QUANDO I GENITORI...PASSANO IL COMPITO AI FIGLI
Data: Domenica, 03 febbraio 2008 ore 15:00:22 CET
Argomento: Opinioni


QUANDO I GENITORI...PASSANO IL COMPITO AI FIGLI
 
A scuola, si sa, gli alunni si sono sempre arrabattati per cavarsela durante i compiti in classe. E d’altronde se è possibile copiare, perché rinunciarci? Oggi poi che la tecnologia consente straordinarie forme di copiatura e ricopiatura, quale ragazzo non è riuscito a fare entrare tra i banchi i risultati di un difficile esercizio di matematica o la traduzione di un complicato brano di latino?
Dico e ripeto: quale alunno, e sottolineo alunno, non ci prova almeno una volta nella sua carriera scolastica a fregare il povero insegnante con un bel compitino passato dal compagno più bravo o inviato via telefonino da un volenteroso amico che sta all’esterno?
Ma il protagonista di questa mia piccola nota non è, come vi aspettate, un alunno. No. Sarebbe troppo banale, scontato, e di che scriviamo? Di un alunno che vuole beffare un professore? Ma dai. Sempre esistito, da che scuola è scuola.
No, no. Il protagonista di questa storiella è un altro.
Dunque compito in classe di latino. Ogni precauzione presa. Porte serrate, nessuno che entra ed esce e, soprattutto, telefonini sequestrati. Tutti, senza esclusione.
Inizia la prova. Distribuisci le versioni, tutte diverse, non ce n’è una uguale all’altra. Eh, no. Stavolta non mi fregate, stavolta non ce la fate.
Finisce la prima ora. Facce stralunate, gente che ha tradotto solo un rigo, c’è chi cincischia con la matita sul foglio, disegnando strani ghirigori. Lo sai, sono i soliti. Quelli che latino non ne hanno mai studiato, ma se fregano. Tanto vanno avanti lo stesso. E quasi quasi ti ridono pure in faccia.
Poi qualcuno bussa alla porta. E’ il collaboratore scolastico che ti annuncia la presenza di un genitore. Beh, che fare? Ma che vuole questo genitore durante il compito in classe? Poi lo vedi. Ha un volto sorridente, un fare cordiale. E’ il padre di un alunno che in latino ha tre. Ma questo è un particolare senza importanza. Vuole parlare con il figlio. Dice che deve dargli i soldi per la gita. Infatti, ben ripiegato da una tasca, tira fuori un biglietto da cento euro. Molto ben ripiegato. Ma molto molto ben ripiegato, forse troppo. Guardi meglio. In mezzo ai soldi, malcelato, fa capolino un foglietto. Già. Uno di quelli di sempre. Ma no, che vedo? Ma sto sognando? Sarà un’allucinazione. Un genitore arriva a scuola per passare al figlio in difficoltà il compito? Ma, dai. Non scherziamo.
Prego, signor X, consegni pure i soldi a suo figlio. E buongiorno, caro genitore. Grazie per la sua tempestività. Adesso le quote della gita sono a posto.
Ma quella scena ti ritorna in mente la sera stessa, mentre ti accingi a correggere proprio il compito dell’alunno in questione. Cominci a leggere: analisi tutta sbagliata. Di conseguenza la traduzione sarà tutta sbagliata. E invece no. Parola per parola ti si ricompone davanti una traduzione perfetta, elegante quanto basta, precisa e giustissima.
Allora capisci. Mi ha fregato. Ma stavolta non l’alunno quindicenne. Bensì il suo educatore, l’adulto e solerte genitore.

SILVANA LA PORTA






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