«Non sbagliavano i greci,
che li gettavano dalla rupe»
Partecipo da anni, ad inizio anno scolastico, a
collegi di docenti in cui bisogna decidere, a
maggioranza, l’ammissione per la terza volta
consecutiva di allievi bocciati nella stessa classe.
Non entro nel merito ne’ delle valutazioni ne’
delle considerazioni relative a situazioni del
genere che già danno uno spaccato della scuola
italiana pronta a "gettare la spugna" appena
nascono i problemi.
Mi chiedo solo come, una scuola dove si strombazza
da decenni orientamento, promozione
sociale ed umana, prevenzione del disagio adolescenziale,
sostegno psicologico ai giovani, formazione
professionale e culturale con tanto di
piani strutturati, elaborati, masticati da organi,
commissioni, docenti, esperti, ecc., possa escludere
dal processo formativo ed educativo proprio
quelli che maggiormente ne hanno bisogno.
Così è, se vi pare, diceva qualcuno, e non possiamo
proprio farci nulla. Attenzione, ciò avviene
nonostante i corsi di recupero, il sostegno, gli interventi
a pioggia - di denari - di piani di offerta
formativa che dovrebbero stimolare nei ragazzi
il desiderio e la voglia di sapere e sapere
fare (qualcosa nella vita, aggiungerei). Nulla!, se
a ciò aggiungiamo anche che le direttive e gli
sforzi ministeriali da anni sono soprattutto rivolti
alla dispersione scolastica c’è proprio da riflettere
sui risultati fin adesso ottenuti.
Senza mezzi termini, in maniera assolutamente
sbrigativa, il corpo docente, con rare eccezioni,
ha liquidato le richieste di giovani e famiglie
che chiedevano di poter ancora tentare la carta
della formazione, del sapere, del recupero sociale
ed umano, attraverso la scuola, con un burocratico
"non ammesso".
Sappiamo tutti quello che la società offrirà a
questi ragazzi la cui età oscilla tra i 16 ed i 19 anni:
sale giochi dove nella migliore delle ipotesi
saranno preda di spacciatori, bighellonare come
"zombi" nelle piazze alla ricerca del nulla, trascorrere
il tempo nell’ozio più completo senza
alcuna prospettiva se non quella di delinquere
prima o poi. Non mi si venga a dire che la soluzione
potrà essere offerta scegliendo altri istituti
professionali o tecnici o frequentando i corsi
degli Enti di formazione (si fa per dire) perché
vuol dire che non si conosce per nulla la dura
realtà del disagio giovanile.
Data la situazione precaria nel mondo del lavoro
oggi e la difficoltà ad inserirsi con una qualifica
professionale, immaginiamoci cosa si potrà
sperare se non si ha neanche uno straccetto di
diploma. La mia recente esperienza di presidente
di commissione negli esami di stato mi rafforza
ancora di più nella convinzione che siamo,
forse, di fronte un fallimento quasi totale: non
pochi allievi, alla mia domanda su come avevano
vissuto cinque anni di liceo mi hanno candidamente
risposto che per loro era stata una
esperienza "lugubre", nonostante i buoni risultati
sul piano del profitto squisitamente scolastico
(ma la scuola non dovrebbe essere gioiosa,
giocosa, stimolante, gratificante, piacevole oltre
che impegnativa?).
A questo punto mi viene in mente quello che facevano
i Greci quando si accorgevano che un
bimbo era con malformazioni o difetti e non si
sarebbe potuto integrare nella polis, lo annegavano
subito o lo gettavano dalle rupi, forse non
sbagliavano.
FELICE BELFIORE
(da www.lasicilia.it)
«Le istituzioni rispettano anche gli studenti irrispettosi»
Ringrazio di cuore la stampa e
le Tv locali e nazionali per il
sostegno dato all’iniziativa del
sottoscritto, nella qualità di dirigente
scolastico dell’"Amari"
di Giarre, di ridimensionare
con immediatezza e ironia
lo scherzo di pessimo gusto di
uno sparutissimo numero di
studenti. Non saranno certo le
scritte nel cortile o gli avvisi di
prematura scomparsa sui muri
adiacenti alla Scuola a fermare
l’azione educativa e didattica
di chi da trentadue anni
esercita la funzione di «insegnante
di vita», con spirito di
comprensione non disgiunto
da serena fermezza. Da questa
goliardata (?) degli alunni più
vivaci, e forse meno disponibili
allo studio, è emerso con
chiarezza che alcuni studenti
tenterebbero di "spegnere" i
loro presidi, specie se si occupano
capillarmente della loro
crescita umana e culturale,
impedendo loro di farsi del
male. Questa è una generazione
che non vuole «padri» né
reali, né virtuali; che ama la
trasgressività, che non vuole
regole o regolamenti. Ma una
comunità di più di mille persone
ha l’esigenza di autoregolarsi
e, qualora non sia in grado
di farlo, di essere aiutata a
rispettare le norme. Un ringraziamento
particolare al
giornalista Ernesto Romano
per il trafiletto "Società" del
18 Settembre nel quale ha
puntualizzato la «lezione di vita
». Mi auguro che anche quei
pochi allievi che hanno perso
il rispetto per l’Istituzione si
rendano conto che per il loro
preside sono sempre e anzitutto
"persone".
ISIDORO NUCIFORA
(da www.lasicilia.it)