TUTTI I PROBLEMI DEL NUOVO RECLUTAMENTO DOCENTI
Data: Mercoledì, 21 novembre 2007 ore 14:09:56 CET
Argomento: Redazione


da Proteo Fare Sapere: Il vestito nuovo dell`imperatore e i concorsi che verranno

 Ci siamo, pare. E’ da più di quaranta anni che si aspettava questo momento.
La riforma del reclutamento dei docenti è un tema risalente alla seconda metà degli anni Sessanta, quando i primi grandi movimenti dei docenti precari avevano già evidenziato l’inadeguatezza della struttura antica (e. aggiungiamo senza tema di polemiche, eminentemente gentiliana) dei concorsi a cattedre.

Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti: acqua greve di irresolutezze, di ritardi colpevoli, di coperte corte tirate di qua e di là, di emergenze sistemiche, pervicacemente preordinate, di concorsoni del secolo, di nuovismo plateale e voglia di colpi di spugna, di movimenti e inevitabili sessioni riservate, di frustrazioni e bottiglie di spumante stappate dopo una vita di gavetta, di ingiustizie sdoganate per solidarietà. Decenni di interventi sovrapposti, contraddittori o semplicemente cervellotici. Quaranta anni di uno spaventoso tritacarne che ha macinato le vite di centinaia di migliaia di insegnanti, da un capo all`altro del paese, senza che nessuno riuscisse – o volesse – mettere la parola fine a ciò che ci si poteva lasciare alle spalle, una volta e per sempre, da un pezzo.

Oggi ci viene detto che esiste la volontà di chiudere per sempre questa pagina controversa della nostra storia legislativa, di portare razionalità in quello che, probabilmente, è il più contorto sistema di reclutamento del mondo occidentale, di farla finita con le graduatorie provinciali e di cancellare, in una e per sempre, la parola precariato dal vocabolario della scuola e dall’immaginario collettivo dove, per il momento, sembra invece resistere strenuamente.

E in effetti l’occasione potrebbe essere quella buona, se non si commettessero errori. Perché, aldilà delle intenzioni manifeste, ciò che fa la differenza con il passato è che il processo è ampiamente avviato già quasi da un decennio. I percorsi di specializzazione universitaria sono stati sperimentati, con tutti i loro chiaroscuri, l’ultimo bando per un concorso ordinario, vecchio stampo, risale al 1999 (lasso di tempo ‘normale’ - si fa per dire - per le secondarie ma significativo per scuola primaria e dell’infanzia per le quali i concorsi sono stati, almeno negli anni Novanta, più frequenti) e sembra, ormai, universalmente accettata l’idea che si debba chiudere con un passato che ha associato al termine concorso l’aspetto delle Forche Caudine dell’incertezza e della roulette russa anche per chi, nella scuola, ci bazzicava da anni (spesso molti anni).

 Ma è davvero così? Siamo davvero a una svolta? La fase che si apre porterà seriamente a una semplificazione delle procedure, a un aumento di garanzie, alla fine della sofferenza per i lavoratori e per gli alunni costretti a cambiare insegnante ogni anno, a una maggiore professionalizzazione della classe docente o anche solo a un suo mero ringiovanimento anagrafico?
 Per la verità il rischio che su questo argomento si sfoci un po’ nella retorica e nel politichese, se non nel gioco delle tre carte, è grande.
L’impressione diffusa e legittima, infatti, è che, una volta obliterato il passato, troppo poco si sappia, al momento, delle intenzioni per il futuro. Per adesso si sa che la finanziaria per il 2008 ha mandato in soffitta l’art. 5 della riforma Moratti e il relativo decreto attuativo. Su quello che ci sarà dopo ci sono solo ‘voci’ che assomigliano molto al famoso sassolino gettato, nascondendo la manina, tanto per vedere l`effetto che fa.

E l’effetto che fa, sia ben chiaro, è che tutti aspettiamo di saperne qualcosa in più. Ma prima che il regolamento venga pubblicato e in modo che su questo tema ci sia un confronto serio con le organizzazioni di categoria.

