SALVATORE QUASIMODO TRADUTTORE
Data: Sabato, 12 gennaio 2008 ore 21:22:08 CET
Argomento: Rassegna stampa


.Il "bisogno" psicologico e poetico che Quasimodo prova, di una "lettura diretta"della poesia dell'antichità, si mimetizza nel versante mitico del siculo-greco (un mito che è posteriore nel tempo, e un pò artefatto), si adegua in sostanza all'enfatizzazione di quel mito Sicilia che per Quasimodo più tardi divenne una specie di "vissuto"poetico.Si, perchè se un poeta moderno traduce i classici, attraverso la sua parola"prestata" ai poeti antichi necessariamente "il greco"ritorna a essere ancora un'avventura" e  l'avventura greca perQuasimodo inizia da Saffo: poi nel '39, traduzioni da Ibico, Alceo,Alcmane vengono pubblicate sul n.1 della rivista fiorentina "Letteratura" e altre traduzioni escono su"Campo di Marte", "Corrente" e "Primato".
MA QUALE E' IN SOSTANZA, L'OPERAZIONE CHE QUASIMODO  COMPIE SUI GRECI ?
Sceglie anzitutto un gruppo di liriche e di frammenti,di testi in vari casi pervenuti a noi incompleti; li traduce forse sedotto dal casuale stato frammentario o dalla apparente alogicità, li adatta, li trasforma in completa autonomia, li unisce, persino, a dar l'impressione di una lirica unitaria  che in realtà è inesistente: tipico esempio ,Tramontata è la luna, in cui il traduttore fonde  ben 5 "frammenti" di Saffo. Ma certo non si tratta solamente da parte di Quasimodo, di elaborare una particolare forma di traduzione, ossia di accostare o fondere parole attuali e aulicità ermetica, di" modernizzare" più o meno quei testi, vuole arrivare a un testo italiano, poetico, attuale. L'operazione di Quasimodo sui Lirici greci venne immediatamente giudicata  opera poetica autonoma e anche oggi , ma anche a quell'epoca, si riesce a scorgere nei lirici quasimodiani un altro effetto: quello di aver fornito al poeta nuovi strumenti per indirizzare la sua creatività, come dimostrarono le contemporanee Nuove Poesie(1936-42) Quasimodo piega e/o adatta il canto greco antico al tempo, al linguaggio, al "modo di formare" attuale della poesia italiana.: "dall'apparente ricalco al geniale rifacimento", tendendo alla frammentata emozione e all'lluminazione folgorante come dice Traverso. In definitiva,  Quasimodo utilizzando le possibilità creative, le connotazioni significanti, le tecniche più varie, lavora a lungo su questi che finiscono per diventare "suoi"testi, il cui influsso confluirà nel problematismo "umano" del dopoguerra.

 

Eccovi Salvatore Quasimodo raccontato da suo figlio Alessandro
Ricordi e suggestioni che passano attraverso un legame di sangue e si offrono all’esterno con tutta la loro intensità. Oltre le maschere o l’ipocrisia. Ipnotizzando chiunque voglia lasciarsi ipnotizzare, e scansando senza rancore gli indifferenti.

Alessandro Quasimodo, classe 1939, professione attore e regista teatrale sguardo verde e magnetico,  voce profonda, ama leggere  i versi paterni: .  “Non faccio di professione il figlio di Quasimodo - ha esordito lui - ma l’attore. Mi sono formato alla scuola del Piccolo di Milano e poi ho iniziato la mia carriera. Stamattina porto qui, ovviamente in forma ridotta, ciò che è nato per il teatro. Il recital ‘Operaio di sogni’, che prende il nome da una poesia di mio padre (l’epitaffio per Bice Donetti, ndr). Lo scopo è quello di far venire fuori l’uomo e il poeta”. Con tali parole è iniziato un viaggio nella memoria, nella poesia di Salvatore Quasimodo; senza palcoscenico, musica e scenografie, ma ugualmente affascinante e di gran qualità. Istruttivo, eppur lungi dalla pedanteria.

