ISTRUZIONE, QUATTRO QUESITI FONDAMENTALI
Data: Luned́, 19 novembre 2007 ore 00:35:23 CET
Argomento: Rassegna stampa


Un sospetto s’aggira da qualche tempo intorno alla istruzione: perché Fioroni preferisce ricorrere ai decreti piuttosto che a una legge sistematica di riforma?

Perché recupera tabelline e grammatiche vecchia maniera?

Perché riesuma gli esami di riparazione insieme all’idea delle Fondazioni con un sistema misto di finanziamento della scuola?

Ma domanda delle domande: perché il dicastero della istruzione, nel governo Prodi, è stato affidato a un ex democristiano invece che a un ex comunista?

Proviamo a rispondere: perché probabilmente si voleva che l’istruzione non mutasse profondamente, anche per garantire i delicati equilibri fra pubblico e privato, cosicché un compromesso possibile sarebbe stato quello di cedere l’istruzione al centro in cambio di lasciare alla sinistra mano libera su altri fronti che però non riusciamo a individuare.

E’ vero che il nuovo Pd oggi li accomuna entrambi ma è anche vero che ci vuole coraggio a inserire nella finanziaria un machiavellico comma con cui si porterebbe l’orario settimanale di lezione degli istituti sperimentali al normale orario dei vecchi ordinamenti con una diminuzione sensibile di posti e quindi di lavoro a cui bisogna aggiungere un altro marchingegno secondo il quale le cattedre, col nuovo anno, saranno calcolate sul numero complessivo degli iscritti, là dove ci sono corsi sperimentali con indirizzi diversi, e non sugli iscritti di ciascun indirizzo.

Questo fiore all’occhiello della finanziaria porterebbe alla riduzione di quasi 2.000 posti in meno, in beffa alla nota predica: lavorare meno ma lavorare tutti, così caro alla sinistra. Sembra inoltre che questi continui richiami di Fioroni alla serietà e al rigore abbiano il duplice obiettivo, sia di addossare la colpa ai soli insegnanti se la nostra scuola non produce buoni risultati sia di dirottare l’attenzione altrove per nascondere l’incapacità delle Istituzioni a ridare vigore all’educazione dei giovani.

E se per un verso il ministro ostenta sicurezza dall’altro non riesce a garantire certezze neanche in riferimento alla sue stesse ordinanze, come l’ultima sui debiti formativi degli alunni che pone difficoltà di esecuzione ai collegi dei docenti, ai consigli di classe e agli stessi insegnanti sempre più sommersi dalla carte, come fanno notare perfino i presidi iscritti alla Cgil: «Una misura solo in apparenza di rigore e serietà e come tutte le misure improvvisate farà miseramente naufragio dopo le prime applicazioni».

Si chiedono ancora i presidi come si potranno organizzare i corsi in tempi di esami di maturità e recuperare almeno metà di studenti di un intero istituto per almeno metà materie? E quante altre competenze a carico dei docenti dovranno scattare, come l’aumento di burocrazia per dimostrare la correttezza procedurale del consiglio di classe? Fra l’altro è sempre più palese il rischio che le selezioni siano più dure a danno delle solite classi sociali meno abbienti e che si possano riesumare vere e proprie aziende votate alle ripetizioni private.

E se rigore e serietà predica il ministro sul versante governativo qualche meccanismo s’inceppa come quello possibile di non più pagare a dicembre i magrissimi aumenti concordati il 7 ottobre tra Aran e sindacati scuola. Con ogni probabilità i fondi promessi si vedranno forse a Carnevale 2008 e per due motivi: i controlli prima della firma definitiva del contratto rischiano di andare oltre i tempi stabiliti; i soldi stanziati per pagare gli aumenti da febbraio non sarebbero più sufficienti.

Dice fra l’altro il rapporto dell’Ocse Education at a Glance 2007 e riportato da Italia Oggi: «I salari dei docenti italiani continuano a restare più bassi rispetto alla media Ocse. Un docente di scuola media con 15 anni di esperienza guadagna mediamente 31.917 dollari l’anno in confronto con i 40.322 della media Ocse».

PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)







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