L’informatica nella didattica delle lingue antiche
di Annamaria Braga*
L’insegnamento moderno delle lingue classiche si dibatte fra didattica breve, metodo naturale, metodo tradizionale, alla disperata ricerca di un sistema ideale capace di rendere vivi il Greco e il latino agli occhi di studenti sempre più demotivati. Ma, per quanto ci si sforzi e ci si ingegni, dagli autori di libri di testo ai teorici della didattica per finire ai singoli docenti che quotidianamente si incontrano/scontrano con i loro studenti, tutti si devono inevitabilmente arrendere di fronte a una inoppugnabile realtà: il Latino e il Greco sono lingue morte.
Non pare a tutti così significativo, ed è forse anche frutto di uno sterile snobismo, utilizzare, ad esempio, il latino per conversare fra membri dei circoli filologici, oppure tentare di costruire un nuovo lessico in cui far comparire termini moderni che designano attività e oggetti sconosciuti all’antichità. Se le finalità dello studio delle lingue classiche sono da identificarsi nella consapevolezza delle nostre radici culturali, nell’acquisizione della padronanza della lingua madre e nel raggiungimento di capacità di analisi profonda di un testo, appare chiaro che ogni tentativo di attualizzazione, fenomeno di cui soprattutto il Latino è vittima, è del tutto fuori luogo.
Come allora si possono coinvolgere i nostri studenti, pur restando legati al tradizionale apprendimento della morfosintassi e alla lettura dei classici? Al Liceo “Berchet” c’è chi sta sperimentando con gli studenti di IV ginnasio un approccio insolito, innanzi tutto per il docente, per l’apprendimento del Greco (se l’esperimento funzionerà potrà certamente essere esteso anche al Latino): l’utilizzo della videoscrittura.
È a tutti ormai noto che in Internet sono disponibili siti che forniscono testi antichi, sia in lingua originale sia in traduzione, unità didattiche, percorsi modulari, insomma tutto un apparato di strumenti cui i docenti possono attingere ampiamente e che gli studenti non disdegnano di utilizzare (soprattutto quando forniscono traduzioni da spacciare per proprie il giorno dopo in classe, proprio come si faceva in passato, ricorrendo ai famigerati bigini interlineari che agevolavano e velocizzavano lo studio degli autori). Tutto questo materiale però è utilizzabile soprattutto al triennio, quando gli studenti sono chiamati ad affrontare lo studio della storia della letteratura e la lettura (passando attraverso traduzione, analisi e comprensione) di testi d’autore. Ma nel ginnasio, che fare?
Il primo scoglio per lo studente che affronta il Greco antico è senza dubbio l’apprendimento della fonetica, particolarmente complessa e che prevede fin dall’inizio, oltre all’apprendimento dei fonemi e dei grafemi, quello del sistema degli accenti. Proseguendo nello svolgimento del programma si riscontra una vera e propria ostilità da parte degli studenti non tanto quando si chiede loro di affrontare lo studio di una declinazione o della coniugazione di un verbo (elementi di cui non possono non ammettere l’importanza), ma quando si impone loro la memorizzazione del significato di un certo numero di termini, di quelle parole ad alta frequenza che sono tenuti a conoscere, così come viene loro richiesto nello studio di qualunque lingua. Per vincere la resistenza si possono portare i ragazzi nel laboratorio di informatica.
In una prima fase è stato loro fornito un “font” per la scrittura del Greco antico (in rete se ne possono trovare svariati scaricabili gratuitamente), indispensabile proprio per la grafia di accenti, spiriti, iota sottoscritti che il “font symbol” fornito da Word non permette, dato che il suo utilizzo è finalizzato alla scrittura di formule matematiche, fisiche ecc. Dallo sconcerto gli studenti sono subito passati all’assunzione di un atteggiamento ludico: scoprire la corrispondenza fra la tastiera e i diversi grafemi greci li ha divertiti, e riuscire, dopo pochi minuti, a copiare intere frasi dal loro libro di testo li ha fatti sentire dei grandi grecisti.
Immediatamente si sono resi conto di alcuni elementi importanti: la necessità di prestare la massima attenzione alla correttezza ortografica e l’opportunità di segnare immediatamente gli accenti sulle parole, non come di consueto accade quando gli studenti agiscono manualmente, scrivendo una lunga successione di parole e solo successivamente ritornando sul testo per aggiungere i malefici segnetti. Naturalmente anche con il computer questo è possibile, ma l’operazione fatta così risulta molto lenta.
Nel momento di affrontare la lettura di quanto scritto, immediatamente c’è stato chi, furbescamente, ha commutato il “font” da quello greco a quello in caratteri latini, pensando di trovarsi sullo schermo già pronta la pronuncia esatta: un gioco da ragazzi leggere un testo greco trascritto nel nostro alfabeto! Ma con amara sorpresa si è subito reso conto che laddove la corrispondenza fra i caratteri del “font” greco e del “font” latino non determina fonemi equivalenti, il testo è illeggibile.