“La sua vita - ha continuato Alessandro - è stata complicata, difficile, piena di luci e ombre”. Sciocco nascondere i difetti, le cadute lungo il tragitto: “L’artista non deve esser messo sotto una campana di vetro. E’ un uomo come tutti noi”. Solo che, a differenza della gente comune, l’artista riesce a trasformare gioie e dolori della vita privata in preziose fonti d’ispirazione. Così fu anche per Salvatore Quasimodo, che nacque a Modica (in provincia di Ragusa) nel 1901, da Clotilde Ragusa e Gaetano, capostazione. Subito dopo il catastrofico terremoto del 1908 si trasferì con la famiglia a Messina, perché il padre aveva ricevuto l’incarico di rimettere in sesto la rete ferroviaria. L’alloggio fu un vagone merci “fra fili spezzati e macerie”. Un periodo nero, quello, sempre a contatto con la morte e la disperazione dei superstiti. Difficile cancellarlo dall’anima.

Nella città dello Stretto, Salvatore Quasimodo portò avanti gli studi, conseguendo (per volontà di Gaetano e non per passione personale) nel 1919 un diploma presso l’Istituto tecnico “Jaci”. Risalgono a quegli anni le amicizie destinate ad accompagnare la vita del poeta: con Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira soprattutto. I versi, invece, cominciarono a riempire fogli molto tempo prima. La poesia divenne pensiero fisso, pura vocazione: per inseguirne il richiamo, nonostante la disapprovazione del padre (con cui aveva un rapporto a dir poco conflittuale), il giovane si trasferì a Roma. Iscritto alla facoltà di Agraria chissà per quale motivo (considerato che non diede neanche un esame), fra gli stenti continuò a coltivare gli interessi letterari: “Ho rintracciato - ha spiegato il figlio Alessandro - una paginetta che risale ai primi anni Venti e in cui parla delle difficoltà oggettive di quel momento”. E sulla paginetta in questione, fra l’altro si legge della continua ricerca di un qualsiasi lavoro per sopravvivere: “Bussavo ovunque - scrive Salvatore Quasimodo -. Divenni disegnatore tecnico di una grande impresa di costruzioni, commesso in un negozio di ferramenta, impiegato in un grande emporio di Piazza Colonna”. L’emporio era la Rinascente. E a questo punto Alessandro non ha resistito alla tentazione di ricordare che negli anni ’60, subito dopo il Premio Nobel, la direzione della Rinascente inviò al poeta un attestato di impiegato modello: “Evidentemente non avevano indagato troppo sul suo passato professionale”, ha commentato ironico Alessandro, aggiungendo che “la carriera di mio padre, a dire il vero, era finita tra due carabinieri a cavallo”. Il motivo è presto detto: “All’entrata in vigore della legge fascista che proibiva gli scioperi, lui cosa fece? Ne organizzò uno”. Risultato: carabinieri e licenziamento.

Nonostante “le privazioni e la miseria”, Salvatore cominciò ad imparare il latino e il greco grazie a monsignor Rampolla del Tindaro, che per fortuna non chiedeva soldi in cambio. I giorni a Roma, dunque, si dividevano così: “Di giorno lavorava, di sera studiava e di notte andava in giro per Roma. Amava specialmente stare sui sedili di Piazza Navona”. Scrisse ‘I ritorni’: Piazza Navona, a notte, sui sedili stavo supino in cerca della quiete, e gli occhi con rette e volute di spirali univano le stelle, le stesse che seguivo da bambino disteso sui ciottoli dei Platani, sibilando al buio le preghiere.

“Sono ritorni - ha detto Alessandro con un filo di commozione - che avvengono solo dentro di lui. Ritorni alla propria casa, alla madre. Lui soffre ma rimane lontano, perché ha dato un taglio netto. E da quel momento in poi la Sicilia viene mitizzata, come fosse la terra promessa”. Nel 1926 arrivò un cambiamento: “Quasimodo fu quasi costretto dal padre ad accettare un impiego di geometra presso il Genio civile di Reggio Calabria. Lì rimase per qualche tempo”. La sopravvivenza quotidiana era finalmente assicurata, ma non la serenità: “La sua unica evasione consisteva nel prendere il ferry boat e andare a Messina, dove incontrava i vecchi compagni di scuola. Giorgio La Pira divenne il suo fedele corrispondente spirituale, e non smise mai di seguirlo. La meta preferita del gruppo era il Santuario di Tindari”. E ad Alessandro sembra inevitabile recitare i versi di ‘Vento a Tindari’: “forse una delle più celebri, note, aeree poesie della sua produzione”.