 Già che stiamo aspettando, cominciamo a mettere pure qualche paletto di valenza etica prima che politica. E cerchiamo di farlo, di seguito, con il metodo che i manuali di didattica chiamano del problem-solving, ponendo alcune domande che faranno tossicchiare di fastidio qualcuno (nella migliore delle ipotesi) e (nella peggiore) rimarranno lettera morta, ma con il candore del bambino che grida che il re è nudo. Perché se è nudo è nudo.
O no?...

Il doppio canale può davvero andare in soffitta?

 E’ proprio questa la prima domanda da porsi. I concorsi per soli titoli, poi graduatorie permanenti e oggi graduatorie a esaurimento, hanno svolto una funzione vitale e strettamente funzionale alle irrazionalità e ai ritardi dei concorsi ordinari. Accoppiate con le sessioni riservate (non a caso fenomeno endemico in Italia) le graduatorie provinciali per l’incarico e il ruolo sono riuscite a “tappare le falle” del sistema. Ma se esse sono state necessarie la colpa non era certo delle graduatorie stesse ma del sistema contorto che c’era alle loro spalle e cioè quello dei concorsi per titoli ed esami, con la loro componente di cronica farraginosità e di imponderabilità docimologica. Diamo una buona volta il nome giusto alle cose: i concorsi ordinari erano il male. Il doppio canale la soluzione al male.
 Non il contrario!
 Se il doppio canale ha resistito per venticinque anni, godendo del consenso più generale, è perché ha svolto la funzione di camera di decompressione per le sistole e le diastole periodiche nel numero di precari dovute alla scolarizzazione di massa, alla mancanza, pressoché assoluta, di programmazione nella catena di trasmissione tra università e mondo del lavoro, alle politiche di contenimento dell`organico e, lo si ripete, ai colpevoli ritardi nell’espletamento dei concorsi stessi. Ma ce n’è anche un altro di motivo.
 Una percentuale fisiologica di personale precario è - e rimarrà - funzionale alla gestione minima delle scuole. Non esiste alcun altro sistema che possa assicurarne il funzionamento nei casi di modifica annuale degli organici provinciali o di assenza del personale titolare, a meno di non eliminare, in solido, tutta la normativa sui congedi parentali, quella sugli esoneri e le relazioni sindacali, sugli esoneri politico-amministrativi e tutta quella sulle utilizzazioni e le assegnazioni provvisorie. Per non parlare dei malanni cui, scongiuri a parte, siamo tutti esposti sotto questo cielo.
 Allora, visto che di supplenti e incaricati annuali ci sarà sempre bisogno, visto che l`attuale normativa impedisce di svolgere attività parallele all`insegnamento (per la massima parte incompatibili), visto che un supplente deve pur mangiare e avere una prospettiva, per quanto vaga, di stabilizzazione perché ci si ostina a non capire che il male non sono state le graduatorie dei precari ma ciò che ha fatto in modo che i precari aumentassero esponenzialmente e cioè i concorsi ordinari e la programmazione numericamente disinvolta dei percorsi universitari di specializzazione?
L`anno scorso a qualcuno è saltato il picchio di eliminare il doppio canale da una data precisa e ha dovuto rendersi conto di quanto fosse assurda l`idea del colpo di spugna a partire dal generale parapiglia che ne è scaturito. Ora, con la sua chiusura, il problema è solo rimandato di un anno o due. O magari solo di qualche mese, visto che il nono ciclo SISS non è lontano dal completare il suo percorso.

 POSSIBILI SOLUZIONI: esiste una sola soluzione. Il doppio canale, comunque si chiamerà, non può scomparire. Dovrà continuare ad esistere. Per i precari di oggi e di domani. Lo abbiamo detto l`anno scorso. Bisogna continuare a ripeterlo. Non esiste altra alternativa. Può essere migliorato ma non eliminato, per ragioni di principio ma anche di semplice qualità del sistema scolastico, anche a partire dalla considerazione che la sua totale scomparsa non è socialmente praticabile. Del resto come negare che una persona che ha dimostrato la propria attitudine a svolgere un lavoro, peraltro ricca di esperienza, e di cui lo Stato si è servito per un periodo significativo ha diritto alla stabilizzazione anche se non `vince` (cioè non si colloca nelle sue prime posizioni) una procedura concorsuale ma comunque è abilitato a insegnare?
Ma ammettiamo, per un istante, che il progetto di eliminare completamente un`esperienza di lunga data e ampiamente collaudata venga posto in essere fino in fondo. Ne conseguono, in ordine sparso, diverse altre domande.

