LE PAROLE DI ELIODORA
Data: Mercoledì, 13 febbraio 2008 ore 19:40:28 CET
Argomento: Rassegna stampa


Da Scribeide (Prefazione) dice di lui il nostro grande critico Romano Luperini  :  " Cepollaro gioca sul montaggio, con ferma esattezza. Non tende, tuttavia, all'informale, bensì all'espressività, su una linea aspra e risentita (anche eticamente) che da Jacopone giunge sino a Pagliarani (e penso soprattutto al Pagliarani che mette in versi Savonarola). Nonostante le apparenze, i suoi versi non aspirano a un'endofasia letteraria, ma a una "girandola" fra il "qui"della letteratura e l'altrove" della realtà materiale, nella richiesta, che scaturisce come da un vortice raggelato, di un "senso qui". Il suo sperimentalismo non ha niente d'incomposto e di viscerale, ma tende a una cadenza meticolosamente misurata, a un ritmo quasi matematico. E tuttavia la sorpresa scatta egualmente nel contrasto tra tale chiusura rigidamente formale e un'apertura invece informale, fra regola letteraria e anzi iperletteraria e dissonanza capace di mettere in scacco la norma e di schiudere dei varchi entro i quali può precipitare un caos-dell'inconscio e del reale- non facilmente addomesticabile dalla letteratura.
Cepollaro esprime una tendenza nuova della poesia dei giovani, che, mentre ritorna al montaggio e a tecniche sperimentali, dopo il periodo postsimbolista della generazione di mezzo (quella che oggi è fra i quaranta e i cinquanta anni), è ormai lontana dall'esplicito moralismo ideologico degli officineschi come dal visceralismo linguistico dei "novissimi" (anche se, indubbiamente, "Officina" e il Gruppo 63 ne costituiscono il necessario retroterra; di qui il ruolo particolare di Pagliarani, allora, come oggi in queste poesie di Cepollaro, di trait-d'union fra queste due esperienze).
La "dispositio artificialis" di Scribeide punta su un'esigenza di ordine, dunque di nuova razionalità. Ed è, questa, un'altra ragione di interesse per una proposta poetica di sicuro valore e di singolare originalità-.
 Allora non conoscevo un precoce libretto di Cepollaro, Le parole di Eliodora (Forum/Quinta Generazione, Forlì, 1984) se no avrei potuto misurarne meglio l'enorme progresso realizzato in pochi anni. Eppure, già in quei versi, la tecnica era quella del montaggio-non del collage informale e ludico- e si poteva leggere un verso che potrebbe servire da insegna anche di Scribeide: -le parole le danno le cose-. In quelle schegge di immagini erotiche frammiste a frammenti di riflessione e di conoscenza razionale si intravede già, nonostante alcuni cedimenti alle poetiche allora di moda, un'inversione di metodo rispetto al dominante postmodernismo: quasi una risposta all'echiano – 'nomina nuda tenemus', al nominalismo o al misticismo del linguaggio allora (ma anche oggi) corrente.
Poi, naturalmente, questo processo è stato approfondito in una direzione che tende a unire materialità e primitività elementare del linguaggio e materialità originaria delle cose (nell'amore per Jacopone e altri duecenteschi e per i dialetti meridionali c'è qualcosa che può ricordare quello di Tozzi per Santa Caterina o per San Bernardino o per Sacchetti o per il vernacolo senese: un bisogno di originario, contro ogni con-venzionalismo letterario). Insomma, è esistito un tempo in cui parole e cose si corrispondevano; oggi esso non esiste più (lo sa bene anche Cepollaro, che non è affatto ingenuo) e il linguaggio è costretto perciò a imbastardirsi, a ibridarsi, a giocare sul vuoto fra significanti e significato......"
m.allo
Ma eccovi Le parole di Eliodora di Carlo Villa

