Bulli, pupe e paparazzi, la scuola è specchio
della società e se le liti e le volgarità
televisive fanno audience, come le prevaricazioni
e l’impiccagione delle regole
e della legalità, il giorno appresso ci sarà
sempre qualcuno che li sperimenta in
classe come i vandalismi delle bande in
giro per i centri urbani. Allo stesso modo
il più stantio provincialismo nostrano si
balocca di ricorrenze come Holloween
che poi gruppi di insegnanti regolarmente
trascinano in classe, dimenticando,
tacciandola di arcaismo, la struggente
poesia che ha contraddistinto la nostra
cultura intorno alla commemorazione
dei morti.
Tuttavia fino a quando l’istruzione
sarà tenuta affare secondario rispetto
agli interessi dei governi la scuola
non potrà fare altro che assorbire questa
società e mai proporre modelli condivisi
di più civile convivenza. E ne è
prova la faciloneria con cui si cerca di
porre rimedi da parte del Ministero alla
cosiddetta mancanza di serietà e di rigore
con proclami che alla fine generano
solo confusione e nulla di certo stabiliscono;
e ne è prova ancora l’ultimo concorso
ordinario a preside che è stato sanato
in modo raffazzonato con un decreto
che molti giudicano immorale e non
solo per la sua gestione ma soprattutto
perché alcune (poche, molte?) scuole
saranno affidate a dirigenti impreparati
e insulsi che poi dovrebbero pure giudicare
l’operato dei professori e che dovrebbero
segnare la rotta dei loro istituti
e dirigere con sapienza. Ma ancora più
preoccupante appare la proposta, seppure
legittima e importantissima, di premiare
il merito se le premesse dovessero
rimanere le stesse.
Finora non si è capito infatti come e
con quali strumenti lo si voglia fare mentre
molti temono che punteggio preferenziale
possa essere la gestione di progetti
o di incarichi vari, tralasciando il
prezioso lavoro in classe o quello non
quantificabile svolto a casa a preparare le
lezioni o ad aggiornarsi. Il rischio dunque
è serio e il colpo di mano, come ormai è
costume, possibile anche perché ci si
chiede quali strumenti e quale serietà
avrebbero i papabili a giudicare? Bisognerebbe
allora trovare una pratica possibile
di applicazione che è questione
non di poco se si vuole dare dignità all’istituto
della meritocrazia.
Ma siccome la scuola è prodotto della
società degli uomini per mutare la scuola
occorre mutare la società e quindi chi
la dirige che nel caso specifico sono stati
finora governi senza un obiettivo e
senza una strategia complessiva per l’istruzione
tanto che si aspetta sempre,
ma con sempre più pessimismo, una
riforma rigorosa e seria della scuola. Allora
se sono gli uomini a modificare
l’ambiente sociale occorre modificare gli
uomini e quindi chi li educa che nel caso
specifico sono i maestri, gli insegnanti
che però sono tenuti marginali e lontani
da qualsiasi motivazione e da qualsiasi
possibilità di poterlo fare, come dimostra
l’ultima burla del contratto di
lavoro e una appiattente equiparazione
stipendiale disincentivante.
E allora, chi educa l’altro educatore
che in questo caso è il governo? Ma questa
nostra è pure la società della casta,
quella ormai famosa del libro, e ad essa
tenta di uniformarsi pure la scuola, ma a
danno della istruzione e della formazione
dei ragazzi attraverso la gestione dei
fondi comunitari che talune funzioni
strumentali utilizzano col beneplacito
dei presidi cui spetta una quota parte.
Una casta che sfrutta le desolanti condizioni
dei docenti per elargire qualche
incarico e diffondere nello stesso tempo
un clima di sospetto tra i professori, così
come accade nella assegnazione degli
appalti e nella designazione delle consulenze
governative. Se dunque il merito
dovesse essere assegnato in base a questi
parametri non ci si potrà attendere
miglioramenti qualitativi importanti
della scuola nonostante molte vestali si
straccino le vesti di fronte alla crescente
impreparazione dei giovani e alla sempre
più palese avanzata di bulli, pupe e paparazzi.
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)