Al di là dello spazio dei corpi c'è ancora lo spazio
Data: Giovedì, 24 gennaio 2008 ore 15:55:39 CET
Argomento: Rassegna stampa


Elena Monza

 

Al di la’ dello spazio dei corpi c’e’ ancora lo spazio.

La visione dello spazio musicale di Viktor Zuckerkandl


Indice

Premessa

§1 Il tempo si da’ con i suoni. il tempo e’ uno spazio strutturato dai suoni
§2 Immagini spaziali di oggetti non spaziali
§3 Lo spazio musicale
§4 Il nuovo concetto di spazio
§5 Riflessioni critiche
 
 
 
Premessa

 

Se immaginassimo di avere a che fare con un interlocutore comune, chiedendogli  di classificare il fenomeno musicale, molto probabilmente ci sentiremmo rispondere che la musica è riconducibile all’ambito della temporalità piuttosto che a quello della spazialità:i suoni non sono oggetti visibili, e inoltre la musica, per essere ascoltata, necessita di “tempo”. I suoni, nell’esperienza dell’ascolto, si succedono nel tempo.

La temporalità della musica, assieme al suo essere asemantica, e al suo indiscutibile potere espressivo, hanno così indotto molti teorici ad istituire un legame tra musica e interiorità, quasi ad affermare che la capacità di risultare espressiva-per-noi dipenda in gran parte dall’analogia tra la sua forma e quella dei sentimenti. Rivendicare il ruolo di fondamentale importanza della spazialità musicale, non implica tuttavia il ritorno a posizioni pitagoriche, che considerano il suono come fenomeno fisico più che musicale, né la negazione assoluta dei valori emozionali espressi dalla musica.

Occorre una via di mezzo: un percorso che includa sia l’aspetto temporale che quello spaziale della musica. Una possibile interpretazione è quella data da V. Zuckerkandl (1896-1965)1 in The sense of music (1959), e in Sound and symbol. Music and external world (1969), opere in cui il fenomeno musicale viene considerato al pari di quelli del mondo esterno, dotato di una propria struttura, che è in primo luogo spaziale. La caratterizzazione di uno spazio musicale è possibile solo attraverso una revisione dell’intero concetto di spazio, dal momento che al di là del mondo dei corpi e dei luoghi non troviamo la sfera della psiche, ma ancora lo spazio, come campo di forze in cui è possibile il movimento di oggetti non corporei, come, ad esempio, i suoni.

§1 Il tempo si da’ con i suoni. Il tempo come spazio strutturato dai suoni.

L’esigenza di creare uno stretto legame tra spazio e tempo, o meglio di ricondurre la struttura del tempo a quella dello spazio, nasce nel pensiero di Zuckerkandl in seguito a un’attenta e articolata riflessione sui componenti fondamentali del tempo: pulsazione, metro, ritmo. Pur arrivando spesso a conclusioni simili a quelle della teoria musicale, Zuckerkandl opera una vera e propria ricostruzione a partire da concreti esempi musicali di questi concetti.

La definizione di pulsazione, infatti, viene ricavata dall’analisi della Mazurka n°3 op. 68 in fa maggiore di Chopin…
Ascoltandola, siamo in grado di percepire una certa regolarità nella successione degli accordi della mano sinistra, ovvero sentiamo dei suoni che si susseguono ad intervalli uguali di tempo, scandendo così il flusso del tempo musicale. Quest’ultimo, in questo modo, non solo si pone come condizione necessaria per la percezione musicale (se i singoli suoni non potessero susseguirsi nel tempo, sarebbe impossibile sentire la melodia), ma si configura come una vera e propria materia organizzata dai suoni. Non a caso Zuckerkandl sostiene che:
«I suoni danno un’impronta al tempo»2.

La scansione temporale fondamentale, la pulsazione, si dà quindi con i suoni; e analogamente si può affermare per quanto riguarda il metro: l’organizzazione delle pulsazioni in gruppi contenenti lo stesso numero di unità è radicata negli stessi suoni.
«I suoni non solo ci dicono quale sia la misura che governa il loro andamento, ma addirittura quante singole unità, quante pulsazioni sono comprese in tale misura.» 3.
Ma in quale modo i suoni possono comunicare la pulsazione?
Zuckerkandl spiega che all’interno di una successione, i suoni si relazionano tra loro dal punto di vista della durata, secondo rapporti determinati. L’insieme delle durate dei suoni entra così a far parte di un tempo misurato comune di cui la pulsazione costituisce l’unità di misura base, mentre gli altri valori altro non sono che multipli o frazioni di tale unità; pertanto ogni suono, con la sua durata, pur non corrispondendo esattamente alla pulsazione, reca in sé traccia di essa.

Metro e ritmo sono dunque conseguenti al raggruppamento di pulsazioni, e quest’ultimo non dipende dall’accentazione: rispettare rigorosamente l’accentazione metrica di una fuga di Bach determinerebbe infatti la “morte” della musica stessa.
In realtà, sarebbe lo stesso strato musicale che dava origine alla pulsazione a dare origine anche al gruppo. La causa del raggruppamento è così da cercare in una vera e propria qualità dei suoni, e non è un vuoto schema mentale da applicare al flusso del tempo musicale, ma è uno schema che emerge sulla base degli intervalli che intercorrono tra i suoni e sulla base della loro durata.

