ECCO PERCHE' L'ITALIA E' STATA BOCCIATA DALL'OCSE
Data: Marted́, 11 dicembre 2007 ore 14:52:33 CET
Argomento: Opinioni


Finché si continuano a studiare nozioni
 saremo ultimi.

Prima di tutto occorre fare una «riforma dell'insegnante»,
 dando la pagella anche ai docenti

di Stefania Pozio,
 docente di Scienze matematiche presso la Scuola media Statale Luigi Settembrini,
  da ItaliaOggi dell'11/12/2007

 

Tutti si chiedono perché gli studenti italiani riportino risultati deludenti alle prove di matematica e di scienze dell'indagine Ocse. Innanzitutto bisogna tener presente un dato importante: i nostri studenti sono quelli che omettono di più le domande, cioè non rispondono proprio, lasciano in bianco le risposte e poiché, per il Pisa 2006, una risposta omessa è considerata a tutti gli effetti errata, questo aumenta la percentuale di errore. La percentuale più alta di omissioni, pari a quasi il 40%, con punte addirittura del 70%, riguarda domande che prevedono risposte aperte articolate: quelle, cioè, in cui si richiede allo studente di scrivere il proprio ragionamento. Questo potrebbe essere un segnale del fatto che a scuola i nostri studenti non sono abituati a esplicitare il proprio ragionamento e quindi, di fronte a una tale richiesta, preferiscono non rispondere piuttosto che tentare di dare una risposta non corretta. Cerchiamo comunque di capire che cosa l'Ocse vuole misurare con questa rilevazione. Vuole sapere quanto gli studenti, al termine della scuola dell'obbligo, abbiano acquisito competenze necessarie per poter esercitare un ruolo attivo e responsabile nella società, quanto cioè siano in grado di poter essere, un domani, forza lavoro. Quindi l'Ocse non è tanto interessato a che cosa si studia quanto all'uso funzionale di ciò che si apprende. Ma cosa si intende per competenze? Si intende la capacità di saper utilizzare in modo funzionale le conoscenze, cioè essere in grado di attivare l'insieme delle conoscenze e delle abilità di tipo matematico o scientifico che si sono apprese per risolvere i tipi di problemi con cui ci si deve confrontare nella vita quotidiana. Ora, la scuola italiana è più una scuola di conoscenze che non di competenze. I nostri studenti studiano molte materie, soprattutto umanistiche più che scientifiche, ma tutto resta a livello di conoscenze, spesso nozionistiche, e non si tramuta in competenze. Tutto ciò che viene insegnato ha poca aderenza con la realtà, molti studenti considerano inutili le cose che studiano a scuola. L'acquisizione di competenze richiede di più di un semplice immagazzinamento di elementi di conoscenza: occorre che lo studente sia capace di usare tale conoscenza, di applicarla nella risoluzione di problemi reali. Ma qualcosa ultimamente nella scuola italiana sta cambiando. Nell'ultimo documento pubblicato dal ministero dell'istruzione che riguarda le Indicazioni per il curricolo per la scuola d'infanzia e per il primo ciclo d'istruzione, si legge, a proposito della matematica: «Caratteristica della pratica matematica è la risoluzione di problemi, che devono essere intesi come questioni autentiche e significative, legate spesso alla vita quotidiana, e non solo esercizi a carattere ripetitivo o quesiti ai quali si risponde semplicemente ricordando una definizione o una regola» (pag. 93). Il messaggio è chiaro: la didattica va cambiata, ma per fare questo è necessaria una formazione obbligatoria per gli insegnanti e questo è un altro problema della scuola italiana. Siamo uno tra i pochi paesi al mondo che non ha la valutazione degli insegnanti e di conseguenza la formazione in servizio è legata alla buona volontà del singolo docente. È ormai opinione largamente condivisa che ogni miglioramento del nostro sistema scolastico deve prima di tutto passare attraverso una «riforma dell'insegnante», la cui azione non può considerarsi corretta, e nemmeno sufficiente, se il suo intervento si riduce ad una mera trasmissione di conoscenze.
  Il rapporto Ocse Pisa segnala le lacune del paese, specie nelle scienze

Ingolfati dalle riforme.

