Dalla messa in latino allo studio del dialetto
Data: Marted́, 30 ottobre 2007 ore 11:19:16 CET
Argomento: Opinioni



Se a Catania si prova la messa in siciliano, in Friuli la giunta regionale avrebbe varato una legge secondo la quale a scuola sarebbe obbligatorio lo studio del dialetto tranne che i genitori non lo rifiutino. Una sorta di silenzio assenso per non far morire una parlata regionale incomprensibile nel resto d’Italia ma che servirebbe a identificare culture e tradizioni locali. Questa decisione ha innescato un dibattito che avrebbe pure diviso gli insegnanti, mentre molte famiglie non si raccapezzano più nonostante il friulano non ci pare proprio una lingua, come non ci pare lo sia il siciliano che da un luogo all’altro dell’Isola non solo ha accenti diversi ma anche espressioni diverse con regole ortografiche e sintattiche saltellanti per cui scriverlo pone difficoltà esattamente uguali a quelli per comprenderlo. Tuttavia periodicamente si aprono brecce polemiche che rasentano il paradosso come la messa in dialetto siciliano che mai è stata celebrata in una lingua diversa dal latino e, solo dopo il concilio vaticano secondo, in italiano. E per un motivo (a parte quelli squisitamente teologici) molto semplice: la comunicazione deve essere capita dal maggior numero di persone altrimenti diventa settaria e criptica. Se infatti lo scopo della lingua è la comunicazione e la comprensione tra interlocutori diversi è indispensabile che ci sia un codice unico condiviso e accettato. L’uso del latino, come è appunto quello delle funzioni religiose, ha lo scopo di coinvolgere tutti i fedeli al rito cosicché l’intera comunità, la ecclesia, capisca e intervenga. E all’origine la lingua del mondo cristiano fu il latino che era capito dovunque e del latino si serviva la giurisprudenza. Sarebbe stato dunque bizzarro celebrare le funzioni nella parlata locale che avrebbe messo in crisi il cosmopolita mondo a cui invece la parola del Vangelo si riferiva. Di uguale intento fu la traduzione della bibbia di Lutero che pose le basi del tedesco moderno e della nazione tedesca. Ma c’è qualcosa in più che dovrebbe far riflettere prima di emanare disposizioni d’autorità su materie tanto delicate. La lingua per la sua stessa natura è in continua evoluzione e ai giorni nostri ancora di più, per cui recuperare una ufficialità al dialetto significa pure acchiapparne solo parte di esso che mai potrà avere la purezza originaria perché sarebbe contaminata da lingue più diffuse e quindi più forti. Appare quindi lotta stucchevole incaponirsi sul recupero del dialetto per scovare l’identità regionale, mentre mancherebbe perfino un riferimento ai classici, a coloro cioè che questa lingua hanno usato. E chi sarebbero in Sicilia i classici? Giovanni Meli? Poeta dialettale ma i cui lemmi fanno esclusivo riferimento alla realtà palermitana, come quelli di Micio Tempio al mondo catanese e così le poche opere di Pirandello a quello agrigentino. E non solo. Come si è evoluto il dialetto siciliano dall’epoca dei pochi classici alla nostra e dall’ancora più antica a loro sotto le invasioni in Sicilia? E allora: quale sarebbe la lingua siciliana pura? E ancora: quali metamorfosi hanno subito tante parole quando invece non siano del tutto scomparse? Come scompaiono nel mondo, sembra giornalmente, molte lingue con tutto il loro carico di fascino ma pure con ineluttabile irreversibilità. Diceva un linguista che le parole sono come i vestiti, più si usano e più si logorano, mentre quelle messe in cassapanca col tempo tarlano. Il problema è semmai conservare, come si fa nei musei, le parlate regionali in modo che la cultura da cui quel lemma nacque sopravvivi. Da qui la sensazione che questi rigurgiti regionalistici hanno più sapore di demagogia politica che di effettivo amore per la terra che li accoglie perché lo sforzo dovrebbe essere diretto a finanziare studi seri per ripigliare ciò che i dialetti hanno rappresentato per i popoli. Studi filologici per esporre, attraverso pubblicazioni accessibili in termini di costi, al pubblico che li voglia conoscere e se possibile goderne come con l’arte classica greca o quella del barocco.
PASQUALE ALMIRANTE






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