Definiti metro e ritmo, sulla base del raggruppamento, Zuckerkandl passa a considerare il tempo non solo come flusso in cui si verifica la ripetizione dell’identico, ma anche come processo in cui è possibile osservare il ritorno di ciò che è simile. L’attenzione viene spostata dalle tracce che dividono il vettore tempo in parti uguali, le pulsazioni, agli intervalli tra le tracce stesse.

Assumono così un nuovo significato anche gli intervalli tra le pulsazioni stesse: se per esempio abbiamo a che fare con un raggruppamento di tipo binario (uno-due), ogni intervallo tra “uno” e “due” si configurerà come un “via da”, mentre quello tra “due” e di nuovo “uno”, come “ritorno a”, ovvero gli intervalli tra le pulsazioni acquisiranno una direzione e il flusso temporale sarà da considerare una vera e propria onda,  le cui fasi non  saranno semplicemente successive le une alle altre, ma complementari.
Il ritmo nasce dalla differente disposizione dei suoni sull’onda:
«[…] quando noi identifichiamo la pulsazione, non lo facciamo perché abbiamo silenziosamente contato nella mente, ma perché la particolare direzione della fase ondulatoria su cui si trova il suono percepito diventa direttamente udibile nel suono stesso, proprio come una sua qualità. Così, ogni parte della battuta, in virtù della sua posizione all’interno del ciclo ondulatorio, è caratterizzata da una particolare qualità metrica […] Il ritmo ci si presenta come un movimento nel campo dinamico del metro4.».

Possiamo così comprendere a pieno perché la musica si possa considerare un’arte temporale: non tanto perché i suoni si succedono tra loro nel tempo, ma perché essa ha l’appoggio del tempo come forza necessaria alla concatenazione processuale e direzionale dei suoni stessi.

«Il tempo in musica non è uno spazio vuoto in cui si può manifestare l’estensione, ma è un quid organizzato e strutturato, l’onda del tempo, appunto […] la qualità ritmica di una frase musicale non dipende solo dalla sua articolazione e dalla sua conduzione, ma da questi elementi in relazione con l’onda del tempo e i suoi accenti5.».

 

Il tempo, secondo Zuckerkandl, non è un vuoto contenitore di suoni, ma interviene attivamente nel contesto musicale, in quanto forza svincolata da ciò che è corporeo, ma non per questo priva di struttura.

Fino a questo punto la temporalità musicale è stata considerata esclusivamente in riferimento alla problematica del metro e del ritmo; ma dal momento che il tempo può essere considerato una caratteristica essenziale del suono, Zuckerkandl evidenzia come di fatto esso si manifesti anche nel semplice suono che risuona, in cui non si danno né metro né ritmo.

«Ascoltando un suono non abbiamo l’impressione di qualcosa di stazionario, ma piuttosto di qualcosa che si sviluppa al proprio interno.» 6

L’impressione di sviluppo interno non può essere causata che da una forza interna al suono stesso, ed essa non è altro che l’embrione dell’onda metrica.

I suoni sono oggetti temporali, caratterizzati da incompletezza: in essi il tempo non è in relazione a una sensazione da essi prodotta, ma la durata costituisce la sensazione stessa:

«Attraverso essi, il tempo diviene materia udibile, così come attraverso i corpi lo spazio diviene visibile» 7.

Nel lungo percorso teorico ora accennato, Zuckerkandl giunge a ricondurre la questione della struttura temporale dei suoni al concetto di spazialità: la durata del suono-che-risuona costituisce uno spazio in cui può manifestarsi una tensione dinamica (quella espressa dall’onda).
 

§2 Le immagini spaziali degli oggetti non spaziali

Si pone ora un altro problema: come è possibile analizzare la struttura spaziale del tempo?

I suoni, infatti, sono incorporei, pertanto non possiamo fare riferimento alle stesse facoltà che vengono utilizzate per analizzare le proprietà degli oggetti corporei (vista, tatto).

In altre parole il problema è quello di rappresentare spazialmente un oggetto non spaziale, creando così un’immagine non visiva, bensì uditiva.

Zuckerkandl sottolinea però come la creazione di immagini non visive sia un’operazione comune: basti pensare alle immagini mentali di ciò che in natura non esiste (ad esempio l’unicorno), oppure ai concetti astratti (come quello di infinito).

Illuminante è a questo proposito il parallelo con l’architettura: nel momento in cui vengono posti elementi architettonici materiali (come ad esempio delle colonne), viene organizzato anche lo spazio che si trova tra essi, lo spazio che tali elementi delimitano. In questo modo, l’architettura, pur non copiando qualcosa che esiste realmente, produce un’immagine, ovvero una copia, dello spazio.

Attraverso i corpi lo spazio diventa visibile in virtù della sua organizzazione.

Analogamente, sostiene Zuckerkandl, la musica produce un’immagine del tempo: anziché di oggetti materiali essa si serve di suoni che organizzano il tempo e gli danno una forma.

 A differenza dello spazio, però, il tempo non è semplicemente il vuoto tra un suono e il successivo: essendo caratteristica essenziale del suono, è qualcosa che completa il suono stesso.

La musica crea così un’immagine del tempo, ovvero dello spazio in cui i suoni risuonano, ma tale immagine non è visibile bensì udibile.