UN MECCANISMO INCEPPATO
Canetti una volta scrisse dell’impudenza di quei critici letterari che
costruiscono la loro fortuna sfruttando la disperata solitudine dei poeti.
Holderlin visse da folle negli ultimi anni della sua vita. Kafka destina al rogo
i suoi scritti prima di morire. Rimbaud brucia nel silenzio e nella fuga da se
stesso l’enorme patrimonio visionario de ‘Le illuminazioni’, ed ecco, alla
scomparsa di costoro, eserciti di esegeti, commentatori, catalogatori,
imbrattatori, azzannare i resti di vite così sofferte e vilipese, semplicemente
per esistere ed essere citati; in luogo dell’oblio sopportato in vita dai
destinatari di tanta speculazione.
E’ davvero atroce il divario di un Musil, che muore isolato e
sconosciuto, continuamente ostacolato in vita nella stesura del suo
capolavoro, e i numerosi convegni fioriti attorno alla sua tomba.
Eppure quest’aspetto rapace e parassitario del critico finisce per essere
una solenne garanzia per il poeta. Si tratta di una sottile dialettica hegeliana
tra padrone e servo; di una sorta di resistenza non violenta, per cui l’opera
valida, sottoposta al vaglio del tempo, attraverso gli artigli e i morsi di
codesti sciacalli smembra cadaveri, finirà per ridursi a smagliante e sano
scheletro essenziale, illuminando di sé la letteratura a venire.
La poesia non può, non deve essere compresa ed accettata subito; per il
semplice fatto che innova la sensibilità corrente, rompe gli usuali schemi
espressivi, mina l’aspettativa del lettore, deraglia il già tracciato, e dunque
sbalordisce, indigna, reca scetticismo e fastidio in chi la legge: guai se non lo
facesse.
Un nuovo, autentico poeta, questo lo sente vero, ancor prima di accettarlo
e di capirlo; altrimenti non si porrebbe neppure dinanzi alla carta bianca nel
tentativo di fermare ancora una volta gli assurdi del destino umano. Un
nuovo poeta deve fare i conti con millenni di sensibilità già organizzata e
ferma nei testi dei suoi infiniti predecessori: un’impresa davvero fatale e
gigantesca. Eppure , se poesia c’è in lui, ancora una volta si compie il
miracolo, e quei moti dello spirito, tramite questo miracolo, penetrano nel
lettore come nuovi, suscitando in lui echi affatto sconosciuti.
E non si può negare che Biagio Cepollaro, con questo suo:’Le parole di
Eliodora’, abbia trovato una sua cifra originale per farcela, per ripetere
questo inesplicabile miracolo.
Già la forma degli accapo, il taglio dei versi, la metrica, l’asciuttezza dei
componimenti, pervasi tutti da una ‘laconicità socratica’, in Cepollaro che si
è laureato con una tesi su Nietzsche, recano nel lettore un progetto di poesia
essenziale e di lunga durata. In lui per davvero il risplendente scheletro del
discorso, spolpato di tutte le parole superflue e ridondanti, illustrative e
‘poetiche’, si staglia nitido e cruciale.
Cepollaro procede per eliminazione, sfrondando con mano ferma e
impietosa ogni mezza misura e via traversa, per giungere a impietosi flash
dal significato ambiguo e polivalente; come si addice e s’impone alla poesia.
Apparentemente soltanto albero spoglio, il discorso poetico di Cepollaro, in
questo modo prorompe più urgente e imperioso, proprio a cagione di una
linfa invernale che scorre assai più lentamente sotto la scorza e nell’interno
d’un tronco duro, chiuso, ma pronto a rinverdire ad ogni istante, ad ogni
brezza di primavera dovuta ad una lettura attenta.
6
Carica di responsabilità, sfrondata spesso di articoli e di preposizioni,
nuda d’interpunzione, divaricata tramite parentesi, puntellata da citazioni, la
poesia di Cepollaro ha inoltre una sua indelebile marca sensuale; un pò per la
veste polita e liscia, d’accordo, ma anche per le immagini che usa, e per la
rattratta carica dei suoi significati, sempre pronti a scattare come un
congegno a molla.
Si leggano ad esemplificare ciò che s’è detto, alcuni versi, estrapolati qui
e là dalla raccolta:
chiuso lo sportello
(ultimi
i capelli a sparire)
eliodora fece larghe
le strade(...)
oppure:
eliodora aveva calde
le ascelle
(riposavo le spalle
alla sua ombra
anche l’alfa girava più
leggera
tagliavo le curve, era
con i fari e la luna
(...)
Si tratta insomma d’una visionarietà tattile e che gronda attese; che nella
penuria di descrizioni, evoca assenze ben più gonfie di qualsiasi possibile
raccontare. Mentre la biografia del poeta, segreta e pudica dietro la carapace
delle metafore metalliche, dona al lettore avido di sapere, solo un
caleidoscopio di riferimenti smozzicati e pervasi da un’arguzia e da
un’ironia, che fa della poesia di Cepollaro una creatura indubbiamente votata
allo sgambetto e all’irrisione.
‘Meccanismo inceppato’ comincia uno dei componimenti più equilibrati
di Cepollaro, e non c’è dubbio che se di questa poesia arida, che trasuda
vapori di zolfo e sentori d’un chiuso carnale, si dovesse dare una definizione,
non ne troveremmo una altrettanto adatta:’inceppato’, in quanto Cepollaro,
nel procedere, trova sempre l’abile maniera di frenare l’urgente che vorrebbe
imporsi, attraverso il facile; ringoiandoselo, al fine di licenziare solo la pura
e nuda espressività priva di frange.
(Carlo Villa)







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