Non c’è dubbio che il fallimento di uno
studente è il fallimento dell’intera scuola,
per cui plaudire alle bocciature è come
plaudire all’impiccagione di un ladruncolo:
molti studenti vengono respinti
perché è più semplice sopprimere
il malato piuttosto che curalo. In una
società complessa, ma dove l’obbligo per
fortuna è stato portato a 16 anni, non si
può respingere senza prima pensare al
danno possibile, non solo nel ritardare
l’acquisizione del titolo per lavorare, ma
anche nel moltiplicare le spese della famiglia.
Il raggiungimento di obiettivi minimi
di apprendimento è stato da qualche
tempo il tema centrale dell’istruzione,
mentre ricordare la fantastica esperienza
di Barbiana può sembrare perfino
stucchevole se non fosse invece un monito
al maestro affinché capisca e interpreti
i bisogni di sapere dei propri alunni,
le loro disparità culturali di ingresso
assieme all’obiettivo di permettere a tutti
di raggiungere basi accettabili per accedere
alla soglia delle pari opportunità.
In questo quadro si inserisce, crediamo,
la disposizione ministeriale relativa
al superamento dei debiti formativi per
frequentare la classe successiva e che
tanta bagarre parlamentare ha provocato,
insieme con la manifestazione degli
studenti che non l’hanno gradita. Che
non ci fossero gli esami di riparazione a
settembre è apparso per lo più chiaro. La
verifica infatti – sia quella intermedia a
fine del primo quadrimestre sia quella finale
– spetta sempre al docente che ha
rimandato l’alunno e non al Consiglio di
classe che invece deve riunirsi, prima
del nuovo anno scolastico, per ratificare,
valutandolo collegialmente, ciò che il
collega ha verificato, esattamente come
avveniva prima.
La sola differenza sta nel fatto che ciò
accadeva ad anno scolastico inoltrato,
perché non c’era l’obbligo del superamento
del debito per passare alla classe
successiva. Sta qui la diversità, non già
nel ripristino dell’esame con la sottocommissione,
come il leghista Calderoli
ha voluto intendere. Il problema vero è
un altro: i soldi, le ore e i tempi per il recupero.
Se il ministero non stanzia somme
adeguate, mettendo in condizione di
formare gruppi di recupero non superiori
a 3/4 alunni e per un numero di ore
non inferiori a 30 ha solo gettato fumo.
Se non ci si rende conto che i fallimenti
bivaccano per lo più nella mancanza di
stimoli rispondenti alle necessità dei ragazzi,
l’argine del debito sarà una diga
insormontabile per tanti. E sarà una pena
per i professori che, se dovranno disporre
ancora di sole dieci ore su un modulo
parallelo di 15-20 ragazzi, saranno
costretti o a chiudere gli occhi, promuovendo,
o a scremare con procedure sommarie.
Presidi superficiali addirittura
hanno messo insieme, per risparmiare,
in un unico modulo, sempre di 10 ore,
classi eterogenee, come un tempo faceva
la vecchia mastra.
Allo stesso modo, se Fioroni continua
a praticare la volpesca strategia del proclama,
senza però dare risorse sufficienti,
non fa altro che fomentare le vecchie
ripetizioni a pagamento puntando sullo
spauracchio delle famiglie per la bocciatura
del figliolo. Lui demanda al collegio
dei docenti che può scegliere la tipologia:
avvalersi di docenti interni o esterni
(supplenti) o utilizzare il famoso 20%
di flessibilità durante l’anno. Appare
chiaro che a nessun docente si può imporre
di fare recupero, come appare
chiaro che moltiplicare 50 euro l’ora per
ogni scuola italiana e poi dividerla per
disciplina e quindi per docente e poi per
moduli comporta cifre in euro così alte
che Fioroni non potrà forse erogare. Ancora:
chi ad agosto, dopo gli esami di Stato,
sarà disponibile a lavorare? Forse occorrerebbe
più flessibilità nei tempi e
forse pure la certezza del sostegno del
governo.
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)