Se in Francia la scuola elementare si ridurrà a
quattro giorni la settimana, in Italia la faccenda
è diversa, nonostante il ministro Rutelli vorrebbe
le vacanze dilazionate nell’arco dell’anno
per favorire il turismo e gli studenti chiedano almeno
un giorno libero, preferibilmente il sabato.
Ma le resistenze all’abitudine sono dure perché
con gli attuali orari, circa 36/40 ore a settimana,
significherebbe almeno due rientri pomeridiani
di due/tre ore ciascuno che la gran
parte dei docenti tollera poco. Ma anche le famiglie
sembrano restie, perché ciò significherebbe
sopportarsi a casa i figli, a parte il fatto che è
sempre meglio andare a scuola piuttosto che
per strada visto che mancano strutture adeguate
per i giovani ad eccezione dei videogiochi
o della tv.
Fra l’altro, in una società dove i poveri diventano
sempre più poveri sembrerebbe colpevole
lasciare le famiglie più disagiate in balìa di loro
stesse senza garantire un luogo dove tutti i ragazzi
possano almeno competere sui livelli della
cultura in pari opportunità.
Da qui nasce pure l’esigenza di tenere sempre
aperte le scuole con offerte formative di prestigio,
ma che non siano i velleitarismi legati a progetti
finanziati dalla comunità europea e utili
solo a chi li gestisce e su cui ancora manca una
effettiva valutazione soprattutto in riferimento
al grave fenomeno della dispersione e degli abbandoni
i cui deleteri risultati interessano con
più favore il Sud d’Italia.
E a parlare di tale fenomeno con più cognizione
è stato pure il recente Quaderno bianco sulla
scuola, presentato giorni addietro dai ministri
dell’Economia e della Pubblica istruzione in una
congiunzione simbiotica che indurrebbe all’ottimismo
se non fosse per l’inflazione di proclami
e buoni propositi a cui si è da lungo tempo
abituati. 289 pagine in cui subito si dimostra che
il divario fra Nord e Sud è sempre più ampio, e
non già sui noti livelli occupazionali e di servizi,
ma su quelli più squisitamente culturali e di
competenze, dando con ciò ancora una volta
una sferzata contro quell’andazzo sudista che
non vuole riscattarsi nemmeno sull’altare della
istruzione.
E non si capisce perché ciò avvenga: se sia dovuto
al pressappochismo dei professori, alla
lontananza, per non dire assenza, della classe dirigente
che dovrebbe provvedere alle strutture,
o agli scarsi livelli educativi di partenza dell’utenza.
Ma questo studio, avallato anche dall’Ocse,
mette in luce un altro aspetto significativo su
cui però lo stesso ministro Fioroni non ha fatto
piena chiarezza: il divario fra quantità di risorse
professionali impiegate e risultati ottenuti. In
altri termini il numero di docenti per alunni in
Italia sarebbe il più alto di Europa mentre i livelli
di apprendimento sarebbero fra i più bassi: come
dire che si stanno sprecando tanti soldi senza
i risultati attesi. Il che potrebbe essere vero, se
il calcolo venisse fatto tenendo a parte le numerose
compresenze (docenti madrelingua e di sostegno)
e gli assistenti di laboratorio.
E il ministro questo lo sa bene per cui c’è il timore
fondato che una tale sortita possa essere
alibi alla riduzione dell’organico e al blocco di
nuove assunzioni. Ma c’è un’altra nota che vorremmo
sottolineare a proposito del Quaderno
bianco: la questione della valutazione del sistema
scuola. «Avviare una rilevazione nazionale,
annuale, di alto livello tecnico, diffusamente
condivisa, dei livelli di apprendimento degli
studenti e dei loro progressi e, assieme, un programma
permanente di supporto alle scuole
per l’analisi e l’utilizzo della valutazione e per
l’elaborazione di diagnosi valutative di scuola»,
vi si legge. All’Invalsi, dunque, il compito di giudicare,
attraverso i risultati ottenuti dagli studenti,
la scuola e di conseguenza l’operato degli
insegnanti. Chiediamo: se tutto gira attorno ai
docenti, perché non puntare tutto sui docenti?
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)