L'ASSUEFAZIONE DI UN NAZISTA ALL'ORRORE
Data: Venerd́, 15 febbraio 2008 ore 16:14:37 CET
Argomento: Rassegna stampa


L'ASSUEFAZIONE DI UN NAZISTA ALL'ORRORE
 
 
Si vocifera da più parti: in Italia non escono romanzi di valore. Ne compaiono però molti negli Stati Uniti (basti pensare a Roth, Delillo o Cunningham), in Europa e nel resto del mondo (come dimenticare il premio Nobel Pamuk?). Ben venga allora, tradotto dal francese e non a caso Premio Goncourt 2006, "Le benevole" dello scrittore statunitense Jonathan Littell, (Einaudi, pp.956, € 24), un libro forte che racconta la tragedia per antonomasia di tutti tempi: la seconda guerra mondiale, l’evento storico forse più sviscerato della vicenda umana.
Solito tema, solita storia? No. Perchè questo romanzo, con un bell’inizio alla Dostoevskij delle Memorie dal sottosuolo, tratta una storia feroce, intrisa di ferocità, narrata con una scrittura altrettanto feroce e impietosa. Maximilian Aue, ex criminale di Guerra, decide di ripercorrere sul filo di una memoria tagliente e acuta le fasi più raccapriccianti del conflitto. Naturalmente con gli occhi di un nazista che, ed è qui la tragedia vera per lo scrittore e per l’inconsapevole lettore, a poco a poco si abitua gradualmente all’orrore. Così, mentre l’umano diventa disumano e la follia omicida ordinaria amministrazione, Maximilian percorre tutti i gradi della discesa agli inferi. Dapprima prova pietà e disgusto, poi subentra la più pericolosa di tutte le attitudini umane: l’abitudine.
Il nazista si svela chirurgo che seziona il passato, uomo senza umanità in uno scenario europeo senza più Dio, colto da una lieta e precisa indifferenza; e il lettore, di pagina in pagina, si sente trasportato tra vittime innocenti, esecuzioni sommarie, mucchi di bambini candidi uccisi sotto gli occhi dei genitori, orrori senza fine.
Dunque nella storia di Maximilian c’è un messaggio inquietante, sconvolgente, subdolo: l’essere razionale per eccellenza, l’uomo dalle magnifiche e progressive sorti, non ha limiti. Può attingere il cielo come piombare nell’abisso del male. E’ evidente: il vero pericolo per l’uomo è solo l’altro uomo, quel “fratello” che, quasi ironicamente, compare nel monologo iniziale.
E il lettore, compiutasi la catarsi, capisce: tutti, nella nostra disumana umanità, siamo potenzialmente quei terribili implacabili nazisti.

SILVANA LA PORTA








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