Su quali cattedre verranno svolti gli anni (o bienni) di contratto di formazione dei neo-specializzati?

 L`On. Bastico lo sa bene perché viene dalla scuola. Con gli incarichi annuali ci campano le famiglie. Negli anni Settanta esistevano gli "incarichi a tempo indeterminato" (averceli!...). Poi venne l`organico di fatto, con i conseguenti periodi di disoccupazione.
 Ma ciò non toglie che con gli incarichi le famiglie ci campano. Ora: se si toglie una cattedra a un precario per usarla per un contratto di formazione di uno specializzando la famiglia del precario suddetto non paga più le bollette. E` lapalissiano, no? O almeno dovrebbe a non voler tenere gli occhi chiusi.
 Fino ad ora il tirocinio è stato svolto "accanto" al personale avente diritto, non "al posto" del personale avente diritto.
 Senza voler accampare la questione di principio (eppure i principi qualcosa dovrebbero valere) che una scelta del genere sistematizza ciò che non può essere sistematizzato, e cioè che lo Stato fa lavorare (per sistema, appunto, non per necessità, come è sempre accaduto finora) personale che deve ancora dimostrare la propria idoneità e che, pur avendola dimostrata sul campo, non ha alcuna certezza di stabilizzazione, rimane sempre la domanda di fondo a cui né la Moratti né l`attuale governo hanno ancora risposto: su quali cattedre verranno svolti i periodi di prova? Chi perderà il lavoro, quali famiglie perderanno il sostentamento per consentire la formazione sul campo dei futuri (se sono fortunati, ma se non superano le successive prove teoriche sono dolori di pancia anche per loro) docenti? I pensionamenti basteranno a coprire tutte le necessità di formazione senza lasciare nessuna famiglia in bolletta?
Qualcuno risponda a questa domanda, una buona volta, e si chiariscano le intenzioni del Governo prima che il regolamento sia bello e impacchettato, pronto per la Gazzetta ufficiale.

 POSSIBILI SOLUZIONI: anche qui c`è ben poco da discutere. La formazione sul campo va fatta senza contratti di formazione. Essa va svolta accanto al personale titolare, tramite tirocinio affiancato, come è stata praticata finora, non al posto di esso.
Se l`articolo 5 è stato - giustamente - abrogato c`è un motivo. Il motivo è che esso conteneva delle aberrazioni che non devono essere riproposte.

E` vero che gli insegnanti che usciranno dai nuovi concorsi saranno più "giovani" di chi è stato assunto finora?

 Di tutte le argomentazioni sentite in questi anni sicuramente quella in oggetto è la più ideologica.
 Innanzitutto chiariamo che se un precario viene assunto in ruolo a quaranta - o cinquanta - anni non è colpa sua ma di chi non lo ha assunto prima. E in ogni caso ha cominciato a lavorare dieci, quindici, venti anni prima. Spieghiamolo come lo si spiegherebbe a un bambino (perché se il re è nudo, è nudo, appunto): la data che va considerata non è quella dell`immissione in ruolo ma quella della prima supplenza.
 Ma anche chi volesse ancora ostinarsi a non capire questo semplice distinguo dovrà comunque spiegare come è possibile che un percorso di cinque anni di università (più un biennio di specializzazione?) e di un anno (o biennio) di contratto di formazione sia più breve e meno accidentato di un percorso quadri-quinquennale con concorso immediatamente seguente. Già: immediatamente. Perché nel Testo Unico, fino a prova contraria, i concorsi dovevano essere espletati ogni tre anni. Cosa che non è mai successa, a memoria d`uomo, in particolar modo per le secondarie, dopo la seconda guerra mondiale. E perché dovrebbe succedere che si rispettino i tempi d`ora in poi?
 Facciamo un po` di conti.
 Con il vecchio sistema, a regime, si svolgevano 4 0 5 anni di università, un concorso (che doveva, de iure, essere triennale, ex art. 399, comma 2 del Dlgs 297/94, che recepiva la precedente normativa, poi sostituito dall`art. 400, comma 1, come modificato dalla Legge 124/99: pezzi di norma mai rispettati) e poi si andava direttamente in classe. Risultato: rispettando i tempi di legge si poteva entrare in classe a 26/27 anni.
 Col nuovo sistema ai 5 anni di università si aggiungono - forse - altri 2 di specializzazione, poi 1 (o 2) di contratto di formazione e poi occorre aspettare il concorso che, tra spinte e controspinte, potrebbe arrivare anche esso dopo diversi anni, come è sempre stato. E poi, particolare non secondario, bisogna anche superarlo il concorso. Risultato: se i tempi vengono rispettati alla lettera si entra in classe a 28/29 anni.
Tre o quattro anni dopo rispetto ai vecchi ordinari. E se i tempi non vengono rispettati, campa cavallo...

