CHIUSA L'INCHIESTA SUL PERSONALE ATA. 202 INDAGATI: TUTTI I NOMI
Data: Domenica, 18 novembre 2007 ore 14:26:04 CET
Argomento: Comunicati


CHIUSA L'INCHIESTA SUL PERSONALE ATA, 202 INDAGATI. TUTTI I NOMI
 
 
 
 mercoledì 07 novembre 2007
 
 Presunta giostra di assunzioni illecite. È conclusa l’inchiesta della Procura di Catanzaro e della Pg dei carabinieri sul personale Ata. Coinvolti dirigenti pubblici, operatori amministrativi, tecnici. Decine di persone delle età più disparate sono destinatarie dall’avviso di conclusione indagini. Ipotizzata l’associazione a delinquere finalizzata ad abusi d’ufficio, falsi e truffe




 di Olga Iembo

CATANZARO — «Uno spaccato inquietante circa l’illegalità diffusa nell’ambito delle assunzioni di personale presso l’istituzione scolastica, attraverso l’utilizzazione di atti e documenti falsi, collegamenti con persone poste in ruoli apicali degli uffici pubblici interessati, di centri di formazione inesistenti; la reiterazione di gravi e sistemici fatti illegali, a vantaggio di molti ed a danno della collettività e, soprattutto, di coloro che pensavano di concorrere in condizioni di parità e nel rispetto delle norme, con ruolo determinante nella vicenda proprio dei dipendenti pubblici che sono istituzionalmente preposti all’istruttoria degli atti amministrativi ed all’attività decisionale finalizzata a decretare l’assunzione del personale interessato». Può sembrare contorto, ma in realtà è fin troppo chiaro questo passaggio delle oltre 170 pagine di accuse stilate dalla Procura della Repubblica di Catanzaro nei confronti di ben 202 indagati coinvolti nell’inchiesta relativa alla gestione delle graduatorie del personale Ata (ausiliario-tecnico-amministrativo) da parte del Csa (Centro servizi amministrativi - ora Usp di Catanzaro), destinatari di un avviso di conclusione delle indagini. Descrive una sorta di “mercato delle assunzioni”, relativo a un vasto arco temporale - partito già nel 2000 - e che ha visto la realizzazione di un considerevole piano di inserimento degli Ata nella scuola, nel senso di una gestione dettata non dalle norme che regolano il settore ma, secondo gli inquirenti, da criteri di pura convenienza personale degli interessati, che sistemano qua e là amici e parenti e conoscenti, raccomandati, magari, da qualche nome che conta. Accuse gravissime quelle mosse dal sostituto procuratore della Repubblica Luigi De Magistris, sulla scorta del materiale raccolto in anni di indagini tanto complesse quanto minuziose della sezione di Pg dei Carabinieri, diretta dal colonnello Pasqualino Ippolito, partite in seguito a precise denunce dei sindacalisti della Cgil. Accuse che vanno dall’associazione a delinquere finalizzata a una serie indefinita di abusi d’ufficio, falsi e truffe ai danni della Pubblica amministrazione, alla corruzione continuata, alla tentata concussione, a varie altre ipotesi di falso materiale e ideologico del pubblico ufficiale in atto pubblico, abuso d’ufficio e truffa tentata e consumata, e che riguardano a vario titolo dirigenti, funzionari e operatori amministrativi del Csa, dirigenti scolastici, titolari di scuole private, e una lunga serie di Ata che sarebbero stati ingiustamente favoriti soffiando il posto ad altri concorrenti in graduatoria, e così anche accumulando indebitamente punteggio con “la potenziale ed effettiva possibilità di passare di ruolo”. Accuse che allo stato sono e rimangono ipotesi tutte da verificare, e rispetto a cui a nessun titolo si può parlare di colpevolezza degli indagati, chiamati ora con i rispettivi difensori, per un periodo loro dedicato dalla legge, ad espletare ogni attività ritenuta utile alla piena realizzazione del diritto di difesa. Solo in seguito la parola tornerà alla pubblica accusa, che potrà avanzare le proprie richieste di archiviazione o di rinvio a giudizio.

