LA SCUOLA INTERCULTURALE E L'INTEGRAZIONE DEGLI ALUNNI STRANIERI
Data: Venerd́, 25 gennaio 2008 ore 22:50:50 CET
Argomento: Rassegna stampa


 

 

 

OSSERVATORIO SU INTERCULTURA

di Alessandro Baldi* 

 

 

 

Le riforme di questi ultimi anni in Italia stanno trasformando l’intero sistema scolastico e, in questa complessa e contraddittoria fase di revisione, l’elemento centrale appare l’attenzione posta alla componente umana, che si evidenzia in vari modi e in particolare nella rinnovata consapevolezza e nell’impegno dei singoli docenti di interagire, nel modo più corretto possibile, con i processi di cambiamento in atto. L’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale del MPI ha messo a punto e inserito on-line un interessante studio intorno alla realizzazione (ovviamente in fieri) di un modello italiano di integrazione interculturale come strumento ‘vivo’ per i docenti italiani, impegnati da anni su questo delicatissimo fronte.

La professionalità docente, già profondamente modificata a partire dagli anni ’70 del ‘900, ha oggi bisogno di un profilo più ricco, più articolato e più duttile rispetto alle richieste legate alle innovazioni e al continuo modificarsi della realtà sociale e culturale. Pensiamo al cambiamento del mondo giovanile, ai nuovi stili di apprendimento, alla rivoluzione informatica del mondo del lavoro, alla presa d’atto che il mondo occidentale è sempre più una realtà multiculturale (= lo stare: cioè la presenza di persone di culture e lingue diverse) che chiede nelle forme anche le più stravaganti di diventare una realtà pienamente interculturale (= il fare: cioè la presenza intenzionalmente attiva, responsabile e tendente all’integrazione, di persone di culture e lingue diverse). Lo stesso ministro della pubblica istruzione Giuseppe Fioroni, presentando l’ipotesi di modello elaborato dall’Osservatorio dal titolo emblematico La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri (Ottobre 2007), afferma che “insegnare in una prospettiva interculturale vuol dire (…) assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola, occasione privilegiata di apertura a tutte le differenze. Adottare la prospettiva interculturale, la promozione del dialogo e del confronto tra culture, non significa limitarsi soltanto ad organizzare strategie di integrazione degli alunni immigrati o misure compensatorie di carattere speciale” (p.3-4) “La via italiana all’intercultura unisce alla capacità di conoscere e apprezzare le differenze la ricerca della coesione sociale, in una nuova visione di cittadinanza adatta al pluralismo attuale, in cui si dia particolare attenzione a costruire la convergenza verso valori comuni” (p.9).

 

 

 

La dimensione sociale del modello: volti e voci uguali e diversi

“Il modello” in costruzione proposto si fonda sul riconoscimento e l’affermazione dei principi fondamentali dei diritti umani fatti propri dall’UE: centralità della persona e diritto inalienabile all’istruzione per tutti, anche per chi non ha la cittadinanza giuridica. Esso fa proprio l’assunto che la prospettiva di orientamento  delle politiche educative e scolastiche nel nostro paese (e qui occorre segnalare un atto di rilevante portata etica) deve essere di segno interculturale. “Scegliere l’ottica interculturale significa, quindi, (…) assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola nel pluralismo, come occasione per aprire l’intero sistema a tutte le differenze (di provenienza, genere, livello sociale, storia scolastica). Tale approccio si basa su una concezione dinamica della cultura, che evita sia la chiusura degli alunni-studenti in una prigione culturale, sia gli stereotipi o la folklorizzazione”.

 

 

 

La dimensione comunicativa del modello: capire e farsi capire

Un altro punto di forza del “modello” risiede nell’accentuazione del primato della relazione comunicativa in tutti i suoi aspetti: da quelli prettamente interpersonali a quelli di segno socio-culturali, da quelli legati al conoscenza delle storie delle famiglie immigrate a quelli più genuinamente riferiti alle competenze plurilinguistiche. Se la comunicazione educativa si compie mediante attività – cioè attraverso la partecipazione intenzionale a pratiche di scuola attiva (fare con la mente e fare con le cose), allora in ambito di comunicazione interculturale ciò vuol dire elaborare/inventare attività per conoscere sul serio: cioè studiare i modi altri, le culture nascoste, le geografie e le cartografie, le religioni, oltre ovviamente le strutture linguistiche più comuni.

Il modello individua 10 principali linee di intervento sintetizzabili in tre aree: a) azione per l’integrazione; b) azione per l’interazione interculturale; c) azione per la valorizzazione delle risorse impiegate e degli attori coinvolti. Si va così dalle pratiche di accoglienza e di inserimento nella scuola al ruolo dei docenti e del personale della scuola, passando da almeno due snodi fondamentali (punti 3 e 6): la valorizzazione del plurilinguismo  e gli interventi sulle discriminazioni e sui pregiudizi.

 

 

 

La dimensione di integrazione-interazione del modello

La valorizzazione del plurilinguismo va intesa come una strategia che vede come destinatari gli allievi di cittadinanza non italiana e le loro rispettive famiglie.

“La situazione di plurilinguismo che si sta diffondendo nelle scuole rappresenta un’opportunità per tutti gli alunni oltre che per gli alunni stranieri” (p. 13). L’azione riguarda:

 

 

 

il plurilinguismo nella scuola: cioè ripensare complessivamente l’offerta di insegnamento-apprendimento di lingue ‘di origine’ in base al criterio della loro estensione e pratica dell’uso delle comunità presenti nel territorio;

il plurilinguismo individuale: cioè l’introduzione dell’insegnamento-apprendimento di lingue ‘di origine’ come diritto fondamentale dello sviluppo logico-cognitivo di ciascuno: uomo e donna, bambino e adulto.

Per ciò che concerne l’altro snodo rilevante segnalato – cioè le prospettive interculturali nei saperi e nelle competenze – c’è da dire che la proposta interessa essenzialmente la formulazione aggiornata del significato (oggi assai dibattuto) di una “nuova educazione alla cittadinanza”, che “comprenda la dimensione interculturale e si dia come obiettivi l’apertura, l’uguaglianza e la coesione sociale. (…) storia, geografia, letteratura, matematica, scienze, arte, musica, nuovi linguaggi comunicativi e altri campi del sapere costituiscono un’occasione ineludibile di formazione alla diversità, permettendo di accostarsi non solo a diversi contenuti, ma anche a strutture e modi di pensare differenti” (pp. 17-18).

La messa in atto di azioni educative efficaci in ambito interculturale presuppone però che il docente tenda intenzionalmente ad acquisire due livelli di formazione intimamente connessi: quello riferito alla libera scelta di usare se stesso come strumento vivo di cooperazione e di mediazione tra persone, culture, tradizioni e costumi di vita (I° livello) e quello riferito al possesso e all’uso partecipato di conoscenze, capacità e competenze professionali, arricchite di strumenti didattici verificati e controllati, di metodi e strategie inclusive di comunicazione (II° livello), nonché sia consapevolmente attivo in quanto cittadino nei processi di trasformazione sociale e civile della realtà in cui vive e opera (è questo un ipotetico III° livello di formazione democratica fondata sulla partecipazione alla vita della ‘polis’).

 

 

 

*Insegna Storia e Filosofia al Liceo classico Tasso di Roma ed è professore a contratto della SSIS dell’Università del Lazio. Fa parte del Direttivo del Forum per l’Intercultura della Caritas di Roma. Sul tema dell’Intercultura ha recentemente pubblicato Le ragioni dell’altro (Carocci Faber Editori, 2006).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 







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