Dura quanto un raffreddore poi, dopo una massiccia dose
di notizie, tutto torna come prima e non se ne parla più anche
se il focolaio infettivo è sempre là e della indispensabile
profilassi per curare la scuola si perdono le tracce.
Qualche pillola il ministro l’ha prescritta, per arginare la
evidente impreparazione dei nostri alunni delle medie e
delle superiori, col finanziamento di nuovi corsi di recupero
e sostegno, ma di una drastica medicina per debellare
del tutto la malattia denunciata dal rapporto Pisa non troviamo
prescrizioni. Eppure il farmaco benché amaro è di
possibile reperibilità e si potrebbe trovare in una rigorosa
riformulazione del reclutamento dei docenti che sono
l’asse portante dell’istruzione.
Cosa fare allora? Forse afferrare il coraggio della scelta e
imporre a chi vuole fare l’insegnante una preparazione di
tutto rispetto innanzitutto sui contenuti della disciplina e
poi sulla scienza della educazione, oltre che sulla legislazione
scolastica. E’ impossibile ormai pensare che un docente
sappia poco o nulla di psicologia e di legislazione
mentre molto lavoro si attesta nella compilazione di modulistica
sterile ma snervante e in un viavai di inutilità cartacea.
E’ impossibile ancora assegnare cattedre a neolaureati
con la promessa del posto fisso e poi lasciarli ad ammuffire
come precari per decenni nell’assillo del punteggio e
delle sole graduatorie. E’ paradossale inoltre che non ci siano
scambi sinergici di prassi educativa e didattica con l’Università
che però si balocca nel chiuso dei suoi privilegi,
snobbando altezzosamente in termini stipendiali e di carriera
i colleghi delle medie.
Ma è altrettanto strano che manchino accertamenti sull’efficacia
del lavoro svolto in classe e che non ci siano ispezioni
e non solo per i professori ma anche e soprattutto per
i dirigenti delle scuole che dovrebbero quantomeno meritarsi
lo stipendio al quale si aggiungono pure le laute percentuali
per i progetti e corsi Pon e Por, spesso richiesti con
lo scopo di fare soldi. Se lo Stato non recupera al più presto
una nuova dimensione dell’insegnare, sfondando le difese
universitarie e quelle concorsuali, avremo sempre l’approssimazione
culturale che nessun recupero aggiuntivo
alle normali ore di lezione potrà mai aggiustare.
E anche sul recupero c’è da dire che molti studenti l’attendono
come panacea alle loro insufficienze, nella convinzione
che con 15 ore appena la promozione venga assicurata,
mentre non si riflette che pagarsi la ripetizione privata
indurrebbe a più attenti studi in classe o comunque a un
maggiore coinvolgimento della famiglia. Il problema inoltre
non è solo quello di essere rimasti sul banco dei più somari
d’Europa, ma anche di stentare nella formazione di
una futura classe dirigente preparata ed efficiente, in grado
di reggere le sorti del paese e affrontare con dignità e sapienza
gli stravolgimenti economici e sociali sempre più
incalzanti e veloci e che incominciano già a soverchiarci.
Fra l’altro, dice Fioroni, a partire dal 2008 e fino al 2015
usciranno dalla scuola oltre 400 mila docenti, con un ricambio
generazionale senza precedenti, ma sottace il rischio
che essi potrebbero essere rimpiazzati dai più convenienti
precari, mentre altri esperti lanciano l’allarme della
probabile importazione, soprattutto dall’India, di insegnanti
di materie scientifiche vista il deserto delle nostre
università. Nei prossimi anni dunque si gioca il futuro
della nostra istruzione ma s’apre l’opportunità del ricambio
massiccio con cui si potrebbe rinnovare la scuola: non
sarebbe allora il momento giusto per puntare sulla formazione
di nuovi docenti-scienziati e soprattutto di professionisti
motivati, considerati e gratificati da stipendi più dignitosi?
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)