TIZIANO, ULTIMO ATTO
Data: Mercoledì, 12 dicembre 2007 ore 16:05:44 CET
Argomento: Comunicati


Tiziano. L’ultimo atto
Belluno, Palazzo Crepadona
 Pieve di Cadore, Palazzo della Magnifica Comunità
 fino al 6 gennaio 2008

Recensione di Irene Tedesco

Organizzare ogni cosa per bene prima di partire per un lungo viaggio.
 È L’Ultimo atto compiuto da Tiziano Vecellio, nei vent’anni conclusivi che pressappoco lo separano dalla morte, avvenuta nel 1576 a causa della peste. Obbiettivo di questa mostra, che sta vivendo in questi mesi una competizione forzata con il Tiziano maturo dell’esposizione organizzata presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna, è gettare luce su un aspetto meno indagato dalla storiografia, quello della sua produzione tarda in rapporto alla numerosa bottega di discepoli che gravitava intorno alla residenza di Pieve di Cadore.
 Sono numerose le opere note di Tiziano e vasta la fama che il pittore ebbe fin dalla giovane età, quando esordisce con gli affreschi nella Scuola del Santo a Padova nel 1510-11 e al seguito di Giorgione da Castelfranco, con cui firma il proprio ingresso nella serie dei cambiamenti che determinano i passi rivoluzionari nella storia dell’arte, attraverso un lucido panno quasi argentato dipinto nella parte inferiore della giorgionesca Venere (Dresda, Gemaldegalerie). Gli studi sulla pittura di Giovanni Bellini del recente passato e un passaggio a Roma segnano la conoscenza dell’opera di Raffaello (si veda il confronto tra la Pala di Santa Maria Assunta nell’omonima chiesa ai Frari di Venezia e la Trasfigurazione del pittore urbinate oggi ai Musei Vaticani a Roma), di Michelangelo – come nel S. Sebastiano del polittico Averoldi di Brescia. Tiziano conquista negli anni una committenza sempre più vasta come le famiglie degli Este, dei Farnese, finché nel 1533 diviene pittore ufficiale dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, il quale gli concede il titolo di conte palatino, e realizza in seguito ritratti anche per il figlio Filippo II. La Repubblica della Serenissima, dal canto suo, gli riconosce il diritto a controllare la Magnifica Comunità di Cadore e creare notai.
 In questo contesto matura e muta la sua pittura, articolandosi in un espressione di matericità che sfalda i contorni, riempitisi di grumi di colore dato sempre più spesso a mano libera dopo aver lasciato la tela “a riposare” per qualche tempo. Una prima idea di questo suo dipingere a prima battuta evanescente, come sono in effetti le velature stese di colore, si può cogliere nel Ritratto di Paolo III Farnese con i nipoti (Napoli, Museo di Capodimonte) del 1545 per poi passare,  ad esempio, al coriaceo S. Domenico degli anni 1565-69 (Roma, Galleria Borghese) e infine al triplo ritratto con Le tre età dell’uomo (Edimburgo, National Gallery).
 La doppia linea perseguita dagli studiosi traccia per un verso gli episodi salienti di questo momento artistico – aiutati nell’allestimento di Palazzo Crepadona da Mario Botta, che nel cortile ha conchiuso in un cubo potremmo dire “delle meraviglie”, tre dipinti come il San Giacomo in cammino (Venezia, chiesa di S. Lio), L’Ultima cena (Madrid, palazzo Liria, coll. dei duchi d’Alba) e il Ritratto di Paolo III (S. Pietroburgo, The State Hermitage Museum) – e pone attenzione sul versante della bottega di Tiziano.
 L’immagine che il longevo artista consegna alla storia, al termine anche di una serie di ricerche archivistiche condotte da Bruno De Martin, Antonio Genova e Silvia Miscellaneo che hanno portato ad ampliare i rami dell’albero genealogico dei Vecellio, è quello di un uomo anziano molto attento all’organizzazione della sua produzione, alla gestione degli affari di famiglia e alla consapevolezza dell’importanza della firma come segno che conferisce valore commerciale maggiore ad un prodotto estetico. Tiziano mantiene attivo il commercio di famiglia, quel legname che serviva a Venezia per la propria flotta e scendeva lungo il Piave, invia lettere con richieste di pagamento a coloro che, veloci nel richiedergli dipinti per le reali collezioni, non lo erano altrettanto all’atto del pagamento. Infatti il mancato pagamento della corona di Spagna, fa sì che egli chieda a Massimiliano II nel 1568 di poter eseguire “poesie”, ossia delle repliche di alcune sue opere più fortunate da vendere nel mercato europeo, dove inviava agenti per poterle piazzare. Ottiene anche dal Senato veneziano il permesso di far stampare i suoi disegni a Cornelius Cort nel 1566. Inoltre mentre coltivava interessi umanistici, collezionando pezze di tappezzerie e damaschi utili per le vesti da dipingere e qui esposte, apriva le porte della bottega a giovani come Domenikos Theotokopulos, più noto come El Greco, Valerio Zuccati e Emanuel Amberger, senza dimenticare il figlio Orazio e il cugino Marco Vecellio, reagisce all’affermazione di altre famiglie di pittori come i Bassano, Tintoretto e Veronese, firmando opere in cui l’intervento maggiore spettava ai seguaci.
 È il caso della Deposizione di Cristo (Milano, Pinacoteca Ambrosiana), della Santa Margherita d’Antiochia e il drago (Firenze, Galleria degli Uffizi), dove risulta difficile distinguere le parti del Maestro da quelle dell’allievo fuse in un gorgoglio di colore dalle tonalità scure i cui emergono i rari bianchi delle vesti, sempre sporchi, sempre vissuti.







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