ROMA. Tutti in classe: dalla Val d’Aosta alla
Sicilia, gli studenti italiani sono tornati
sui banchi di scuola. Ma già fa discutere
il giro di vite sui comportamenti «non
corretti» degli studenti, rinvigorito dalle
diverse iniziative del ministro della Pubblica
istruzione, Giuseppe Fioroni, dal
divieto dei cellulari in classe al piano antibullismo:
«Il fenomeno va arginato».
Non è una novità per gli studenti italiani
che, a più riprese, hanno fatto i conti
con una lunga serie di divieti a volte anche
inconsueti, decisi dai singoli istituti.
Sul banco degli imputati sono finiti
prima di tutto i capi d’abbigliamento più
amati dai giovani: dai pantaloni a vita
bassa, alle minigonne, dai jeans strappati
ai bermuda, al piercing o canottiere
troppo corte e magliette «nude look».
Non solo, assieme ai vestiti all’ultima
moda, spesso sono stati banditi anche
accessori e gadget colpevoli di essere
’fonte di distrazione' per gli studenti: dalla
gomma da masticare, alle figurine, fino
appunto al cellulare.
Nel campo degli indumenti, il più incriminato
è senza dubbio la minigonna.
Il rivoluzionario capo introdotto da Mary Quant nel 1964 torna prepotentemente
di moda in Italia negli anni Novanta. Le
ragazze la indossano senza problemi anche
nelle aule scolastiche, e i presidi non
ci stanno.
Fa scalpore il caso dell’Istituto professionale
per il commercio e turismo di
Sanremo, dove il preside Fillo Copelli
approva un regolamento che vieta agli
studenti di indossare abiti «sconvenienti
»: minigonne, ma anche magliette «nude
look», pantaloni con gli strappi e scollature
eccessive. E nel suo decalogo aggiunge
anche il divieto di masticare la
gomma americana, di affiggere sui muri
manifesti o volantini e di usare il telefono
pubblico della scuola. Gli studenti,
in maggioranza ragazze, rispondono
con tre giorni di sciopero.
Ma il gesto del preside finisce addirittura
in Parlamento. Per l’esponente dei
Verdi, Athos De Luca, la circolare «viola la
libertà di costume», così il senatore presenta
al ministro della Pubblica Istruzione
un’interrogazione in cui chiede «in
base a quali criteri il preside abbia effettuato
questa opera di censura nei riguardi
di usi e costumi delle nuove generazioni,
ormai accettati da tutti». Era il
1996.
Condannano la minigonna anche i
presidi di alcune scuole di Genova e Potenza,
che scatenano una campagna contro
l’abbigliamento «balneare» tra i banchi.
Secondo la preside della scuola media
«Piero Sentati» di Castelleone, in provincia
di Cremona, l’indumento sarebbe
colpevole di catalizzare l’attenzione dei
ragazzi durante le lezioni. E così anche
lei, nel maggio del 2001, la mette al bando
assieme a a pantaloncini troppo corti,
magliette tipo canottiera, piedi senza
calze». E chi non rispetterà la richiesta,
sarà rifornito di «abbigliamento di recupero», vestiti d’emergenza pronti per
l’occasione.
Non va meglio agli studenti maschi.
Soprattutto a chi predilige l’abbigliamento
alternativo. Ad aprile del 2003 il
preside del liceo artistico «Ferrari» di
Morbegno, in provincia di Sondrio, firma
una circolare che impone ai ragazzi di
«presentarsi con acconciature e abiti formali
». Chi arriva a scuola con «jeans
strappati, creste colorate e piercing eccessivi
» rischia infatti di non essere ammesso
in classe. Alla scuola media statale
«Palazzeschi» di Torino l’abbigliamento
dei ragazzi è oggetto di un regolamento
interno, che invita gli alunni a
presentarsi a scuola «vestiti in modo
semplice e ordinato, conforme alla serietà
dell’ambiente scolastico». Anzi, agli
studenti è vivamente consigliato «l’utilizzo
della divisa scolastica».
Al liceo Visconti di Roma e in diversi
istituti di Milano, scatta il divieto di tenere
l’ombelico in vista. Una crociata che
viene portata avanti anche in una scuola
di Rimini, città notoriamente aperta
alle trasgressioni della moda.
Passano gli anni, e le raccomandazioni
prima e i divieti dopo, si ripetono. Quest’anno i presidi sono già sul piede di
guerra: si annunciano mesi difficili.
R. I. (da
www.lasicilia.it)