L’immagine temporale, a differenza di quella spaziale, è in grado di esprimere il movimento, lo scorrere, il cambiamento: nello spazio, infatti, il movimento può essere riprodotto solo come istante ma non può essere espresso (si pensi alla pittura),
 «La musica diventa così la chiave di lettura che permette di comprendere in modo nuovo il mondo nella sua complessità.»8



§3 Lo spazio musicale

 

Come si è visto precedentemente,  anche il singolo suono-che-risuona circoscrive uno spazio, in cui agiscono le stesse forze che determinano il dinamismo dell’onda metrica e ritmica. È evidente che la nozione di spazio presa qui in considerazione non ha niente a che vedere con il comune spazio esperito, in cui trovano collocazione oggetti e corpi.

Ciò che Zuckerkandl intende fare, tuttavia, non è tanto una distinzione tra spazio dei corpi e spazio musicale, quanto una ricostruzione del concetto di spazio che comprenda entrambe le accezioni. Questo, a sua volta, implica che si debbano adottare strumenti e categorie strutturali differenti per analizzare regioni dello stesso spazio.

Zuckerkandl non si allontana dall’ambito della percezione, ma esercita il proprio rigoroso ragionamento su un fenomeno incorporeo, che , proprio a causa di questa sua caratteristica, era stato considerato fino a questo momento marginale.

Lo studio del fenomeno musicale è dunque paradigmatico, in quanto ci consentirebbe di comprendere come, in assenza di elementi corporei, possa comunque esistere una struttura spaziale.

Una prima prova del fatto che la musica abbia un suo spazio è data dal semplice ascolto:


«[…] la musica che ascolto non nasce in me, ma mi incontra, viene verso di me da fuori.» 9

Inoltre, se la musica fosse un’arte puramente temporale, osserva sempre l’autore, non sarebbero possibili fenomeni come gli accordi e la polifonia, dal momento che la simultaneità non esisterebbe in un sistema basato esclusivamente sulla successione temporale dei suoni uno dopo l’altro.

Siamo così in presenza di un paradosso: da un lato, la musica può essere percepita solo tramite il tempo e in esso, dall’altro, è necessario considerare la presenza in essa anche di un’organizzazione spaziale.

La soluzione proposta da Zuckerkandl, sta nel considerare la musica un’arte anche spaziale, ridefinendo la natura di tale spazio che presenta caratteristiche proprie e originali.

La prima di tali caratteristiche è la non localizzazione. La percezione avviene in seguito all’incontro dei dati con i nostri sensi, pertanto perché si dia una percezione deve esistere necessariamente un luogo al di fuori di noi in cui possano manifestarsi i dati percepiti. Quando, ad esempio, ci troviamo di fronte a una pagina scritta, il nostro occhio percepisce delle macchie di colore nero su uno sfondo bianco: oltre a vedere il colore dei caratteri, però, siamo anche in grado di localizzare questi ultimi, ovvero di vederli in un determinato spazio. Stando a quanto detto, in generale, per spazio si intende così una continuità in cui sono collocati gli oggetti: i corpi, trovandosi nello spazio, lo dividono in differenti porzioni, alle quali siamo in grado, dalla nostra posizione di osservatori di assegnare determinate localizzazioni relative.
Anche i suoni vengono percepiti in seguito al loro incontro con il nostro orecchio, ma qui le cose stanno diversamente
«L’orecchio non incontra un oggetto […] I suoni non sono come corpi “là” o “altrove”; ognuno di essi è ovunque […] Io incontro il colore come qualcosa che è al di fuori, mentre incontro il suono come qualcosa che viene da fuori […] per l’occhio si tratta di un “essere”, per l’orecchio, invece, di un “venire da”. L’esperienza visiva o tattile è fondamentalmente un’esperienza di luoghi e di distinzioni tra essi […] L’orecchio invece percepisce lo spazio solo come un tutto privo di divisioni; lo spazio che udiamo è uno spazio privo di localizzazioni.» 10.

 

Il suono ha così una semplice collocazione esterna a noi; se escludiamo la possibilità di identificare il suo spazio con il luogo della fonte da cui proviene, possiamo solo affermare che risuona, che si estende attorno a noi, e si muove nella nostra direzione. Quello che percepiamo è lo spazio in movimento.

Una seconda caratteristica dello spazio musicale, riguarda la possibilità di simultaneità: mentre nel caso dei corpi, un luogo non può essere occupato contemporaneamente da due oggetti (in questo caso si parlerebbe piuttosto di sovrapposizione), due suoni possono darsi simultaneamente senza che si verifichi una sovrapposizione tra essi11.

Questo è possibile dal momento che un suono che risuona non occupa nessuna posizione definita, ma , semplicemente, si estende nello spazio.


«Ogni suono possiede un’estensione, ma tutti i suoni sono ugualmente estesi in tutto l’intero spazio […] I suoni riempiono lo spazio, ma tale spazialità non è qualcosa di misurabile12. ».


Di qui un’ulteriore considerazione: dal momento che nello spazio musicale è possibile simultaneità senza che si verifichi sovrapposizione, è necessario ridefinire anche il concetto di profondità.

Zuckerkandl puntualizza che per profondità nello spazio sonoro non si deve intendere qualcosa grazie a cui possiamo distinguere un suono più vicino da uno più lontano; lo spazio occupato dal suono, come si è detto, non è circoscrivibile, ma è esteso; noi sentiamo un suono “venire da…” e non sappiamo fissare la sua posizione in un punto preciso dello spazio.

