Leggere: dovere o piacere?
Data: Giovedì, 15 novembre 2007 ore 14:40:44 CET
Argomento: Rassegna stampa


Leggere: dovere o piacere?Non vorrei cadere nelle trappole della retorica, visto che quest’ultima è spesso negazione dell’autenticità, ma l’incontro con lo scrittore inglese Aidan Chambers, attuato al Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre a coronamento di un laboratorio di lettura, è stato autentico ed intenso, fuori dalla routine dei soliti incontri-conferenza.E se lo fosse stato solo per me sarebbe un po’ scontato, fa parte del gioco, sei il docente, l’addetto ai lavori, il promotore e così via con la solita autoreferenzialità del caso.Eppure, senza presunzione, l’esperienza è stata altrettanto significativa ed intensa per le ragazze e i ragazzi presenti, lo capivi, a colpo d’occhio dalla concentrazione dello sguardo, dalla postura, dalla qualità del loro silenzio. Perché? Forse perché questo scrittore non ha perso la capacità di emozionarsi davanti al suo pubblico: ha una testa canuta, ma un cuore giovane e fiammeggiante energia.Non a caso Chambers ha esordito spiegando l’etimologia celtica di Aidan, cioè fuoco, un nomen omen dunque. Anche perché, sempre giocando sul nome, anagrammandolo compare Nadia, in russo speranza; fuoco e speranza, parte maschile e parte femminile all’interno di una combinazione di lettere, di suoni. Il gioco è fatto per spiegare, in termini semplici, la complessità della letteratura, il gioco di ruolo, la rete di rimandi, di echi che c’è in un testo letterario in cui “lo scrittore si lascia attraversare dalle vite dei suoi personaggi” – come ha affermato Chambers - mescolando e dosando vissuto e finzione. La gioventù di questo scrittore ultrasettantenne ti trascina: chi è giovane, perché lo è anagraficamente, si rispecchia nei temi e nei modi della sua scrittura; chi non lo è più, invece, ricorda e rivive, riassapora quel tempo con le sue gioie e i suoi tormenti, con le vittorie e le sconfitte che ti hanno portato dove ora sei: adulto, più o meno arrivato, ma sempre con la sensazione che ti manca qualcosa o meglio che hai perso qualcosa, e questo qualcosa, come Chambers afferma, è proprio “l’innocenza”.Ecco perché è riduttivo definirlo scrittore per ragazzi, la definizione funziona come criterio editoriale, ma non ha validità estetica. Possono leggerlo i ragazzi, ma possono (e forse dovrebbero) leggerlo i genitori e gli insegnanti non solo per dovere, ossia per capire meglio gli adolescenti. Se si legge Cartoline dalla terra di nessuno, si scopre un romanzo bellissimo per la complessità narrativa e strutturale, per la freschezza straordinaria dell’intreccio che non ha proprio nulla da invidiare a quella che definiamo, spesso arbitrariamente, “letteratura maggiore”. In Chambers non mancano infatti né profondità né ricchezza, sia a livello semantico, sia a livello linguistico e strutturale, vi è tra le righe “la ricerca del senso o di un senso”, come afferma egli stesso. E si sente. Si sente dalla quantità e qualità di pathos che circola tra le parole e che rende vivi e veri i personaggi, abbattendo il diaframma che c’è tra vita e finzione letteraria. Si sente dalla complessità dell’intreccio e dalla chiave di lettura adottata per raccontare la storia della II guerra mondiale e la storia dei nostri giorni dal punto di vista del giovane di allora e del giovane di oggi. Durante l’incontro con i ragazzi, dalle parole che Chambers diceva di sé ci si poteva rendere conto di quanto Aidan ci sia nei suoi personaggi, per esempio in Geertrui o in Jacob o in Morgan o in Tess o in Julie e così via. Si poteva comprendere visivamente l’intima sofferenza di chi scrive, il suo lavorìo quotidiano sulla parola e sull’anima. La pagina come parto, creazione dolorosa, filiazione. Non sempre questi messaggi filtrano cosi immediati da una recensione o da un saggio critico, specie quando i lettori sono molto giovani. Ecco perché incontrare e poter interloquire con l’autore di un’opera è un’esperienza umana unica e - nel contempo – costituisce un’occasione conoscitiva straordinaria.L’arte è quindi frutto di sofferenza, per aspera ad astra? Pare proprio di sí.Quando cerchi di insegnarlo, pur senza retorica o patetismo, i ragazzi il più delle volte storcono il naso, ma se lo sentono testimoniato… la lezione passa, diventa esperienza, vissuto, scarica di adrenalina. Così come – attraverso la pacata testimonianza di Chambers - diventa esperienza l’indigesta lezione che “ci riconoscono e ci giudicano da come leggiamo e da come scriviamo”, che “la lettura ci rende più forti e più ricchi”. Ma tutto questo, come tutte le cose che contano, ha un prezzo, si chiama sacrificio, si chiama sgobbare sulle carte, sui quaderni, mentre gli altri si divertono, chattano, escono, vivono e si beano (di vuoto?).Ecco perché risulta così “difficile” leggere, questo esercizio lento in un mondo che va sempre più veloce, ecco perché per noi è sempre più difficile educare alla lettura e ancor più far innamorare i ragazzi dei libri. Forse perché c’è poca disposizione al sacrificio, perché si vuole tutto e subito, perché l’aspera ad astra non alletta e tutto diventa complicato dalla mancanza di tempo, dal risucchio operato dall’efficientissima industria del divertimento e del tempo libero.E noi insegnanti ci dibattiamo tra l’imporre la lettura come dovere pur di far leggere o di cercare di far amare senza imporre. Un dilemma.Pennac, lapidario, ci ammonisce che “il verbo leggere come il verbo amare non vuole l’imperativo”. Ma come fare nella pratica quotidiana?Salomonicamente rispondiamo che in medio stat virtus, che bisogna aspergere miele sui bordi del calice e quindi, pur di far leggere, bisogna scendere a qualche compromesso, non solo e subito la lettura del classico, ma cominciare per gradi, far accostare a piccoli passi i ragazzi alla lettura, demolire l’idea che lo scrittore sia sempre e solo un ‘antico’ defunto, una statua, un nome scolpito sulle lapidi. Ecco perché l’idea di partire dalla lettura di autori contemporanei, magari non famosi ma qualitativamente significativi, mi è sempre sembrata una buona idea. Fare leggere libri e poi far incontrare lo scrittore, fare scoprire ai ragazzi che dietro la pagina stampata, vi è un essere umano che sa anche ridere, raccontare barzellette, divertire, emozionarsi e sudare per un applauso o per la domanda di uno studente. Può essere utile per rendere la lettura non un dovere scolastico, bensì un’insostituibile avventura dello spirito che va ben oltre l’avventura (o la disavventura) scolastica. In quest’ottica l’incontro con Chambers, in una scuola di provincia, nel nostro sud sempre troppo, troppo lontano dai circuiti culturali e dalle iniziative di promozione editoriale, è stato un piccolo miracolo. E speriamo che questi prodigi si possano ripetere, fino a diventare normalità o - se si preferisce- potenziamento dell’attività formativa.
 
Gabriella Gullotta






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