In ambito messinese, e grazie principalmente alla “serrata amicizia con La Pira”, inizia la ricerca religiosa di Quasimodo, come appare evidente in ‘Nessuno’: “Il poeta - ha spiegato suo figlio Alessandro - si chiede se non sia meglio morire fanciullo piuttosto che perdere, nel corso dell’esistenza, le persone amate”. In tale direzione, il percorso si rivela arduo e lungo; nella Pasqua del 1930 nasce ‘Confessione’: “E’ grande, in lui, lo sconforto di sentirsi lontano dai sentieri della Grazia perché il peso della carne, della materia, è troppo forte”.

Intanto continuano le peregrinazioni lungo lo Stivale: nel 1931 Quasimodo viene trasferito ad Imperia e nel 1934 a Milano. A quegli anni risale l’incontro l’Amore. Lui, che fino ad allora aveva gestito con irrequietezza anche la sua vita sentimentale, fu travolto da irresistibili moti del cuore. Oggetto del desiderio la danzatrice Maria Cumani, alla quale si legò in un rapporto intenso, testimoniato in lettere appassionate e in molte poesie a lei dedicate; solo nel 1948, dopo la morte della prima moglie Bice Donetti, Quasimodo sposò Maria e riconobbe il figlio. Cioé Alessandro. Che ha scelto di ricordare la madre leggendo quei versi in cui il poeta “si paragona ad un giovane animale colpito a morte che si lascia morire dolcemente”. E ha acceso ancor di più, se possibile, i suoi incredibili occhi chiari. Non nascondendo, però, i tradimenti di cui Maria fu vittima, rimanendo impotente dinanzi alle altre donne da cui il marito si lasciò sedurre, tuttavia definendole “ombre che cadono”.

 “Nel ’41, finalmente, Quasimodo chiuse con il lavoro di geometra. Il ministro Bottai, che amava gli intellettuali, creò per lui una cattedra di Letteratura al Conservatorio ‘Giuseppe Verdi’ (che mantenne fino alla sua morte, nel 1968, ndr)”.
“Divenne il cantore della guerra, l’unico poeta civile in grado di alzare la propria voce in quel periodo”. Contrastò gli eventi continuando ad insegnare a casa sua e componendo poesie “con un linguaggio quotidiano che incide, in chi legge, immagini molto forti. Nulla di retorico”.
In un terribile giorno dell’agosto 1943 Quasimodo si ritrovò a Bergamo, “a guardare da lontano il cielo di Milano che bruciava. Poi fece ritorno nella sua casa nel tentativo di recuperare qualcosa fra i resti”. Alessandro ha letto ‘Milano agosto 1943’ con tono lento, e sembrava di vederlo, il poeta, ripetere in preda allo sconforto: ‘La città è morta, è morta’.

Gli orrori della seconda guerra mondiale soffocarono anche la voce dei poeti; appendere le cetre ‘Alle fronde dei salici’ sembra l’unica cosa da fare: ‘E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore... ’In realtà Quasimodo continuò a lavorare alacremente, affiancando alle poesie numerose traduzioni dai classici latini e greci. E la fama, la sospirata fama, finalmente arrivò. Questa è la parte più nota della sua vita, e forse proprio per questo Alessandro l’ha soltanto accennato. Concludendo il viaggio con due componimenti che Salvatore dedicò rispettivamente al padre e alla madre. “Un giornalista gli chiese cosa avrebbe salvato se fosse stato costretto a bruciare tutta la sua produzione. Scelse ‘Mater dulcissima’, una poesia che lui considerava anche una preghiera”. Dopo aver interpretato egregiamente questi ultimi versi, Alessandro ha posato il microfono e si è goduto il lungo applauso dei presenti.

Da Girodivite

m.allo







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