L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani
Data: Giovedì, 14 febbraio 2008 ore 17:23:52 CET
Argomento: Rassegna stampa


 

"Il futuro non è più percepito come promessa ma come minaccia. Da ciò la crisi: la psiche è sana quando è aperta al futuro. Il futuro chiude le sue porte o si apre per presentarsi come incertezza" Umberto Galimberti - L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani- Feltrinelli, Milano 2007 Questo libro di Umberto Galimberti è una penetrante e lucida indagine sulla condizione giovanile. La chiarezza dell'esposizione, la conseguente ottima accessibilità per il lettore medio e la materia, così bruciante, hanno fatto sì che il libro navighi in buona posizione nelle classifiche di vendita. La tesi di fondo che anima il nuovo saggio di Umberto Galimberti, filosofo, psicologo e saggista di successo, è che il mondo di oggi, in particolare quello dei giovani di oggi, sia pervaso dal nichilismo e dall’assenza di valori e di senso.
Oggi i giovani stanno male, dice Galimberti, non per le crisi esistenziali ma perché tra di loro si aggira un ospite inquietante, il
nichilismo, che “penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui”

m.allo

Risulta accurata l'analisi di Antonio Carolla .Eccovi il saggio

Sull'orma di Nietzsche alla domanda: che cosa significa nichilismo?, rispondiamo che i valori supremi perdono ogni valore. Come ci si è arrivati? Galimberti in brevi e illuminanti capitoli descrive la nascita e la presenza di quest'ospite inquietante nella cultura e nella civiltà occidentali. Nella geografia del pensiero greco, nel quale decisivo è il contributo di Platone, era possibile distinguere tra “le cose di lassù” e “le cose di quaggiù” in un clima di stabilità che consentiva di riconoscere il vero e il falso, il giusto e l'ingiusto, il buono e il cattivo, l'effimero e l'eterno e nel contempo seguire un cammino sicuro dalla terra verso il cielo sul filo di una direzione, di una meta da raggiungere. “Nella realizzazione del fine c'era promessa di salvezza e verità”. Su questa concezione s'innestò l'annuncio giudaico-cristiano che parlava di una terra promessa e di una patria ultima. La rivoluzione copernicana sconvolse tutto questo. La terra che girava intorno al sole, che a sua volta era lanciato in una corsa senza meta, dimostrava la relatività di ogni movimento e di ogni posizione nello spazio. Per conseguenza le antiche parole che indicavano l'essenza delle cose adesso assumevano il valore di una relazione tra le stesse cose. L'universo perse la sua identità, il suo ordine, la sua finalità; era divenuto per l'uomo solo un immenso campo di indagine. Da ciò lo sviluppo della tecnica spinto dal freddo uso della ragione e del calcolo per il raggiungimento, non di una meta, di un fine, ma di un risultato. L'anima dell'uomo “congedatasi da ogni orizzonte di senso, prese a vagare in compagnia del più inquietante tra tutti gli ospiti, il nichilismo”. I riferimenti tradizionali - i miti, le trascendenze, i valori - sono stati erosi dal disincanto del mondo (Franco Volpi). Il filosofo rumeno Costantin Noica parla di malattia dello spirito: le stelle si sono ammalate, così pure il cielo, la luce, il tempo; anche la vita si è ammalata per le incertezze indicate dalla biologia per la quale essa è una semplice tumefazione della materia.

Il filosofo e psicoanalista argentino Miguel Benasayag e lo psichiatra infantile e dell'adolescenza Gérard Schmit nella loro opera “L'epoca delle passioni tristi” (vedi box a sinistra) hanno analizzato le ricadute del nichilismo sulla condizione giovanile. Essi si sono accorti che per gran parte delle persone esaminate le sofferenze non avevano una vera e propria origine psicologica, ma “riflettevano la tristezza diffusa che caratterizza la nostra società contemporanea, percorsa da un sentimento permanente di insicurezza e di precarietà”. Il futuro non è più percepito come promessa ma come minaccia. Da ciò la crisi: la psiche è sana quando è aperta al futuro. Il futuro chiude le sue porte o si apre per presentarsi come incertezza, inquietudine, precarietà, insicurezza; si spegne ogni iniziativa, scemano le energie vitali, si svuotano le speranze, dominano la demotivazione e l'impotenza. La crisi attacca i fondamenti stessi della nostra civiltà. Sono crollate la visione ottimistica del mondo, la convinzione che la storia dell'umanità è una storia di progresso e di salvezza. Inquinamenti, disuguaglianze sociali, disastri economici, nuove malattie, esplosioni di violenza, intolleranze e razzismo, radicamento di egoismi, speculazioni selvagge, pratica abituale della guerra hanno fatto precipitare il mondo in una “casualità senza direzione e orientamento”.
Venuta meno la promessa di un futuro genitori e insegnanti non sono più in grado di indicare la strada. La perdita di autorità, il rapporto paritario, hanno lasciato i giovani soli di fronte alle loro pulsioni e alle loro ansie. La famiglia e la scuola non li aiutano più a costruirsi una identità. Gli insegnanti istruiscono, non educano, non rafforzano con riconoscimenti, deprimono piuttosto con critiche e derisioni. quel potente motore di formazione culturale che è l'autostima. L'identità, un bisogno assoluto per ciascuno di noi, si costruisce attraverso il riconoscimento dell'altro. Se questo manca, se famiglia e scuola sono assenti, resta la strada con le sue lusinghe di sesso, alcool, droga, nel parossismo di una musica sparata e di una velocità elettrizzante. Le conseguenze sono la rimozione del reale per l'incapacità di affrontarlo o la frustrazione che spinge verso il divertimento. Il rifugio nel sesso e nella droga è il rimedio per chi non è stato accettato nella realtà a causa dei mancati riconoscimenti. Galimberti dice: “I giovani cercano i divertimenti perché non sanno gioire. Ma la gioia è soprattutto gioia di sé, quindi identità riconosciuta, realtà accettata, frustrazione superata, rimozione ridotta al minimo”. La scuola non fa nulla di tutto questo, svolge i programmi ministeriali, ritiene che il suo compito è istruire, non educare. Così i nostri ragazzi trascorrono l'adolescenza e la prima giovinezza parcheggiati nella terra di nessuno dove famiglia e scuola brillano per assenza, il tempo è vuoto, l'identità non ha riscontri, l'autostima deperisce. La forza biologica, emotiva, intellettuale, propria dell'età, sfocia così in stordimento dell'apparato emotivo con le notti in discoteca e i percorsi della droga; nel disinteresse per tutto che porta all'ignavia, all'indifferenza, alla non partecipazione; nel gesto violento per scaricare le emozioni; nella genialità creativa se il carico emotivo è autodisciplinato.

