SELEZIONE E INCENTIVAZIONE DEI PROF DA RIFARE
Data: Domenica, 30 settembre 2007 ore 20:50:53 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Pare che il maestro severo ottenga migliori risultati, mediamente del 20% in più, rispetto a quello più generoso: da qui il sotterraneo sibilo di qualcuno che vuole la causa della china presa dalla scuola alla presenza ormai massiccia di insegnanti donne, inclini più al mammismo e all’indulgenza piuttosto che al rigore. Ma da qui pure l’urgenza ormai irrimandabile di attuare processi di valutazione sul merito e sulle competenze dei professori e di attuare parametri di giudizio dei ragazzi più rigidi e più uniformi, visto che alcuni premiano le eccellenze, altri la mediocrità – anche per evitare penosi abbandoni – e altri ancora allargano la gamma dei voti cosicché le insufficienze risultano poche, livellando la classe e impedendo lo stimolo a fare meglio.

D’altra parte gli studenti della secondaria superiore ormai sono oltre 2 milioni e mezzo, mentre le strategie didattiche sono di poco modificate rispetto all’antico. Poche risposte di qualità sono state date alle quantità di utenza e alla richiesta di istruzione, che non è solo la conquista di una qualità della vita migliore, ma è anche una maggiore corrispondenza qualitativa alle domande del mondo del lavoro. In altre parole, c’è una sorta di dicotomia tra le richieste della società, che pretende competenze e alti standard di vita attraverso modelli in continua evoluzione, e la scuola che, massificandosi, non riesce a dare basi culturali adeguate alle richieste, sia delle famiglie, e sia delle industrie in perenne competizione fra loro.

L’aumento, dunque, della quantità di scolarizzazione richiederebbe misure educative adeguate che spetta attuare alla politica e non a ogni singola scuola sulla base di una non meglio definita autonomia didattica. Infatti, l’istituzione scolastica si basa su due pilastri essenziali ma oggi marcescenti: la selezione del personale e l’incentivazione. «Così come attualmente strutturati, i due pilastri potrebbero funzionare solo se gli insegnanti fossero tutti santi, missionari e dotati naturalmente di caratteristiche perfette e inossidabili per fare il loro lavoro».

E infatti, dal punto di vista della selezione, sono più le sanatorie che i concorsi a permettere la conquista delle cattedre visto che si è consentito di attivare il ciclone dei precari.

Gli stessi concorsi, peraltro, spessissimo esaminano le carte, per evitare ricorsi, invece che le competenze effettive, oltre ad ammiccare alle inevitabili raccomandazioni.

E non solo ancora. Nei programmi concorsuali, poco è richiesto in termini di didattica pura e di psicologia dell’età evolutiva, materie assenti perfino da tanti corsi di laurea che però consentono l’insegnamento. Da qui l’urgenza di cicli di laurea abilitanti a numero rigorosamente chiuso, perché basati sulla effettiva necessità, e con discipline qualificanti come la scienza della didattica e della progettazione, la psicologia, il diritto.

Per quanto riguarda, invece, l’incentivazione del personale, hanno ragione coloro che individuano nella scuola il luogo di imboscamento di gente che a fronte di un magro stipendio svolge poco lavoro, vacanze comprese. Perché alla fine tutto si riduce a questo, quando non c’è differenza né di impegno, né di capacità, né di ruolo. Né ancora si può pensare di incentivare chi ha presentato o gestito più progetti o chi ha svolto più funzioni proprio perché con l’insegnamento nulla hanno a che vedere, anzi spesso distraggono i docenti dalle classi, frustrando le richieste di conoscenza degli alunni, allontanano i ragazzi dagli studi. Né ancora si può lasciare la valutazione del lavoro docente al solo preside, spesso più propenso a sollecitare stesure di progetti che a verificare l’effettivo lavoro dei professori in aula, la loro assiduità, il loro impegno. La soluzione? Alla politica, ma certamente non a quella del vaffa.

PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)







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