma comu, ci duna magari ‘u zuccaru?
- Camìnunu ‘nsemi e magari ‘u zu Carmine parra cu sceccu,
ma picchì iè cunvintu ca l’animali ‘u capisci?
Quando la “Signora” Invidia cominciò questi attacchi, sembrò che ‘u zu
Carmine ne fosse rimasto vittima e, per un po’, ne venne condizionato.
Infatti, dava lo zucchero, di nascosto, dentro la stalla, poi, uscito
dalla stalla, si metteva in groppa all’asino e durante il
tragitto stava attento a non “rivolgergli” la parola, soprattutto,
quando venivano affiancati da paesani.
Ma l’Invidia volle andare più a fondo per colpire la “coppia”, ed i
paesani vedendo che ‘u zu Carmine era sempre in groppa all’asino,
cominciarono a mormorare contro, dicendo:
Ma comu, havi ‘u sceccu ancora giovani e già ‘u sfrutta accussì?
Stu sceccu, sfruttatu ppi com’è, non campa assai!
Sentendo questi mormorii, ‘u zu Carmine si angustiò, rimanendoci male,
rattristandosi e non riuscendo a dormire la notte, pensando e
ripensando a come comportarsi.
Questo durò per poco tempo, il giorno seguente, ‘u zu Carmine, si vestì
in tutta fretta, scese nella stalla, come faceva sempre, ma questa
volta si avvicinò deciso verso il suo giovane asino, lo abbracciò, lo
accarezzò, gli diede lo zucchero, lo fece bere, gli mise il basto ed il
serraglio, poi lo guardò negli occhi e gli disse: “Senti Ciccineddu, tu
si ‘u me sceccu, ma iù a tia ti vògghiu beni comu ‘na pirsuna. Da ‘sta
matina a nui nun c’interessa da ‘nvidia chi cianu i nostri paisani. Iù
e tia caminamu, parramu, chiddu ca vulemu fari facemu! Capii ‘na cosa,
a mia da ‘nvidia da genti nun mi ni ‘mporta propri unenti!”.
E dopo aver esclamato, quasi ad alta voce, “questo discorso”,
continuando ad accarezzare l’asino, ‘u su Carmine si stette zitto,
guardando Ciccineddu, come se aspettasse una risposta dall’animale.
E Ciccineddu ricambiò affettuosamente lo sguardo e, anche se non era
sua abitudine, emise un potente grido, “confermando” il discorso del
suo padrone che, soddisfatto della risposta, lo avviò verso l’uscita
della stalla e tutti e due, con grande armonia, e soddisfatti di aver
sconfitto l’invidia, si avviarono da buoni amici verso la campagna,
come sempre, l’uno al fianco dell’altro.
È solo fantasia!? Si! Ma è, soprattutto, un bell’esempio di armonia, di
lealtà, e di pace, tra un animale e il suo padrone! Dai cuori nobili,
speciali, e rari! Questa è la vera favola!
Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it