Nella seconda fase in laboratorio si è chiesto ai ragazzi di scrivere tutti i termini di cui avrebbero dovuto memorizzare il significato, inserendoli in ordine alfabetico. Ancora una volta l’ordinatore automatico, a cui i più scaltri hanno subito tentato di far ricorso, si è rivelato inutile, dato che la successione delle lettere non corrisponde. Inoltre la necessità di dover continuamente passare da un “font” all’altro per scrivere la traduzione accanto a ogni termine ha rallentato moltissimo il lavoro, obbligando gli studenti a soffermarsi a lungo su ogni parola e in tal modo costringendoli, loro malgrado, a iniziarne la memorizzazione.
Nella terza fase i ragazzi sono stati invitati a utilizzare il computer per tradurre, attuando un sistema di analisi per loro inconsueto. Dopo aver scritto il testo di una frase e averne controllato l’esattezza ortografica, ognuno ha evidenziato i diversi sintagmi con l’uso dei colori: visualizzare ad esempio il sintagma articolo + nome + attributo nominativo in un colore, e accusativo in un altro, ha immediatamente permesso di comprendere la struttura della proposizione, evitando, come spesso accade nel passaggio dall’analisi alla traduzione, di unire un sostantivo con un aggettivo declinati in casi diversi, solo perché in posizione ravvicinata all’interno della frase: il colore differente evidenzia l’errore, bloccando subito lo studente che lo sta commettendo.
Fino ad ora gli studenti hanno reagito positivamente al lavoro di laboratorio: andare in aula-computer per loro significa evitare il rischio di un’interrogazione, poter scambiare qualche parola con i compagni in misura maggiore di quanto potrebbero fare in classe, lavorare sempre in coppia con un amico, aiutandosi reciprocamente e anche divertendosi.
Dal punto di vista del docente va registrato il raggiungimento di alcuni obiettivi disciplinari, quali l’acquisizione di precisione e di attenzione ad ogni fase del proprio lavoro, ottenute non con un noioso lavoro al tavolino, bensì in modo piacevole e libero da ansie.
Certamente esistono anche degli inconvenienti, il più evidente dei quali è l’indubbia difficoltà di gestione di un lavoro laboratoriale da parte dell’insegnante, soprattutto in una scuola come il liceo classico che, per definizione, è quella più legata alla tradizione e alla cultura antica.
Il numero di postazioni normalmente non permette di predisporre un lavoro individuale ed è così necessario programmare attività svolte in coppia dagli studenti. In tal modo anche chi non sta usando materialmente tastiera e mouse è pienamente coinvolto dal lavoro del compagno: suo è il compito di dettatura dei testi e di verifica della correttezza ortografica.
In secondo luogo durante la lezione si crea un certo caos, se vogliamo anche allegro, non c’è insomma il tranquillo “setting” d’aula a cui un docente di lettere classiche è più abituato.
È per tutte queste ragioni che l’attività di laboratorio dissuade la maggior parte dei colleghi dall’intraprenderla : al “Berchet”, su quattordici docenti di lettere di IV ginnasio, solo tre utilizzano il laboratorio per la didattica delle lingue antiche. Molti colleghi, infatti, ritengono il lavoro di laboratorio una perdita di tempo, perché rallenta i tempi di svolgimento del programma e diminuisce il numero delle ore destinate a interrogazioni e verifiche tradizionali.
Forse il maggior deterrente è però il timore di non dimostrarsi all’altezza del lavoro, non essendo dei veri e propri esperti nell’utilizzo del computer, capaci di risolvere ogni problema in cui gli studenti potrebbero imbattersi. A questo proposito non possono non venire alla mente i primi scritti di Roberto Maragliano e di Gianni Calvani sulla rivoluzione operata dalla didattica in laboratorio, sia nel campo dell’apprendimento sia nell’ambito della relazione interpersonale. In realtà, ammettere anche davanti agli studenti le proprie difficoltà nell’utilizzo delle macchine e dei software permette di avvicinare affettivamente i ragazzi e di instaurare con loro un clima di collaborazione: si dà loro modo di vedere il docente non come mostro onnisciente, ma come persona adulta che cerca di affrontare e di risolvere le difficoltà, proprio come si chiede di fare a loro.
Certamente il numero dei docenti di lettere che si avvalgono degli strumenti informatici, anche in ambiti tradizionalmente meno consueti, è in continuo aumento e proprio per questo è fortemente auspicabile un confronto e una collaborazione a distanza su questi temi.
Il presente articolo si propone di suscitare un piccolo dibattito e all’uopo ricorda l’indirizzo del sito da cui è possibile contattare l’autrice: http://www.rivistapragma.it
Subissatela di e-mail!
*docente al Liceo Classico “G. Berchet” di Milano