Una sentenza del Consiglio di Stato condanna MPI e Usp di Firenze
«Ridate i punti alla professoressa precaria»
L’astensione facoltativa per maternità è un vero e proprio servizio
Ribaltata in sede di appello la sentenza contraria del Tar Toscana
Di Vincenzo Brancatisano
28 NOVEMBRE 2007 – E poi dicono alle donne di fare figli. E poi dicono di tifare per la famiglia. E poi dicono di combattere il precariato. A parole tutti dicono. Ma un’insegnante toscana ha dovuto penare per ottenere in giudizio ciò che lo Stato le aveva negato, il diritto di vivere in pace la propria maternità. I fatti. Un’insegnante precaria toscana si rivolge al Consiglio di Stato e fa condannare il Ministero della Pubblica Istruzione per la mancata valutazione, nella graduatoria permanente, del servizio “svolto” durante l’astensione facoltativa per maternità. L’organo giurisdizionalale amministrativo d’appello (Sezione VI) con la sentenza n. 5797 13 novembre 2007 ha rigettato in questo modo una precedente sentenza del Tar della Toscana (n. 287/2002 dell’8 maggio 2002) che a sua volta aveva rigettato un ricorso della professoressa. Con quest’ultimo, la docente aveva impugnato il decreto del Provveditorato agli studi di Firenze con il quale quest’ultimo aveva approvato le graduatorie permanenti provinciali dove la docente si era vista riconoscere un punteggio inferiore rispetto a quello che le spettava. Mancavano infatti i punti relativi al servizio corrispondente al periodo di astensione facoltativa che, secondo il Provveditorato sostenuto poi dal Tar, non farebbe maturare punti in quanto non si tratterebbe di “servizio effettivo”. La discutibile tesi del Tar era che l’art. 7 della Legge n. 1204/1971 – che fa espresso riferimento all’“anzianità di servizio”, non alla “anzianità effettiva” – non può interpretarsi estensivamente sulla base del suo tenore letterale, occorrendo avere riguardo alla ratio della sua disposizione, in correlazione alla ratio delle procedure concorsuali nel pubblico impiego. «La tutela delle lavoratrici madri – spiegava il Tar – riceve un valore prioritario ed assorbente allorquando faccia riferimento all’astensione obbligatoria dal lavoro e non quando si tratti di astensione facoltativa; per altro verso è interesse delle Pubbliche Amministrazioni selezionare il proprio personale tenendo conto dell’esperienza derivante solo dall’anzianità effettiva». Contro la sentenza la professoressa ha proposto appello davanti al Consiglio di Stato lamentando la violazione ed erronea applicazione di varie norme di legge e del contratto collettivo del comparto scuola. E il Consiglio di Stato, come detto, le ha dato ragione. «Come è noto – si legge nella sentenza – l'art.6 della legge n. 1204 del 1971 dispone espressamente, con formula generale ed onnicomprensiva, che i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità devono essere computati nell'anzianità di servizio “a tutti gli effetti”. In ordine all’astensione facoltativa il successivo articolo 7 dispone che i periodi di assenza “sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie ed alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia”». Lo stesso Consiglio aveva già avuto modo di rilevare (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 aprile 2002, n. 2254), che «le norme appena richiamate sanciscono una completa equiparazione anche del periodo di astensione facoltativa all’effettiva prestazione di servizio con l’unica eccezione, non suscettibile di interpretazione estensiva o di manipolazione analogica, degli effetti, estranei alla fattispecie che interessa, delle ferie, della tredicesima mensilità e della gratifica natalizia». Questa lettura del dato normativo, prosegue il Consiglio, «è confortata dalla ratio dell'istituto di che trattasi. La circostanza che l’astensione facoltativa si atteggi per definizione a frutto di libera scelta dell'interessata non toglie, infatti, che l’astensione facoltativa è rivolta alla tutela della prole, ossia al soddisfacimento di esigenze intimamente compenetrate, in un’ottica di naturale continuazione, con la tutela della maternità naturale posta a fondamento dell'astensione obbligatoria. Ne deriva che sia il dato letterale sia l’omogeneità della ratio, escludono, in assenza di indicazione legislativa discriminante, la praticabilità di un approccio ermeneutico volto a differenziare, sotto profili diversi da quelli evidenziati ex lege, la computabilità dell’astensione obbligatoria e di quella facoltativa alla stregua di servizio effettivamente prestato (così, Cons. Stato, sezione VI, 26 aprile 2002, n. 2254; Cons. Stato, sezione VI, 9 aprile 2000. n. 2038; sezione II, parere 17 ottobre 1990; vedi anche più in generale Cons. Stato, sezione VI, 16 maggio 2001, n. 2760)». Da qui l’accoglimento dell’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento del ricorso proposto in primo grado” e la condanna del Ministero della Pubblica Istruzione e dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Firenze, al pagamento, in solido (ma a pagare per l’incredibile errore di valutazione saranno i contribuenti) delle spese processuali.
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