La Crusca: rischiosi i corsi in inglese
Data: Sabato, 29 dicembre 2007 ore 14:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Francesco Sabatini: anche nelle facoltà tecniche difendiamo l' italiano Tullio De Mauro: il vero problema è non conoscere le lingue straniere
Brutto momento per la lingua italiana, minacciata anche in patria. Mentre un numero sempre maggiore di università organizza corsi di laurea totalmente in inglese (all' argomento il Corriere ha dedicato due pagine il 25 novembre), magari anche con l' incentivo di uno sconto sulle tasse, come ha fatto il rettore del Politecnico di Torino, Francesco Profumo, il ministro dell' Istruzione Giuseppe Fioroni annuncia un piano di emergenza con corsi di sostegno in italiano e matematica, dopo che l' indagine internazionale Ocse-Pisa ha bocciato i quindicenni italiani, classificati agli ultimi posti nel rapporto che esamina le prestazioni degli studenti di trenta Paesi sviluppati. Proprio a Fioroni e al ministro dell' Università e della Ricerca Fabio Mussi il presidente dell' Accademia della Crusca Francesco Sabatini ha inviato oggi una lettera aperta che verrà pubblicata sul semestrale La Crusca per voi. «Intendiamoci - precisa Sabatini -, non combattiamo a testa bassa contro una maggiore diffusione della conoscenza dell' inglese, che ha le sue ragioni. Il problema è quando queste diventano le uniche ragioni». Del tema Sabatini ha discusso ieri anche in una riunione del comitato di indirizzo per la riforma della facoltà di Lettere all' Università di Roma Tre. «All' incontro - spiega Sabatini - partecipavano anche docenti di materie scientifiche ed è emersa la necessità di istituire, anche in facoltà come Ingegneria, corsi di italiano universitario, proprio per porre rimedio alle gravi carenze che moltissimi studenti presentano nell' uso scritto della nostra lingua. Così come si è parlato a lungo della formazione dei docenti di italiano, finora trascurata e che, invece, richiede un lungo processo». L' uso indiscriminato dell' inglese, con ampio ricorso a docenti madrelingua, secondo Sabatini, ostacolerebbe anche la formazione di insegnanti «nazionali», con il rischio che «la capacità di tenere lezioni in inglese finisca col fare premio sulla sicura competenza disciplinare». Altro pericolo, secondo il documento della Crusca, è che l' internazionalizzazione, intesa da alcune università anche come modo per attirare studenti stranieri, possa produrre un' emarginazione in altri corsi e in altre sedi degli studenti italiani, come dimostrerebbero i dati disponibili per alcune facoltà «anglicizzate» come Ingegneria tessile a Biella, Ingegneria elettronica e informatica a Vercelli. Non solo. Spiega Sabatini: «Molti laureati, anche di facoltà scientifiche, restano a lavorare nel contesto italiano e devono interagire quotidianamente con tecnici e strutture con i quali si comunica, anche nello specifico, in italiano». Le considerazioni della Crusca coinvolgono anche il versante socio-educativo, dal momento che «la sottrazione di un vasto campo di sapere avanzato alla sfera della lingua nazionale crea una frattura, introducendo una sorta di bilinguismo, simile a quello che dominò a lungo in Europa nell' età medievale, tra il latino utilizzato dall' alta cultura e le lingue volgari, dal lessico più povero e dalla sintassi più elementare». Questa polarizzazione danneggerebbe soprattutto le fasce popolari della nostra società, che hanno appena raggiunto il traguardo di «italofonia essenziale», fattore decisivo per l' integrazione sociale. Di diverso parere Tullio De Mauro, linguista e pure lui accademico della Crusca, ex ministro dell' Istruzione nel secondo governo Amato, secondo cui i veri problemi dell' Italia sono altri, e cioè «il basso livello di scolarità degli adulti, l' analfabetismo di ritorno. Oggi - dice De Mauro - c' è l' emergenza-scuola per i dati dell' Ocse, ma la verità è che la prima indagine internazionale che radiografava questa situazione è del ' 71. Sono trentasei anni che sappiamo che nella scuola media non si insegnano le scienze, la matematica, senza che nessuno abbia fatto nulla». L' inglese, dice De Mauro, non è il «malvagio invasore» e il «cosiddetto Clil (Content Language Integrated Learning), cioè l' apprendimento integrato di lingua e contenuti, ampiamente diffuso in tanti Paesi europei, è una delle vie migliori per l' apprendimento di una lingua. La migliore, dopo la full immersion». Certo, si tratta di vedere come viene applicato: «In certi casi può anche essere un' operazione "pubblicitaria" da parte dell' Università, ma, fatta con buon senso, è un' ottima cosa. Qui non si tratta di apprendere un vocabolario base per andare a fare le vacanze alle Bahamas. Oggi il tecnico bancario, il fisico, il matematico, il giornalista, addirittura il bravo linguista, per fare bene il suo lavoro, non può prescindere dall' inglese». Per non parlare del politico. «Ricordiamoci che cosa è successo in Spagna con i fondi della comunità europea, che loro sono riusciti ad ottenere e noi no. Non perché noi non ne avessimo diritto, e loro sì, ma perché i loro deputati a Strasburgo avevano una perfetta conoscenza delle lingue e quindi erano in grado di padroneggiare molto bene le discussioni, mentre i nostri no». * Lo studioso Francesco Sabatini, linguista, è il presidente dell' Accademia della Crusca. Professore ordinario di Letteratura Italiana all' Università di Roma Tre, è autore, con Vittorio Coletti del Dizionario della lingua italiana Rizzoli-Larousse

Taglietti Cristina







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