 POSSIBILI SOLUZIONI: Se si vuole allungare la formazione dei docenti soluzioni non ce ne sono. Ma almeno non ci si appigli a motivazioni evanescenti. Anche perché l`argomentazione dello svecchiamento della classe docente è pretestuoso e inaccettabile per chiunque conosca anche minimamente la reale casistica delle assunzioni nella scuola.
 Il problema è non allungare i tempi oltre misura. Il meccanismo concorsuale che si intravede, a sentire le indiscrezioni, riprende le irrazionalità e gli errori del vecchio sistema aggiungendone di nuovi e, ciò che è peggio, eliminando lo sfogo del doppio canale. Dai nuovi concorsi si esce più vecchi e senza la speranza della "porta di servizio" delle graduatorie provinciali.
E questo ci porta alla domanda successiva.

Chi dopo sette (o nove) anni di formazione non si colloca nella posizione utile per l`assunzione che fine fa?

 Già: che fine fa? Il Ministro ce lo ha detto, papale papale, mesi or sono: cambia mestiere.
 Cambia mestiere dopo aver conseguito una laurea e una specializzazione, dopo un anno o due di contratto e un concorso preparato per nove, lunghi anni, giocati, in pochi minuti, di fronte a uno sconosciuto, destinato dal caso a decidere della vita professionale del candidato e che, per un motivo o per l`altro, potrebbe entrare - o non entrare - in sintonia con lui, gradire - o non gradire - la sua impostazione storica, teorica, epistemologica, in un campo, come quello della didattica, dove nulla è certo e dove il contrario di tutto è altrettanto dimostrabile del tutto. Nove anni di formazione e investimenti giocati in mezz`ora. Ma non è questa la brutta (veramente brutta) copia dei concorsi ordinari?
E già la parola `concorso` agita nella mente tutti gli spettri del passato.

 POSSIBILI SOLUZIONI: il numero chiuso. A venti anni! Non a trenta. Una selezione vera quando è ancora possibile cambiare mestiere, come avviene nelle forze armate e per la massima parte degli altri dipendenti statali. I posti disponibili per i percorsi universitari devono essere strettissimamente correlati al numero effettivo dei pensionamenti già realizzati e dei posti già realmente disponibili nel biennio, non a quelli teoricamente previsti e non in maniera forfettaria. Se per una data regione ci saranno, in un dato anno, cento pensionati in una classe di concorso, i corsisti accettati dovranno essere cento. Il centunesimo sarà un sicuro disoccupato di lungo termine (forse un frustrato a vita). Un limone spremuto dal sistema, a suon di migliaia di euro, e poi buttato in un cantuccio a macerare.
Senza una programmazione vera e cogente le università avranno utenza e risorse economiche che desiderano ma migliaia di persone si ritroveranno a pentirsi amaramente di aver sognato di fare questo mestiere, di essersi fidate dello Stato e quel tritacarne di cui si parlava in premessa si perpetuerà all`infinito.

Qual è il destino dei docenti non abilitati attualmente in servizio?

