Il capitale umano è la risorsa vincente
della società occidentale a causa del repentino
cambiamento dell’economia da
materiale a immateriale e quindi del
passaggio dai grandi impianti industriali
e dai macchinari ai servizi, alla comunicazione,
alla ricerca tecnologica, all’uso
del tempo libero; ciò significa che per
stare saldi sul fronte della competitività
internazionale bisognerebbe puntare
sulla valorizzazione della conoscenza.
Dice infatti un rapporto presentato a
Bruxelles da Eurofound: «In Svezia i lavoratori
della conoscenza sono il quasi il
60% del totale della forza lavoro, nel Regno
Unito e in Danimarca raggiungono il
50% mentre da noi solo il 37%, superati
anche da Germania (44 %) e dalla Francia
(43%)». E’ notizia recentissima che gli
studenti italiani «sono al 38° posto fra 57
Paesi analizzati dall’Ocse quanto a conoscenze
scientifiche; sono i peggiori dei
Paesi del G7 e i terzultimi fra i Paesi Ue.
Nella scala della conoscenza scientifica
degli studenti dei 57 Paesi analizzati, l’Italia
risulta così nella fascia dei Paesi
"significativamente al di sotto della media Ocse", con 475 punti, mentre in cima
i ragazzi della Finlandia, seguiti da Hong
Kong e dal Canada"».
Altre ricerche hanno
inoltre evidenziato che studiare è un investimento visto che l’occupazione
aumenta in relazione ai risultati scolastici tanto che i laureati guadagnano
almeno il 50% in più di chi ne è sprovvisto. Il nostro sistema di istruzione
invece pare sempre più balbettante e tutto si riduce nella riproposizione
di rimedi antichi che alla fine
poco cambiano nella prospettiva generale
mentre i programmi rimangono per
lo più obsoleti. Nello stesso tempo sembra
che da parte degli organismi rappresentativi
dei docenti, sindacati e associazioni,
non ci sia una denuncia forte
di queste colpevoli carenze dello Stato,
che da un lato si è assunto l’onere dell’educazione
dei cittadini ma dall’altro si
ostina a non intervenire seriamente come
è nelle sue prerogative costituzionali,
mentre è sempre più evidente l’insoddisfazione
e l’inadeguatezza dei docenti
nei confronti del mestiere che svolgono
e che si sta riducendo sempre più a
sciatto servizio burocratico.
Pare poi farsi sempre più strada l’idea,
sibilata dal ministro e da un manipolo di
presidi nostalgici di autoritarismo, che
se colpe nella scuola ci sono, la responsabilità
è da appiccicare ai docenti fannulloni,
pigri e impreparati al contrario
del loro effettivo ruolo nella scuola che
dovrebbe essere quello di missionari
impegnati nell’educazione e di profetici Zarathustra della cultura. Un’idea peraltro
enfatizzata dal godimento di lunghe
vacanze e dal carico di ore di lavoro
a settimana che però a conti fatti di pochissimo
si discosta dai colleghi europei.
Ma chiediamo: perché in Finlandia
con meno ore settimanali di lezione gli
alunni riescono meglio dei nostri? Non
abbiamo risposte ma aggiungiamo che
anche la Sanità, i servizi e l’occupazione
vanno meglio da quelle parti, compresa
la classe politica e quindi l’efficienza
dello Stato. Inoltre l’insegnante non è altro
che il commesso dei prodotti del
ministero e se deve piazzarli come meritano,
rigore morale vuole che essi siano
buoni e di ottima qualità non già affastellati
alla meno peggio e soprattutto
scaduti.
E non solo, ma correttezza vuole che
il rappresentate dello Stato, il professore,
sia tenuto nelle giuste considerazioni
in termini di luogo di lavoro, di dignitosa
visibilità e di garanzie economiche
e giuridiche; un mandatario dello
Stato con un peso sociale importante,
che sia punto di riferimento e modello
di vita possibile e soprattutto che goda
il giusto rispetto per ciò che egli rappresenta
e per ciò che ogni giorno elargisce.
Se tutto questo lo Stato stura con politiche
adeguate allora si può con più ottimismo
incominciare a parlare di formazione
di lavoratori della conoscenza
in cui la buona volontà e il merito non
siano sinonimi di secchione come bullo
di intelligente e furbo.
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)