Per il presente
e il futuro dell’istruzione e la ricerca in Italia, la Legge di
Stabilità non sembra essere un segno di progresso. Per la prima
volta dopo tre anni nei quali si era comunque trovato il modo di
limitare la riduzione delle risorse per l’università, l’ultimo
provvedimento non sembra dare alcuna certezza. Per questo al governo, e
in particolare al ministro Profumo, è stato chiesto un impegno più
forte ed esplicito. La nostra non è una richiesta sterile, ma si basa
su due ragioni fondamentali. La prima è dall’inizio al centro del mio
dialogo con i lettori sull’Unità. Scommettere
sull’università e la ricerca significa anche scommettere sull’Italia in
Europa, e quindi fare propri i suggerimenti di un’Europa che non
mostra solo un volto “ragionieristico” e legato ai vincoli finanziari,
ma stabilisce alcuni “vincoli culturali” essenziali, come quelli
impostati nella Strategia2020. Pensare di contrastare la fuga
dall’università a cui assistiamo oggi in Italia senza risorse adeguate
non è plausibile ed è necessario invertire la tendenza. Non c’è vera
tecnica senza la comprensione di questo punto essenziale. Il secondo
punto, in vista dell’appuntamento elettorale italiano, riguarda il rapporto tra governo, Parlamento e
pubblica amministrazione: spesso la situazione italiana si
avvita in una “sovranità auto-limitata” che non va imputata a Bruxelles
(in cui il ruolo dell’Italia è quello della condivisione della
sovranità), ma a una gestione calcolatrice e priva di prospettiva della
fiscalità generale italiana, che non sembra essere mutata quasi per
nulla nel passaggio tra il governo Berlusconi e quello guidato da Mario
Monti. Il compito di una politica di centrosinistra, quindi, davanti
all’individuazione delle priorità per l’interesse generale del Paese,
dovrà essere quella di superare tutte
le resistenze al cambiamento, così fortemente presenti nelle classi
dirigenti italiane, compresi i ranghi più elevati della pubblica
amministrazione. In questo scenario sconfortante, c’è stato un segnale positivo, che fa intravedere la
stella polare del prossimo governo, e su cui perdurerà
l’insistenza del Partito Democratico. Riguarda
l’approvazione, oggi in Commissione, dell’emendamento presentato
da Manuela Ghizzoni, deputata PD e presidente della Commissione
cultura della Camera, grazie al quale viene rifinanziato con 50
milioni il Fondo statale per il diritto allo studio. Così nel 2013
l’intervento dello Stato a favore degli studenti sarà molto vicino a
quello di quest’anno. Il Parlamento ha migliorato l’impatto della legge
sugli studenti in modo decisivo, ma il risultato non deve farci affatto
gridare vittoria. Stiamo parlando, infatti, di risorse di entità assai
inferiori ai principali paesi europei, e del tutto insufficienti
rispetto alle necessità degli studenti italiani. Tanto più che le
Regioni hanno ridotto il loro contributo, caricandolo sull’aumento
della tassazione studentesca. È per questo che da mesi chiediamo al
governo, purtroppo invano, di cambiare del tutto l’impostazione delle
politiche per il diritto allo studio. Le politiche per la crescita e
per la qualificazione del capitale umano rischiano infatti di essere
vuote chiacchiere (come è stata, finora, la “meritocrazia”
all’italiana) se non si affronta l’emergenza del diritto allo studio,
come asse centrale di una politica che miri alla mobilità sociale e
alla eguaglianza di opportunità per i giovani italiani.
Marco Meloni
L’Unità
Marco Meloni
L’Unità