L’associazione a delinquere
 La più grave ipotesi d’accusa che compare nell’inchiesta, strutturatasi via via nel corso del tempo, è senz’altro quella che delinea «una consorteria di potere, che avvalendosi dell’evidente complicità di strutture scolastiche periferiche pubbliche e private, veicolava il reclutamento di tale personale, mediante la stesura e l’utilizzo di atti falsi, in violazione di leggi, regolamenti e circolari, con artifici e raggiri per ogni singolo caso, irrefutabilmente verso soggetti ben individuati, in particolare congiunti propri o di appartenenti al mondo scolastico ed amici». Gli inquirenti ipotizzano cioè l’esistenza di una associazione a delinquere di cui avrebbero fatto parte 16 persone, e cioè Marcello Marino, quale direttore amministrativo pro tempore del Csa; Antonio Rizzuto e sua moglie Domenica De Miglio, il primo titolare - gestore di fatto del “Centro didattico crotonese” e direttore dei servizi generali e amministrativi presso l’istituto comprensivo “Vittorio Alfieri” di Crotone, e la seconda quale titolare - gestore di fatto del “Centro didattico crotonese”; Francesco Astorino e il 61enne Francesco Zaccone, quali funzionari presso il Csa; Valeria Sia e Anna Maria Ferragina, quali operatori amministrativi presso il Csa; Domenico Racina, quale dirigente scolastico pro tempore del Liceo artistico statale di Catanzaro; Gregorio Teti quale dirigente pro tempore del Itg “Petrucci”; Raffaele Talarico quale dirigente pro tempore dell’Itc “Grimaldi”; Luigi De Vinci quale direttore dei servizi generali e amministrativi presso l’istituto comprensivo di Caraffa di Catanzaro; Raffaele Impera quale dirigente pro tempore del convitto nazionale “Galluppi”; Giuseppe Scopelliti quale dirigente pro tempore dell’Itc “Einaudi”; Maria Montesanti quale direttore dei servizi generali e amministrativi dell’istituto superiore “Maresca”; Nicola Limardo quale dirigente pro tempore dell’Itc di Soverato; Ubaldo Floro Valeo, quale responsabile dell’ufficio protocollo - archivio del Csa. Fra loro, secondo l’accusa, «un “patto scellerato” forte, consolidato e costante nel tempo, orbitante nel mondo della scuola, con evidente supporto strutturale - operativo, funzionale ed organico, da un lato fornito dal Centro didattico crotonese, che rilasciava falsi attestati professionali e altre attestazioni di comodo, che consentivano ai beneficiari oltre all’illecito accesso nei pubblici concorsi, anche di avere significativi ed indebiti avanzi nei posti delle relative graduatorie; e dall’altro da diverse strutture scolastiche periferiche che impiegavano il personale assunto illecitamente e in taluni casi interagivano attivamente nelle criminose procedure, determinando loro stesse l’illegale assunzione del personale scolastico, anche per fornire agli interessati i requisiti propedeutici per poter partecipare ai bandi ministeriali (ad esempio il periodo minimo di servizio)». Protagonisti assoluti dell’ipotesi in questione sono i membri del Csa coinvolti, e soprattutto Marino e i suoi stretti collaboratori, nella cui disponibilità i carabinieri evidenziano di aver trovato materiale inequivocabile come domande di inserimento o di aggiornamento in graduatoria non protocollate e non interamente compilate dagli interessati ma comunque firmate da questi ultimi; fotocopie di altre simili domande con sopra evidenti annotazioni di “premure” sollecitate da personaggi in vista nel panorama cittadino e regionale; e ancora «una quantità esorbitante di appunti manoscritti, elenchi, agende con riferimenti telefonici ad alcuni degli indagati».