In questo senso non si può negare la profondità dello spazio sonoro:

 

«il suono è esperito come in movimento verso l’ascoltatore […] La profondità dello spazio sonoro, allora, non si riferisce alla distanza tra il mio orecchio e il luogo dello spazio in cui è prodotto il suono, ma allo spazio da cui proviene il suono. La profondità nello spazio sonoro è solo un altro modo di intendere il “venire da…” che percepiamo in ogni suono13.»

Lo spazio non localizzato e profondo, così inteso, mostra dunque una caratteristica comune con il tempo: esso è una realtà che fluisce, pertanto viene a perdere significato anche la classica contrapposizione tra spazio e tempo che vedeva il primo come qualcosa di statico e il secondo come essenzialmente dinamico.

Spazio e tempo sono visti da Zuckerkandl in maniera analoga: come una serie continua e uguale di parti di una totalità, e lo spazio sonoro

«È come una profondità non localizzata che risuona ed è diretta verso l’ascoltatore, in movimento verso di lui, tutt’intorno a lui.»14

Quella che Zuckerkandl sta delineando è una capacità strutturante dei suoni estremamente originale: svincolandosi dalla localizzazione, e ridefinendo i concetti di simultaneità e profondità, è possibile fondare la spazialità musicale nel campo del puro dinamismo.

Proprio questa impossibilità di una localizzazione costituisce una caratteristica interessante e feconda: non esistendo alcuna distinzione tra il luogo in cui è situato l’ascoltatore e quello in cui è situato l’oggetto percepito, lo spazio musicale non è un fuori che si contrappone a un dentro, ma in esso è possibile perdersi. Nel momento in cui vediamo un oggetto nello spazio, infatti, poniamo una distanza tra noi e l’oggetto stesso; quando, invece, sentiamo un suono, non possiamo fare altro che sentire lo spazio in cui si muove, in cui risuona.

«Dove l’occhio traccia una linea di confine che divide il fuori dal dentro, il mondo dal sé, l’orecchio, invece, crea un ponte […] In base alla vista ci sono due polarità, per l’udito c’è un solo flusso. Lo spazio esperito dall’occhio è un’esperienza disgiuntiva, quello invece esperito tramite l’udito è un’esperienza partecipativa».15

 

Non-localizzazione, estensione e profondità sono caratteristiche dello spazio musicale in generale, e costituiscono la necessaria premessa per l’analisi dell’organizzazione interna di tale spazio. L’articolazione strutturale dello spazio sonoro, infatti, non è semplicemente un’organizzazione possibile di esso, ma è una condizione necessaria e intrinseca allo spazio stesso. I suoni musicali risuonano in un continuum, e intrecciano tra loro determinate relazioni che strutturano lo spazio: l’ordine non è così posto dall’esterno, ma è intrinseco allo stesso fenomeno musicale.

 A questo proposito, Zuckerkandl sottolinea la differenza sostanziale tra semplici suoni e suoni musicali: solo considerando l’aspetto musicale del fenomeno sonoro è possibile rintracciare la struttura dello spazio musicale.

Il sistema che Zuckerkandl ha in mente è quello tonale, che consente appunto di parlare di stati e relazioni dinamiche tra i suoni.

«Ogni musica è basata su un sistema tonale, ovvero su un ordine che non viene applicato ai suoni dall’esterno, ma che al contrario, procede dai suoni stessi; tale ordine è un risultato conseguito unitamente mediante l’interazione dell’udito con i suoni, con l’esclusione di ogni altro fattore, e si configura quindi come ordine dello spazio uditivo».16
Ma, una volta accettato che la struttura dello spazio musicale è determinata dalle relazioni tra i suoni, quali esempi di organizzazione dello spazio musicale abbiamo?

Il più semplice caso di ordine spaziale, secondo Zuckerkandl, è quello dell’accordo, già precedentemente considerato come esempio di simultaneità.

La simultaneità, tuttavia, non può essere considerata un fattore sufficiente per dedurre l’esistenza di un’articolazione strutturale: bisogno quindi analizzare il modo in cui la stessa simultaneità è costruita. Pertanto

«L’accordo è il risultato non tanto della simultaneità dei suoni, ma delle loro reciproche relazioni»17.

Nel sistema tonale, infatti, ogni suono è caratterizzato da una certa funzione (tonica, dominante…), che esprime la tensione direzionale potenziale del suono stesso, ovvero la sua qualità dinamica. La qualità dinamica è ciò che contraddistingue il suono musicale rispetto a quello semplicemente acustico, e che gli permette di entrare in relazione con altri suoni, dal momento che ne esprime lo stato nel sistema di equilibri e tensioni. La differenza tra spazio dei corpi e spazio musicale si definisce così ulteriormente:

«[…] molteplicità di luoghi contrapposta a molteplicità di stati, giustapposizione e interpenetrazione, relazione locale e relazione direzionale; ordine attraverso luoghi e posizioni che vediamo e tocchiamo contrapposto a ordine dinamico che udiamo: triangoli e triadi, geometria e musica»18.

 

Un secondo esempio di organizzazione spaziale, è dato dalla scala, che Zuckerkandl utilizza per chiarire cosa intenda per struttura nel movimento.

La scala deve essere considerata non tanto come una successione di suoni le cui altezze aumentano progressivamente e regolarmente, quanto come una successione di parti in relazione tra loro e con l’intero (il sistema di organizzazione scalare), che esprimono tensione e direzione. Ogni grado della scala esprime uno stato, e la relazione tra stati influenza in maniera decisiva la struttura dello spazio.