Galimberti prosegue nella sua acuta analisi degli altri fattori caratterizzanti la condizione dei giovani. Vengono passati in rassegna l'analfabetismo emotivo, l'inaridimento dei sentimenti, il deserto emotivo, la mancanza di forza d'animo; e poi la pubblicizzazione dell'intimità, la seduzione della droga, con riferimenti alle varie specificità: eroina, ecstasy, cocaina, il gesto omicida e quello suicida, l'angoscia, la maledizione e l'insensatezza nichiliste. Sotto le lenti sono anche i focolai di rinascita della generazione del terrorismo ideologico, la “generazione X” degli indifferenti o degli svuotati o degli sprecati (una tribù con scarsa autoconsiderazione, con sensibilità fragile, introversa, indolente, immersa nell'inerzia per eccessiva esposizione agli influssi della televisione, preoccupata soltanto di avere molto tempo libero per affogare nell'assoluta insignificanza); la “generazione Q” dal basso livello intellettivo ed emotivo, degli squatter che non credono al cambiamento del mondo, non gridano rivoluzione, ma sono rannicchiati in una disperata rassegnazione; i ragazzi dello stadio con la loro violenza nichilista.

E' possibile l'oltrepassamento del nichilismo e soprattutto la sua ricaduta sui giovani? Galimberti da tempo ha elaborato una sua teoria, “etica del viandante”. Egli afferma: “L'andare che salva se stesso, cancellando la meta, inaugura una visione del mondo radicalmente diversa da quella dischiusa dalla prospettiva della meta che cancella l'andare”. I giovani d'oggi, al pari del viandante, recalcitrano ad ogni schema di progressione, dicono sì al mondo, e non a una sua rappresentazione tranquillizzante. Si tratta della capacità di disertare le prospettive finalistiche per abitare il mondo nella casualità della sua innocenza. Siamo qui nel cuore della proposta filosofica di Galimberti, che si snoda per un capitolo di rara forza e originalità speculativa, seguito da quello dedicato, con sorprendente acume, alla musica giovanile e al ritmo del cuore.
Infine Galimberti riprende il tema dell'oltrepassamento del nichilismo, almeno nei riferimenti della condizione giovanile. Un modo è quello di “risvegliare e consentire a giovani di dischiudere il loro segreto, spesso a loro stessi ignoto”. Nel segreto della giovinezza troviamo come prima figura l'espansività, che vuol dire pienezza, la potenza che esprime lo spirito di sfida del giovane contro gli elementi, l'accelerazione della vita, la coralità giovanile, cioè la sensazione di appartenere ad una comunità nascente, di essere tra giovani prima ancora che nel mondo, lo stupore incantato del riconoscimento da cui nasce la propria identità “attraverso quel palpito che muove migliaia di cuori che fanno un unico cuore” (Aleixandre) per intonare “il canto di tutto l'amore del mondo” (Apollinaire); e pure l'adesione alla pienezza della vita, la passione, l'utopia giovanile che non è necessariamente una fuga nel sogno, ma un pensare con il cuore che immette nel pensiero una corrente di calore. Altre figure sono il viaggio per assorbire visi, parole, moltitudini, per non morire di noia, la sfida per mettersi alla prova, la trasformazione come missione creativa del cambiamento, la riappropriazione di quanto di energia si è depositato “nel sottosuolo dell'anima”. Galimberti avverte che il rimedio proposto non è di facile e immediata attuazione. Esso si trova nel riconoscimento di quello che ciascuno di noi propriamente è, quindi della propria capacità. L'esistenza è giustificata non dalla ricerca di un senso, ma dall'arte del vivere che consiste nel riconoscere le proprie doti e nel saperle mettere a frutto approdando così a “quell'espansione della vita a cui per natura tende la giovinezza e la sua potenza creativa.

Antonio Carollo







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