La scuola “fantasma”
 Un ruolo centrale nel presunto progetto criminale viene attribuito alla “Scuola dattilografica o centro didattico crotonese”, che nella realtà non avrebbe svolto alcuna attività, ma che avrebbe negli anni rilasciato innumerevoli attestati a chi poi accedeva a concorsi e graduatorie pubblici. Tanto per cominciare, gli investigatori hanno appurato che il legale rappresentante dell’“ipotetica” società crotonese, e cioè l’anziano signore Adolfo De Miglio, proprio nulla sapeva dell’esistenza di un istituto didattico. Sentito dai carabinieri l’ignaro prestanome faceva presente “di non aver mai sentito parlare di scuole e di non aver mai sottoscritto documentazione alcuna”. Che il poveruomo fosse letteralmente “in mano” alla figlia Domenica e al genero Rizzuto è risultato riscontrato, secondo i militari, da prove di ogni tipo. Anzitutto dal fatto che l’unica firma che possa effettivamente attribuirsi al più anziano De Miglio sarebbe quella apposta sull’atto di costituzione del Centro didattico crotonese redatto dal notaio nel lontano 1987 poiché, spiegano i militari, «tutte le altre firme apposte su documenti amministrativi o contabili o certificazioni, non hanno similitudini alcuna con quella raccolta dal personale della Polizia Giudiziaria». Ma il dato forse più significativo è quello reale, documentato con tanto di fotografie, di una scuola ospitata in uno stabile sito al civico 5 di via Archita a Crotone, composto da una stanza a piano terra con un bagno di normali dimensioni, più due stanze e un bagnetto al piano superiore. «L’entità del sito (mq. 40 circa) - rilevano gli investigatori - e la composizione della struttura (bagno ricavato nel sottoscala a piano terra, muretto basso che divide la zona d’ingresso dalla restante area, nonché il vano scala e la tramezzatura che suddivide l’area soprastante) non gli conferiscono le caratteristiche di scuola, né forniscono i requisiti di abitabilità e sicurezza dovuti ad un luogo frequentato da più persone. A tanto si deve aggiungere l’inidoneità dovuta sotto il profilo igienico-sanitario, atteso che i luoghi si presentavano come un vero e proprio deposito di materiale eterogeneo misto a spazzatura, il tutto ricoperto da uno spesso strato di polvere. Anche le attrezzature consistevano in qualche banco o scrittoio con un obsoleto computer a piano terra e con attrezzatura per corso linguistico, letteralmente ammassata al piano superiore e qualche macchina da scrivere sparsa nel locale o custodita in un armadio a muro». Di questa fantomatica scuola, del resto, sono stati trovati atti amministrativi - contabili relativi al solo 1988. Niente poi che provi l’operatività dell’istituto per gli anni seguenti, nessuna pezza giustificativa che testimoni un minimo di attività, l’acquisto di materiale didattico, le retribuzioni dei docenti o i versamenti di contributi assicurativi obbligatori per il personale, niente di niente. Un’ulteriore riprova della fittizia attività didattica del centro sarebbe poi puntualmente giunta dagli accertamenti presso gli enti preposti alla gestione e controllo dei liberi corsi di formazione professionale, e cioè la Regione Calabria - Dipartimento formazione professionale - Settore programmazione ricerca e sviluppo; il Servizio coordinamento Attività delegata e Rendiconti Crotone - Regione Calabria; l’Ufficio Coordinamento provinciale F. P. - Regione Calabria di Catanzaro. Da ultimo, il mancato funzionamento della scuola è stato confermato anche da un docente che dichiarò di non aver mai insegnato a Crotone presso scuole pubbliche o private, tranne qualche saltuario intervento presso la Scuola dattilografica, dove nell’anno 1999/2000 si era recato «senza espletare attività poiché la scuola in questione per due tre volte era stata trovata chiusa».
 
Lo “scambio” di figli
 Tra gli atti fasulli della “Scuola dattilografica” che i carabinieri infatti non hanno trovato presso i Servizi competenti della Regione, ci sono anche quelli inerenti gli attestati rilasciati a Salvatore Teti - il 21.5.1996 - e Andrea Racina - il 22.5.1997. La falsità dei documenti secondo gli investigatori «emerge, in modo univoco, sia dal fatto che nel periodo del rilascio il centro in questione non ha svolto alcuna attività, per come si rileva dalla documentazione sequestrata, sia dalla circostanza che tali attestati sono stati redatti su carta riportante nell’intestazione un codice di avviamento postale non in uso». Poiché infatti Crotone ha adottato il n. 88900 dal 30.9.1997, e cioè dopo essere diventata capoluogo di provincia, non si spiega come facciano gli attestati dei due giovani, rilasciati prima del 30.9.1997, ad avere il “nuovo” cap 88900, che compare invece nella parte relativa all’intestazione, mentre il vecchio cap 88074 compare in calce. Questa specifica storia, del resto, è contemplata al secondo capo d’accusa del lungo elenco redatto dal pm De Magistris, che ipotizza il concorso in corruzione continuata a carico dei genitori dei due ragazzi, i presidi Domenico Racina e Gregorio Teti. La storia venne alla ribalta nel lontano giugno del 2005 quando si finì davanti al Tribunale della libertà per discutere l’appello del pm (rigettato) contro la decisione del gip di non concedere le misure cautelari richieste. Ebbene in questa storia ormai tristemente nota, ma sempre e comunque ancora tutta da provare nelle opportune sedi, è descritto il modo dei due dirigenti, appoggiati dai collusi di turno, di assicurarsi l’uno l’assunzione del figlio dell’altro. Racina, secondo l’accusa, avrebbe «falsificato domanda e documenti, nonché la graduatoria di terza fascia relativa ai profili di assistente tecnico ed amministrativo con riferimento alla posizione del figlio Andrea, nel produrre falsa attestazione circa la frequentazione da parte del figlio dell’inesistente Scuola dattilografica crotonese, nell’aumentare falsamente i punteggi relativi ai titoli posseduti, nel falsificare il decreto che consentiva la sua successiva assunzione, consentendo l’assunzione del proprio figlio presso la scuola Itg Petrucci di Catanzaro da parte del dirigente scolastico Teti, il quale otteneva, quale controprestazione, l’assunzione (due giorni dopo quella di Andrea) del proprio figlio Salvatore, quale assistente tecnico, presso il Liceo artistico statale il cui dirigente era Racina, falsificando il Teti la domanda del figlio, documenti e graduatoria, nonché producendo falsa attestazione di partecipazione del medesimo alla predetta Scuola crotonese».