Illuminante a questo proposito è l’esempio portato dall’autore, secondo il quale mentre due mele che cadono contemporaneamente da un albero rimangono due mele, due triadi che risuonano simultaneamente costituiscono una dissonanza.

Come nello spazio geometrico due corpi non possono trovarsi simultaneamente nel medesimo luogo, così nello spazio musicale due suoni di altezza diversa non possono trovarsi nello stesso stato contemporaneamente.

 

§4 Il nuovo concetto di spazio

 

Spazio visivo e spazio musicale sono ordinati secondo criteri differenti; Zuckerkandl, tuttavia, non pone questa distinzione allo scopo di separare nettamente i due ambiti, bensì per individuarne gli elementi caratterizzanti all’interno di una prospettiva unitaria.

Si fa così strada nel pensiero dell’autore la consapevolezza che quello sonoro e quello visivo non siano due ambiti separati, ma due differenti visioni dello spazio in generale, corrispondenti ad altrettante modalità di organizzazione del materiale percettivo.

 

«L’esperienza dello spazio che l’orecchio fa attraverso i suoni, e quella normale che fa l’occhio, coincidono solamente in senso generale: entrambe si riferiscono allo spazio inteso come luogo originario dell’incontro (tra sensi e oggetti percepiti).»19.

 

Accettare una distinzione tra criteri di ordine spaziale mette di fatto in guardia da pregiudizi circa le possibilità conoscitive aperte dalla sfera visiva e da quella uditiva, e inoltre ha due importanti conseguenze: in primo luogo, assegna alla percezione sonora un’importanza gnoseologica pari a quella visiva, ponendo in questo modo dei limiti al primato del metodo scientifico-matematico; in secondo luogo, impedisce un’interpretazione esclusivamente psicologica del fenomeno sonoro.

«I confini dello spazio dei corpi e dei luoghi non sono, in ultima analisi, i confini dello spazio in generale. Il limite dello spazio localizzato non costituisce l’inizio dell’ambito del non spaziale, dello psichico, dello spirituale o del soprannaturale. Al di là dello spazio dei corpi, c’è ancora lo spazio.»20.
La natura, sostiene Zuckerkandl, comprende anche fenomeni puramente dinamici, che si manifestano attraverso modalità espressive non di tipo quantitativo, bensì qualitativo.

Come la realtà è continua e composta da ciò che è corporeo e da ciò che è puramente dinamico, così anche lo spazio è duplice: fisico-geometrico da un lato, e non localizzato dall’altro. Zuckerkandl non esce dalla realtà e dallo spazio, ma estende questi concetti in modo da renderli omnicomprensivi.

Lo spazio fisico-geometrico è una regione dello spazio in generale; tra i due ambiti spaziali non c’è una netta divisione, ma complementarità; semplicemente essi sono organizzati secondo due differenti modalità percettive. La continuità tra dimensione fisica e dimensione dinamica è costruita su questa concezione di spazio aperto in cui

«La barriera tra l’osservatore e l’oggetto osservato crolla; allo stesso tempo l’oggetto perde i propri contorni definiti, si espande in tutto l’universo al punto che sembra contenere l’intero mondo in sé stesso, penetra nell’osservatore proprio come intero mondo, tanto che l’essere del soggetto e quello dell’oggetto, del mondo, si fondono in un tutt’uno.»21

Zuckerkandl ipotizza una coappartenenza originaria di uomo e mondo, che si rispecchia nella duplice relazione spaziale che vista e udito possono instaurare nei confronti dell’esperienza: da una parte, si può distinguere chiaramente interno da esterno, dall’altra, coinvolgimento e comunicazione confondono i confini che separano soggetto da oggetto al punto da stabilire un rapporto di identificazione tra questi due termini:

«la prima volta che vediamo la luce, noi siamo la luce piuttosto che vederla.»22

Il nuovo concetto di spazio posto da Zuckerkandl, permette così di ridefinire anche le modalità percettive del soggetto, che ora dispone di facoltà fino ad allora inglobate nella sfera psicologica.

La musica diventa così

«La voce dell’altro mondo.»23

Specificando però che:

«Udibile e visibile appartengono alla stessa realtà; il movimento dei suoni e quello egli oggetti avviene sullo stesso piano; un solo spazio, un solo tempo abbracciano l’ambito degli eventi sensibili e quello degli eventi udibili.»24.

Gli ambiti di udibile e visibile sono entrambi governati da leggi, con la differenza che nel mondo dei suoni il rapporto tra sistema e regola è meno vincolante, in quanto quest’ultima definisce possibili direzioni di senso:

«diversamente da quanto accade per le leggi della natura, le leggi del mondo dei suoni non prescrivono il corso degli eventi; esse permettono una certa libertà anche sotto la legge»25.

I suoni aprono così una prospettiva che nel caso dei corpi era ostruita, e dispongono una differente modalità di incontro con l’oggetto:

«i suoni penetrano in me, una volta superata la barriera, e mi rendono consapevole non della distanza , ma della comunicazione e della partecipazione.»26.

La caduta della barriera tra soggetto e oggetto non implica, tuttavia, una completa identificazione tra i due; semplicemente, ciò che, nell’ottica dello spazio dei corpi, è visto come esterno, nell’ottica dello spazio non localizzato degli elementi immateriali è invece visto come evento processuale orientato nei confronti del soggetto, ovvero nel contesto delle sue relazioni puramente dinamiche.