 I soliti problemi di incongruenza tempistica tra bisogni del sistema e programmazione delle soluzioni rifanno capolino già oggi. Abbiamo classi di concorso che traboccano di aspiranti che hanno un concorso alle spalle e altre (parecchie e anche al Sud) per le quali manca il personale abilitato.
 Ciò accade, principalmente, perché per alcune classi di concorso, in alcune regioni, i concorsi ordinari, nel 1999, non sono stati banditi (diciassette anni senza un concorso: diciassette! E stiamo ancora qui a riparlare dei concorsi per esami e titoli). Il risultato è che migliaia di docenti in servizio da qualche anno si ritrovano a porsi domande del genere: sarò ammesso al prossimo concorso? L`articolo 5 parlava di titoli di secondo livello: sarà così anche per il nuovo Regolamento? E la mia laurea di dieci anni fa è utile? Come farò a studiare e lavorare contemporaneamente? Sarò svantaggiato rispetto a chi, magari molto più giovane, può passare l`intera giornata a prepararsi? Le nuove procedure prevederanno una qualche forma di valorizzazione dell`esperienza acquisita o sarà come se in classe non ci fossi mai entrato?
Ci suonano familiari queste domande. Molto familiari.

 POSSIBILI SOLUZIONI: Le soluzioni a queste incongurenze, come abbiamo detto, sono sempre transitate per il passato attraverso le sessioni riservate e/o attraverso un canale privilegiato di assunzione per chi aveva accumulato aspettative ed esperienza sul campo attraverso la forte incidenza del punteggio di servizio.
 Oggi questa via sembra difficile da praticare. Innanzitutto perché, con le graduatorie a esaurimento ormai a tenuta stagna, sarebbe difficile individuare una finalizzazione chiara di un`eventuale abilitazione conseguita. In secondo luogo perché i corsi abilitanti sono stati un fenomeno ciclico ma sempre derivato da spinte di carattere rivendicativo e oggi, dopo cinque tornate di corsi in sei anni dall`OM 153/99 al DM 85/2005, la spinta verso nuovi corsi sembra allentata. Resta da verificare, del resto, quante persone - sicuramente molte migliaia, visto che il termine ultimo di ingresso anche di questa ultima norma risale al 6 giugno 2004 - si trovano in questa condizione ma è facile prevedere che, senza un movimento di base, esse non riceveranno alcun tipo di tutela.
In attesa di proposte dai diretti interessati e considerate tutte le premesse fatte finora una soluzione minima sarebbe quella di costruire una tabella dei nuovi concorsi che attribuisca una qualche forma di punteggio per ogni anno scolastico di servizio, sul modello di quelle adottate, per esempio, per la legge 124 e le norme applicative.

Conclusioni

 Se le domande poste poco fa ci suonano tanto familiani è perché le sentiamo porre da quaranta anni, perché ce le siamo poste mille volte in tanti, in troppi. E se l`occasione storica di chiudere con le incongruenze del passato non verrà colta ce le sentiremo porre per sempre.
 Per troppo tempo si è attuata una politica che creava i problemi confidando nel fatto che, prima o poi, in un modo o nell`altro, si sarebbero risolti. Oggi non esistono più le scappatoie per risolverli e l`assenza di programmazione può avere effetti devastanti.
Nonostante le buone intenzioni manifestate dall`attuale maggioranza se il meccanismo concorsuale che uscirà dal nascente regolamento non emenderà gli sbagli del passato il pericolo di un nuovo precariato è fortissimo; e si tratterà di un precariato, forse formato più a lungo, ma anche più disperato di quello attraverso il quale siamo transitati in tanti.

 Giusta consistenza numerica negli accessi, congruità della durata del percorso, selezioni all`età giusta (all`inizio del percorso, non alla fine!), certezza degli sbocchi, formazione sul campo che non crei tensioni con gli attuali lavoratori, garanzie per chi già lavora per lo Stato da anni: questa è la via maestra da seguire. Poi sui dettagli si può discutere.
Ma per l`amore del cielo: prima di fare un altro pasticcio si chieda a chi ci è passato, si mettano da parte gli interessi economici in ballo e si lavori per il bene della gente, per il bene della scuola.

Prima si ascoltino i lavoratori, i precari di ieri e di oggi, per rendere meno soli e meno disperati i precari di domani.

Raffaele Ruggiero







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