“Lei non sa chi sono io”
 Ora, nell’avviso di conclusione delle indagini, un altro episodio spicca per la gravità del reato ipotizzato, tentata concussione continuata, a carico di un altro pubblico ufficiale, Luigi De Vinci, che «al fine di favorire l’illecita assunzione - attraverso la solita falsificazione di graduatorie e produzione di atti falsi, avrebbe provato a favorire l’assunzione o comunque la prosecuzione illecita del rapporto di lavoro di sua figlia Flora Maria, abusando della sua qualifica di direttore e di referente delle strutture regionali del ministero dell’Istruzione, facendo credere di poter intervenire presso le strutture locali ministeriali a tutti i livelli, in modo da indurre la dirigente dell’istituto comprensivo di Satriano, Giuseppina De Vito, a dare indebitamente a Flora Maria il posto di lavoro che illecitamente aveva instaurato. Di più, De Vinci avrebbe anche tentato di far ritirare alla cognata della De Vito, Adalgisa Punzi, l’esposto che aveva presentato contro l’illecita assunzione della giovane Flora Maria, facendole credere che altrimenti avrebbe fatto in modo di non farla più lavorare.

Al lavoro a 11 anni
 Decine e decine di pagine del provvedimento diretto ai 202 indagati descrivono, una dopo l’altra, un’interminabile serie di presunti raggiri attuati per l’assunzione o l’inserimento o l’avanzamento in graduatoria di chi non lo avrebbe meritato, a scapito degli ingenuotti di turno scarsamente dotati di fantasia che si sono comportati onestamente. Un’incredibile serie di escamotage, confermati -evidenziano gli investigatori - da una mole di materiale documentale. Gli artifici ricostruiti dai carabinieri si sprecano, ma certamente a titolo di mero esempio di una delle “truffe” reputata più evidente bisogna citare il caso della domanda di inclusione in graduatoria 1989/1991 di una giovane - depositata il 3 aprile 1989 e protocollata con n° 663 - che richiedeva i seguenti titoli: diploma di ragioneria e perito commerciale (non allegato in atti); licenza media (non allegata in atti); indicazione, non documentata, di prestazione di attività di incarichi e supplenze prestati nel biennio 1977/78 - 1978/79 nel ruolo di personale non docente. Ebbene, dopo una rapida verifica dei dati anagrafici dell’indagata, i militari annotano: «È appena il caso di far rilevare che tale ultima asserzione sembra falsa atteso che la L..., nata a Catanzaro il 26/07/1966, nel biennio sopra indicato non poteva nel modo più assoluto esercitare qualsivoglia attività in quanto era appena undicenne».

Tutti i nomi dei 202 indagati

 Sono 202 gli indagati in questa inchiesta in cui, a vario titolo, vengono ipotizzati reati che vanno dall’associazione a delinquere finalizzata a una serie indefinita di abusi d’ufficio, falsi e truffe ai danni della Pubblica amministrazione (reato questo contestati solo a 16 persone, vedi pagina accanto), alla corruzione continuata, alla tentata concussione, a varie altre ipotesi di falso materiale e ideologico del pubblico ufficiale in atto pubblico, abuso d’ufficio e truffa tentata e consumata. Di seguito i destinatari dell’avviso di conclusione indagini:
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