«La distinzione tra interno ed esterno non è scomparsa, ma è stata trasformata: due elementi confinati e separati da una linea sono diventati due elementi collegati da una linea che esprime piuttosto la direzione del loro incontro.»27.

 

Ciò che è immateriale e incorporeo non si identifica, quindi, necessariamente con la sfera dell’interno; per contro la realtà esterna non fornisce alla percezione materiale esclusivamente corporeo. La categoria di interno non appartiene dunque solo al soggetto ma trova spazio nella stessa realtà:

«il luogo di questo “mondo interno” è tanto in me quanto fuori di me […]la realtà stessa è divisa in “interno” ed “esterno”.»28

Per Zuckerkandl la realtà è complessa e comprende sia elementi immateriali che materiali; nel soggetto, parte della realtà, prevale l’elemento dinamico, così:
«non è per il fatto che la musica esprime o riproduce esperienze psicologiche, che noi conosciamo in essa la voce della nostra interiorità, ma perché la musica porta ad espressione quella modalità della realtà che ha la stessa natura della nostra interiorità.»29.
Il suono, svincolato dalla natura materiale del corpo che lo produce, è portatore di forze puramente dinamiche e svela il lato più intimo del mondo esterno; esso è
«Il punto in cui il mondo esterno manifesta in modo immediato il suo aspetto più segreto.»30
Nel caso della musica e dei suoni, non viene tuttavia svelato alcun mistero, ma semplicemente viene portato alla luce un punto di vista sulla realtà, differente da quello scientifico.

 

§5 Riflessioni critiche

 

Nelle pagine di Zuckerkandl vengono toccate moltissime tematiche delle quali alcune, come quella dello spazio e del tempo, sono trattate esaustivamente, altre, invece, vengono solo accennate se non addirittura formulate in maniera indiretta.

È proprio questa ricchezza del materiale teorico ad offrire la possibilità di avanzare alcune ipotesi circa uno sviluppo critico di quanto è stato fin qui esposto.

Verranno ora proposti alcuni percorsi di riflessione che trovano il loro principale fondamento nel principio di continuità tra spazio fisico e spazio dinamico.

A una prima considerazione si giunge percorrendo due differenti strade: la prima è quella incentrata sul dinamismo come comune denominatore tra soggetto e realtà, la seconda, invece, fa forza sulla continuità esistente tra sfera dinamica e sfera fisica del reale e mette in gioco la relazione soggetto-oggetto.

Come si è visto in precedenza, la presenza dell’elemento dinamico nel soggetto e nella realtà esterna, permetterebbe, secondo Zuckerkandl, di rintracciare nella musica un aspetto del mondo non afferrabile in altro modo.

Di qui una prima domanda: cosa consegue dal parallelismo tra processi dinamici del mondo e quelli del soggetto?

Veniamo ora alla seconda “via”: con la ridefinizione delle categorie di interno ed esterno, e con la liberazione della nozione di spazio dai vincoli geometrico-quantitativi, Zuckerkandl ha istituito un collegamento tra le dimensioni fisica e dinamica del reale.

Il fatto di poter passare dal fisico al dinamico senza il verificarsi di una empasse logica e conoscitiva, ha inoltre provocato la caduta della barriera tra osservatore e oggetto osservato. Tutto questo implica, a mio parere, una revisione delle modalità di interazione tra soggetto e oggetto, ovvero delle modalità percettive.

Per quanto, infatti, l’accento cada, in Zuckerkandl, sull’elemento dinamico che è al tempo stesso caratteristica fondamentale dello spazio musicale e determinazione principale del soggetto, non è possibile evitare la questione circa la relazione tra soggetto e oggetto; lo stesso Zuckerkandl non nega mai che la musica sia un oggetto della percezione, tanto è vero che proprio questa ci permetterebbe di conoscere un aspetto del reale altrimenti inaccessibile.

La musica, quindi, è un oggetto della percezione, e, al pari di tutti gli altri, mette in moto dei meccanismi che presuppongono un’interazione tra soggetto e oggetto.

In altre parole, come in ogni processo percettivo, è necessario tenere presente che da una parte esiste l’evento, ovvero l’oggetto percepito, e dall’altra lo schema, lo sfondo e il contesto in cui esso si trova. L’accettazione di questo presupposto, comporta un atteggiamento speculativo che non va certo verso una direzione formalista: l’oggetto percepito non è semanticamente chiuso, e la logica del suo significato non può essere determinata dalla sola struttura interna.

Ammettere il rapporto figura-sfondo, significa dunque mettere in relazione il mondo dei suoni con l’attività della coscienza (quello che in sostanza si sostiene nella prima “via”), e aprire così nuove direzioni di senso.

Possiamo ora affermare che le due “vie” hanno portato a uno stesso risultato: nella relazione tra figura e sfondo deve intervenire un elemento di coesione che evidenzi la continuità tra parte dinamica del soggetto e parte dinamica del mondo.

Ora, l’elemento che meglio può soddisfare questa esigenza, è l’immaginazione.  Le strutture e le relazioni interne al materiale percettivo esperito sono, infatti, soggette all’attività della coscienza che le coglie, e quest’ultima non consiste soltanto in una serie di operazioni cognitive riconducibili a schemi fissi, ma anche, attraverso la facoltà immaginativa, in operazioni associative che mettono in relazione contenuti attualmente percepiti con altri contenuti precedentemente esperiti.

