LA PROFESSORESSA CON LA CINQUECENTO
Data: Domenica, 23 dicembre 2007 ore 14:59:49 CET
Argomento: Opinioni


LA PROFESSORESSA CON LA CINQUECENTO



La vediamo arrivare così, ogni mattina, da anni, sempre uguale, con lo sguardo monotonamente fisso alla strada. Anzi, prima di vedere lei, vediamo l’altra. La sua compagna inseparabile, la mitica, inossidabile, grigia Cinquecento.
Appoggiati al muretto della scuola, sempre assonnati, eterne vittime di un sonno feroce e dominatore, ingolfati in maglioni e giacche che lasciano maliziosamente scoperti ombelichi infreddoliti di ragazze e nuche vigorose di ragazzi, con lo sguardo distinguiamo dapprima confusamente, lì, lontano sul viale, una macchia plumbea. Nelle mattine nuvolose si confonde con il cielo. Poi, via via che si avvicina, sembra ritagliarsi netta, spiccarsi di colpo dallo sfondo, più scura delle nubi che attraversa, quasi avesse una vocazione eroica, timidamente ruggente, con l’esitante tipico scoppiettio di un motore ormai  arrugginito
Una sterzata brusca. Posteggio effettuato. Tanto basta un buco! – ci diciamo noi, divertiti. Con una tale fuoriserie! Poi c’è un attimo di sospensione, la macchina sembra vuota, tutto è fermo al suo interno. Ma dov’è finita? Scenderà o non scenderà? Nulla si muove, ma che fa? E’ rimasta incantata là, non vuole decidersi ad entrare a scuola? Starà pensando chi interrogare, mormora uno, sarò io a passarle per un attimo tra i pensieri? D’altronde lei vive per la scuola, parla sempre di scuola, parla sempre di noi, e di tutti i problemi che le creiamo, Ci avrà sognato stanotte, la nostra cara prof. in Cinquecento, che misura la vita con i cucchiaini da caffè?
Eccola che scende, stessi vestiti di sempre, stessa gonna a pieghe, maglione decorato a fiori ricamati, chissà da chi, da qualche mano paziente. La sua? Magari la sua, tra un compito e l’altro da correggere, un tocco con la matita blu, un decoro sul suo bel maglione invernale, pesante addosso quanto quell’insegnare modesto e stentato, grigio come la sua Cinquecento. Così ce la immaginiamo nelle sere d’inverno, chiusa in casa, tra gli schiamazzi di figli chiassosi come noi, distratti come noi.
E adesso è qui. Non vogliamo diventare come lei, no, come lei proprio no. Rannicchiati così, in quella misera Cinquecento, a respirare la vita a piccoli sorsi strozzati, ma che vita è?
Eccola che cammina veloce veloce, con quel suo passo lungo e leggero, sgattaiola via, senza guardarci, lo sguardo chino in terra, ripetendosi mentalmente lezione e frasi fatte. Vobis studendum est, pueri. Dovete studiare ragazzi, mentre la Cinquecento attende lì, sotto la pioggia e il sole, paziente, macchina eterna di una eterna ripetente.
Dai, Marta, premi il tuo telecomando. Oggi niente scuola. Azione la capote del tuo bel coupè. Te l’ha regalato papà per i tuoi diciotto anni. E’ grigio, ma luccica, romba, eroga fluidamente potenza e giovinezza, mentre l’aria ti accarezza il volto e i ragazzi ti guardano, estasiati dalla macchina, e forse un po’anche da te.
Qaunto costa non lo so neanche, so solo che la mia prof. ha la Cinquecento, una piccola misera, angusta Cinquecento, col motore inceppato e il cruscotto povero, di quelli che non sai nemmeno se le luci sono accese e l’acqua ti entra dentro da ogni fessura. Se studio, dunque, avrò una Cinquecento?
Ma forse è lei la vincente. Perché lei, in quell’età in cui probabilmente desideri e speranze tramontano miseramente, ha ancora molto da desiderare, cara professoressa. Noi, invece, più nulla.

 

SILVANA LA PORTA







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