«Vi prego di smettere di fare progetti e
di dare più peso ai programmi tradizionali"
ha detto il ministro dell’Istruzione
Fioroni rivolgendosi ai docenti
per l’inaugurazione dell’anno scolastico
a Napoli. "Un progettificio permanente
non serve ai ragazzi", ha concluso.
Sante parole che finalmente ribaltano
una prospettiva che si era andata
radicando almeno da un decennio nella
scuola con conseguenze gravissime
e infauste.
Spieghiamo in termini semplici per
quanti non sono pedagogisti di mestiere.
Una teoria sociologica trasferita alla
scuola ordinaria ha suggerito per anni
di lavorare "progettualmente", cioè di
tenere conto molto limitatamente delle
prescrizioni ordinarie e di impegnarsi
maggiormente sulle esigenze
locali o individuali che risultino più
rilevanti.
In una scuola di campagna in cui la
risorsa principale siano i pomodori
importa relativamente poco studiare
la calotta artica e invece è vitale conoscere
quali siano le condizioni climatiche
che favoriscono lo sviluppo dei
vari tipi di agricoltura, quali sono i
mercati mondiali interessati alle produzioni
e alle lavorazioni di pomodori,
quali possano essere le modalità di
marketing del prodotto locale.
Dunque il progetto "pomodoro" potrebbe
avere un peso preponderante
rispetto al normale corso di geografia.
Su questo fondamento che di per sé
non è del tutto peregrino (a condizione
di essere limitato nell’applicazione)
si è fondata invece una filosofia dell’insegnare
che ha trasformato la scuola
italiana in un cantiere di progetti. Si è
progettato (e si continua a farlo tuttora)
di tutto: dai rapporti con le iole
dell’Egeo alla danza celtica, dallo yoga
alle muraglie medievali. E tutto questo
non come attività marginale, ma come
impegno principale di scolari e maestri.
Una preside che voleva mostrare di
essere aggiornatissima, qualche stagione
addietro, affermava con orgoglio
che nella sua scuola si opera solo
per progetti e tutto il resto, cioè l’ordinato
svolgimento del corso di studio
tradizionale, restava solo come fastidioso
ricordo del passato.
Conseguenza: in quella scuola (e in
molte altre) gli alunni sapevano tutto
su Garcia Lorca o sui dromedari (secondo
i progetti ideati dai docenti),
sono partiti per le Bahamas o per la
Bulgaria, mentre il livello delle conoscenze
ordinarie (sapere leggere e scrivere
correttamente, avere rudimenti di
matematica ecc.) è sceso paurosamente.
Va aggiunto che la smania progettifera
dei docenti e di alcuni presidi era
incoraggiata dai sussidi precuniari che
venivano assegnati ai progetti che li
trasformavano in affari economici, o
almeno in una gitarella fuori porta.
Era ora che una voce autorevole si
levasse per frenare le smanie per la
progettatura. Ma ovviamente non basta
levare la voce. Bisognerebbe diradare
i finanziamenti (che quasi sempre
si risolvono in soldi sprecati) e spingere
lo sguardo anche verso l’Università
dove di progetti si vive e si ingrassa.
SERGIO SCIACCA (www.lasicilia.it)