Premettendo che la facoltà immaginativa necessiterebbe di una trattazione a parte, si ricordano di seguito alcuni suoi principi caratteristici. L’immaginazione è innanzitutto una facoltà creatrice, dal momento che contribuisce alla costituzione di nuovi significati attraverso la fusione di un certo contenuto della coscienza nella scena presente, secondo un’associazione di idee. Zuckerkandl non parla di immaginazione, ma si rileva una forte analogia tra la modalità di costituire un nuovo significato da parte della facoltà immaginativa, e il processo di interpenetrazione dei suoni nello spazio musicale, e, ancora, la compenetrazione di soggetto e oggetto nella percezione sonora, trattate dall’autore.

In tutti e tre i casi siamo in presenza di una fusione tra elementi.

Trattare di immaginazione nel processo percettivo implica, inoltre, un riferimento al problema del significato e della capacità espressiva. Nel momento in cui percepiamo un oggetto, infatti, non ci limitiamo solo al prendere atto di esso come sussistente in sé, ma lo inseriamo in contesti immaginari, vivendolo secondo una piega immaginativa31, imprimendogli un certo movimento.

Nel momento percettivo non troviamo, quindi, una vera e propria produzione di immagini, ma semplicemente degli indici di direzione immaginativa, che imprimono all’oggetto una tendenza ad entrare in relazione con altri elementi vissuti e che trovano un loro fondamento contenutistico nello stesso oggetto percepito.

Guidati da Zuckerkandl, abbiamo così postulato la presenza della facoltà immaginativa come elemento necessariamente attivo nella percezione.

Nei rapidi accenni circa i principi caratteristici dell’immaginazione, si è poi fatto un riferimento ai contenuti precedentemente esperiti che vanno a costituire lo sfondo del vissuto. Stando a quanto detto, il significato non sarebbe semplicemente compreso, bensì vissuto perché messo in relazione con contenuti definiti della coscienza.

Un riferimento al vissuto in questa accezione, tuttavia, sembra non solo mancare nelle pagine di Zuckerkandl, ma addirittura pare essere fortemente negato. Non è un caso, infatti, che non si trovino mai riferimenti espliciti alle emozioni nelle pagine dell’autore. La musica non è un linguaggio delle emozioni:

«Precedentemente la musica è stata spesso interpretata come un linguaggio. Dal momento che l’essenza di un linguaggio è la possibilità di dire qualcosa, sorge la domanda: cosa dice la musica? La risposta comune è: come le parole del linguaggio hanno un significato fattuale, così i suoni in musica hanno un significato emozionale; la musica è il linguaggio delle emozioni. Questa però non può essere la nostra interpretazione. La qualità dinamica del suono, in cui noi riconosciamo la principale caratteristica dell’elemento musicale, non ha niente a che vedere con l’espressione di emozioni. »32.
Attraverso i suoni si manifestano delle forze dinamiche che non possono essere colte nel regno del visibile e del tangibile; in questo consiste il loro significato.

La qualità dinamica e lo spazio sonoro esprimono il movimento, che è anche caratteristica della vita psichica; da questo, tuttavia, Zuckerkandl non deduce che la musica possa essere espressione di qualcosa di interiore come le emozioni:

«La musica non è un fenomeno del mondo interiore, ma è un fenomeno del mondo esterno. Essa non è sentita, non è frutto di sentimento immaginazione o volontà, ma essa è semplicemente percepita. Non emerge dalla psiche ma ci viene incontro dal mondo esterno. »33

Alla luce di queste parole, possiamo comprendere il motivo per cui l’autore non parli mai di emozioni in relazione la significato della musica.

La posizione di Zuckerkandl si presenta come dichiaratamente fenomenologica, e per legittimare le precedenti osservazioni critiche circa il ruolo dell’immaginazione nel processo percettivo, dobbiamo per forza uscire da questo tipo di approccio, e portare il bilanciamento più dalla parte del soggetto, che si configura come soggetto-che-sente, che da quella dell’oggetto e delle sue strutture.

Questo mutamento di prospettiva, porta alla discussione di un altro importante problema: quello delle abitudini percettive.

Dobbiamo chiederci ora se sia davvero possibile non ritenere determinante nella definizione del significato la conoscenza degli stili musicali, come fa appunto Zuckerkandl. Il fatto che per l’autore non sia fondamentale prendere in considerazione le abitudini percettive nella sua ricerca, è da attribuire ancora una volta, alla sua prospettiva strettamente fenomenologica, che aderisce alle strutture fondamentali e originarie del fenomeno musicale. Dal lato opposto, dare troppo peso alle abitudini percettive, rischierebbe di pregiudicare la percezione dell’oggetto, limitandone le possibili direzioni di senso. Anche questa tematica meriterebbe di essere trattata singolarmente, ciò che si può però dire, è che l’esistenza di abitudini percettive e di contesti culturali è un dato di fatto, ma non appartiene al livello fondamentale della comprensione del significato, pur facendo indirettamente parte del processo percettivo.

Se Zuckerkandl si mostra categorico nel rifiutare l’identificazione dei contenuti musicali con quelli emozionali, sostenendo che la musica esprime l’aspetto qualitativo e dinamico del mondo, egli tuttavia si interroga sulle sue modalità di rappresentazione, riprendendo in questo modo anche la propria definizione di musica come linguaggio-non-linguaggio. L’oggetto musicale, ancora una volta, si rivela estremamente complesso: pur ammettendo la possibilità di costruire un alfabeto dei suoni, ovvero pur ammettendo l’esistenza di un rapporto denotativo tra suoni e oggetti definiti, sarebbe possibile comprendere il significato espresso da un brano musicale?