L'Italia paga lo scotto della disomogeneità

Giovanni Scancarello da ItaliaOggi dell'11/12/2007

 

In Italia ci vuole fortuna a capitare nella scuola giusta. Che ci si riesca dipende da dove si ha la fortuna di nascere. La brutta figura italiana agli ultimi test di valutazione Ocse Pisa, dedicati all'apprendimento della matematica, della lettura e soprattutto delle scienze, mette in luce la disomogeneità delle prestazioni degli studenti quale prodotto di un inaccettabile darwinismo formativo, di un sistema duale di fatto e di eccessiva disparità fra scuole. Così le medie scendono e il paese a intervalli di tre anni ci rimette puntualmente la faccia. Laddove invece i curricoli di studio e le scuole sembrano convergere più che distinguersi, verso formati più unitari e organici, dove esiste maggiore omogeneità dei risultati fra le scuole, le cose sembrano funzionare meglio. È il caso questo, per esempio, della Finlandia, testa di serie in fatto di apprendimento in scienze, matematica e lettura. Foto in bianco e nero quella scattata dall'Ocse che non rende però giustizia alla nostra scuola. Resta infatti da spiegare il riconoscimento internazionale della qualità della scuola dell'infanzia e della scuola elementare italiane, la corale partecipazione delle nostre scuole spesso in testa ai programmi Comenius e Leonardo, alle iniziative di gemellaggio e soprattutto gemellaggio elettronico (e-twinning), come pure il livello di preparazione degli studenti al liceo e all'università.
 

Aspettative al ribasso

La scuola italiana sembra condizionata più dall'abbassamento che dall'innalzamento delle aspettative di apprendimento degli studenti. Mentre altrove si perfezionano i curricoli intorno agli obiettivi del capitale umano e sociale, e si chiede agli studenti, come in Finlandia, di difendere la bandiera studiando, da noi il dibattito è se tornare o no allo studio mnemonico delle tabelline. I docenti, d'altra parte, il proprio compito lo svolgono così come la committenza glielo richiede. Risultato, non si punta all'eccellenza e si viene fagocitati dall'incompetenza e dal disimpegno, tant'è che il punteggio medio di 475 punti conseguito dagli studenti italiani nella scala complessiva di scienze contro una media Ocse di 500, di 462 punti in matematica contro una media di 498, di 469 punti in lettura contro una media di 492, ci pongono in coda alla classifica mondiale dell'apprendimento. Non si registrano significativi passi in avanti in matematica dal 2003, mentre dal 2000 peggioriamo decisamente in lettura. A peggiorare la situazione ci si mettono anche gli scarsi risultati delle scuole e dei corsi professionali attivati in anticipazione della legge 53 del 2003.
 

Scuola da riaggregare

Se la scuola funziona riesce a ridurre l'incidenza dello status socio-economico di provenienza degli alunni, e in Italia ciò avviene anche più che negli altri paesi Ocse. Ma se in Australia, Canada, Finlandia, Giappone e Svezia, il minore impatto del background socio-culturale si accompagna al miglioramento delle medie, in Italia accade che si creino nuove iniquità. Ai test di scienze gli studenti di liceo conseguono una media di 518 punti, estremamente più alta di quella degli studenti degli istituti professionali fermi a 414 punti, mentre gli studenti del Nord arrivano a superare quota 500 punti (media Ocse) fino ad arrivare a 520, mentre al Sud e nelle isole restiamo attestati rispettivamente a 448 e 432 punti. In Italia poi la maggior parte della varianza dei risultati ai test è mediamente spiegata dal 50% di varianza tra scuole, laddove la media Ocse è pari al 33%. In Finlandia questa non supera il 5%. Francamente troppo lo scarto per non riconoscergli un qualche significato. Forse andrà meglio ai test dell'Ocse Pisa 2009, incentrati nuovamente sulla lettura come nel 2000, sempre che le differenze e le divisioni non incidano come stavolta sulla reputazione nazionale della nostra scuola







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