Minigonne e cellulari: «In classe non si sgarra» - Fioroni: «Un argine soprattutto al bullismo»
Data: Martedì, 18 settembre 2007 ore 11:47:21 CEST
Argomento: Rassegna stampa


ROMA. Tutti in classe: dalla Val d’Aosta alla Sicilia, gli studenti italiani sono tornati sui banchi di scuola. Ma già fa discutere il giro di vite sui comportamenti «non corretti» degli studenti, rinvigorito dalle diverse iniziative del ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, dal divieto dei cellulari in classe al piano antibullismo: «Il fenomeno va arginato».

Non è una novità per gli studenti italiani che, a più riprese, hanno fatto i conti con una lunga serie di divieti a volte anche inconsueti, decisi dai singoli istituti. Sul banco degli imputati sono finiti prima di tutto i capi d’abbigliamento più amati dai giovani: dai pantaloni a vita bassa, alle minigonne, dai jeans strappati ai bermuda, al piercing o canottiere troppo corte e magliette «nude look».

Non solo, assieme ai vestiti all’ultima moda, spesso sono stati banditi anche accessori e gadget colpevoli di essere ’fonte di distrazione' per gli studenti: dalla gomma da masticare, alle figurine, fino appunto al cellulare.

Nel campo degli indumenti, il più incriminato è senza dubbio la minigonna. Il rivoluzionario capo introdotto da Mary Quant nel 1964 torna prepotentemente di moda in Italia negli anni Novanta. Le ragazze la indossano senza problemi anche nelle aule scolastiche, e i presidi non ci stanno.

Fa scalpore il caso dell’Istituto professionale per il commercio e turismo di Sanremo, dove il preside Fillo Copelli approva un regolamento che vieta agli studenti di indossare abiti «sconvenienti »: minigonne, ma anche magliette «nude look», pantaloni con gli strappi e scollature eccessive. E nel suo decalogo aggiunge anche il divieto di masticare la gomma americana, di affiggere sui muri manifesti o volantini e di usare il telefono pubblico della scuola. Gli studenti, in maggioranza ragazze, rispondono con tre giorni di sciopero.

Ma il gesto del preside finisce addirittura in Parlamento. Per l’esponente dei Verdi, Athos De Luca, la circolare «viola la libertà di costume», così il senatore presenta al ministro della Pubblica Istruzione un’interrogazione in cui chiede «in base a quali criteri il preside abbia effettuato questa opera di censura nei riguardi di usi e costumi delle nuove generazioni, ormai accettati da tutti». Era il 1996.

Condannano la minigonna anche i presidi di alcune scuole di Genova e Potenza, che scatenano una campagna contro l’abbigliamento «balneare» tra i banchi. Secondo la preside della scuola media «Piero Sentati» di Castelleone, in provincia di Cremona, l’indumento sarebbe colpevole di catalizzare l’attenzione dei ragazzi durante le lezioni. E così anche lei, nel maggio del 2001, la mette al bando assieme a a pantaloncini troppo corti, magliette tipo canottiera, piedi senza calze». E chi non rispetterà la richiesta, sarà rifornito di «abbigliamento di recupero», vestiti d’emergenza pronti per l’occasione.

Non va meglio agli studenti maschi. Soprattutto a chi predilige l’abbigliamento alternativo. Ad aprile del 2003 il preside del liceo artistico «Ferrari» di Morbegno, in provincia di Sondrio, firma una circolare che impone ai ragazzi di «presentarsi con acconciature e abiti formali ». Chi arriva a scuola con «jeans strappati, creste colorate e piercing eccessivi » rischia infatti di non essere ammesso in classe. Alla scuola media statale «Palazzeschi» di Torino l’abbigliamento dei ragazzi è oggetto di un regolamento interno, che invita gli alunni a presentarsi a scuola «vestiti in modo semplice e ordinato, conforme alla serietà dell’ambiente scolastico». Anzi, agli studenti è vivamente consigliato «l’utilizzo della divisa scolastica».

Al liceo Visconti di Roma e in diversi istituti di Milano, scatta il divieto di tenere l’ombelico in vista. Una crociata che viene portata avanti anche in una scuola di Rimini, città notoriamente aperta alle trasgressioni della moda. Passano gli anni, e le raccomandazioni prima e i divieti dopo, si ripetono. Quest’anno i presidi sono già sul piede di guerra: si annunciano mesi difficili.

R. I. (da www.lasicilia.it)







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