La risposta è ovvia, e Zuckerkandl la conferma nel momento in cui utilizza il termine simbolo per classificare il suono. Questo si caratterizza come simbolo dinamico, ovvero, in qualità di esempio di dinamismo, ci consente di  scoprire un lato del mondo non manifesto.

Per rendere giustizia alla coerenza fenomenologica di Zuckerkandl, e per ovviare a un banale problema di traduzione linguistica, ritengo che sia più costruttivo non tanto definire il suono come simbolo, quanto il rintracciare in esso il fondamento della relazione simbolica.

Il suono, infatti, prima di ogni altra definizione, è un oggetto della percezione, e nel momento in cui il soggetto entra a far parte del gioco percettivo, non sa ancora quali contenuti esso possa esprimere. Una considerazione aprioristica del suono come simbolo potrebbe, infatti, caricarlo di funzioni e di significati trascendenti e metafisici, o, all’opposto, inserirlo in rigidi schemi denotativi.

Parlare di relazione simbolica al contrario, permette di evidenziare una funzione caratteristica del suono, senza negargli lo status primario di oggetto della percezione.

Il suono è dunque un particolare oggetto della percezione che più di altri sarebbe in grado di attivare meccanismi immaginativi, e di effettuare un coinvolgimento tra soggetto e oggetto, tra io e mondo. Come si è detto, uno dei possibili malintesi che potrebbero sorgere in seguito all’identificazione del suono con il simbolo, sarebbe quello di ricondurlo a determinati rapporti rappresentativi. Il simbolo diverrebbe così un oggetto mascherato, apparentemente incomprensibile se relazionato al contesto, ma con, in realtà, un significato predeterminato.

Una corretta definizione di relazione simbolica, a mio parere, necessita del riferimento alla facoltà dell’immaginazione. Un oggetto, infatti, non è un simbolo perché rappresenta un altro oggetto, ma perché costituisce la base su cui si possono innestare delle valorizzazioni immaginative che lo aprono a una molteplicità di significati.

Pertanto, non siamo in presenza di oggetti definiti rappresentati da simboli, quanto piuttosto di un campo di oggetti indeterminati e allusivi descritto dalla relazione simbolica, dove il significato non è univocamente determinato.

La relazione simbolica è dunque una potenzialità interna al materiale percettivo stesso, che per essere innescata necessita dell’intervento della facoltà immaginativa; a sua volta l’immaginazione non è una semplice operazione cognitiva, in quanto non è sufficiente la semplice considerazione del materiale percettivo perché essa venga attivata, ma è necessario che essa sia radicata nel vissuto.

In conclusione, analogamente a quanto sostiene Zuckerkandl, il suono permetterebbe di istituire un nesso tra io e mondo, tra modalità di attribuzione del significato da parte del soggetto e strutture fenomeniche. La varietà e la diversità delle emozioni, che sorgono nel momento in cui un contenuto viene espresso, e che quindi si possono ritenere una forma immediata di comprensione del significato, è così testimonianza della molteplicità delle direzioni di senso.

 

 

 

Elena Monza


1 Musicologo austriaco, nel 1940 si trasferì negli Stati Uniti dove insegnò al Wellesley College, alla New School e al St. John’s College di Annapolis. Le sue principali pubblicazioni sono The sense of music, 1967, Sound and Symbol, 1969 e Man the musician. Le traduzioni in italiano, tratte dalle opere inglesi, sono mie.

2 V. Zuckerkandl, The sense of music, Princeton, Princeton University Press 1959, p. 99

3 V. Zuckerkandl, Sound and symbol. Music and external world, Bollingen Paperback, Princeton 1969, p. 162

4 Ibidem, p. 172

5 V. Zuckerkandl, The sense of music, Princeton, Princeton University Press 1959, p.131

6 V. Zuckerkandl, Sound and symbol. Music and external world, Bollingen Paperback, Princeton 1969, p.249

7 Ibidem, p.254

8 Ibidem, p.264

9 Ibidem, p.268

10 Ibidem, p.276

11 Se sovrapponiamo una macchia di colore giallo a una di colore blu, avremo una terza macchia di colore verde. Questo non accade invece nel caso dei suoni di un accordo: ognuno di essi mantiene la propria identità, anche se risuona simultaneamente con altro suoni.

12 Ibidem, p.284

13 Ibidem, p.289

14 Ibidem, p.290

15 Ibidem, p.291

16 Ibidem, p.294

17 Ibidem, p.301

18 Ibidem, p.303

19 Ibidem, p.336

20 Ibidem, p.338

21 Ibidem, p.342

22 Ibidem, p.342

23 Ibidem, p.363

24 Ibidem, p.364

25 Ibidem, p.364

26 Ibidem, p.368

27 Ibidem, p.369

28 Ibidem, p.370

29 Ibidem, p.370

30 Ibidem, p.371

31 G. Piana, Elementi di una dottrina dell’esperienza, Cuem, Milano 2005, p. 183

32 V. Zuckerkandl, Sound and symbol, musica and extgernal world, Bollingen Paperback, Princeton 1969, p.66-67

33 Ibidem, p. 144






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