L'analisi di Magdi Allam
Testata: Corriere della Sera
Data: 15 settembre 2007
Pagina: 45
Autore: Magdi Allam
Titolo: «Dialogo, ma non con i taglia-lingua»
Ecco l'intervento di Magdi Allam sul caso Tariq Ramadan sul CORRIERE della SERA
di oggi, 15/09/2007, a pag.45.
Giuliano Amato, inserendosi nel dibattito promosso dal Corriere sul dialogo con
i «cattivi maestri» islamici, ha avuto il merito di spostare l'attenzione sulla
realtà interna dell'Occidente, focalizzando il discorso sulla crisi dei valori e
dell'identità e sull'assenza di un modello di convivenza sociale credibile ed
efficiente. Completando così le riflessioni degli esperti favorevoli o
possibilisti al dialogo, Paul Berman, Ian Buruma, Mark Lilla, e i contrari o
scettici, Marc Augé, Pierluigi Battista, Paul Hollander, Christopher Hitchens.
Un dibattito che ha ripreso e alimentato la discussione sulla stampa nazionale
che registra una spaccatura tra i commentatori della Repubblica, Renzo Guolo, e
della Stampa, Gian Enrico Rusconi — che difendono il dialogo — e quelli
dell'Avvenire, Edoardo Castagna, del Foglio, Christian Rocca e Carlo Panella,
infine del Giornale, Massimo Introvigne e Maria Giovanna Maglie, che lo
considerano controproducente.
L'approccio metodologico di Amato è corretto, perché nel rapporto con l'altro,
prima di preoccuparci della realtà altrui, dobbiamo avere la certezza di chi
siamo, in quali valori crediamo e a quale traguardo collettivo aspiriamo. Non
condivido però la sua opzione multiculturalista e la sua tesi sulla possibilità
del dialogo anche con i predicatori islamici ostili all'Occidente che non siano
collusi con il terrorismo. Ritengo che per affrontare correttamente il discorso
del dialogo, è necessario in primo luogo sostanziarne i contenuti e
contestualizzarlo sul piano spaziale e temporale. Perché il dialogo non è e non
può essere un mezzo fine a se stesso. Se in partenza tra i dialoganti non c'è
una piattaforma di valori condivisi e l'intesa del traguardo comune,
inevitabilmente il più violento prevarrà sul più debole. Nel dialogo con gli
interlocutori islamici, noi dobbiamo partire dalle certezze fondanti della
civiltà occidentale, la sacralità della vita, la dignità della persona e la
libertà di scelta dell'individuo. Su questi valori non ci deve essere alcun
compromesso. Così come non possiamo prescindere dalla contestualizzazione
storica. Significa che non possiamo far finta che non ci siano stati l'11
settembre 2001 (attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono), ovvero
l'affermazione del terrorismo suicida islamico a livello globalizzato; l'11
marzo 2004 (strage di Madrid), ovvero la resa dell'Occidente relativista e che
odia se stesso al ricatto dei taglia-gola; il 7 luglio 2005 (attentati di
Londra), ovvero la scoperta dei kamikaze islamici made in Europe; il 2 novembre
2004 (sgozzamento di Theo van Gogh), ovvero l'applicazione della condanna a
morte prescritta dalla sharia per gli apostati e gli infedeli europei, in Europa
e per mano di cittadini europei; il 12 settembre 2006 (la reazione al discorso
del Papa a Ratisbona), ovvero la conferma che l'Occidente si è piegato al diktat
dell' «islamicamente corretto», imposto dai taglia-lingua.
Fondamentalmente non si comprende che la radice del male è ormai interna allo
stesso Occidente, non più nei Paesi musulmani, perché è qui da noi che si attua
quel processo di lavaggio del cervello all'interno delle moschee che, predicando
l'odio e inculcando la fede nel «martirio» islamico, trasforma le persone in
robot della morte. Che illusione, che pena e che catastrofe per questo Occidente
che per salvarsi dai taglia-gola si affida e si rimette all'arbitrio dei
taglia-lingua, che per sopravvivere fisicamente ad Al Qaeda vende l'anima ai
Fratelli Musulmani.
Inconsapevolmente e comunque irresponsabilmente, perché la realtà storica
conferma che il terrorismo e l'estremismo islamico sono due facce della stessa
medaglia. A partire dagli anni Settanta, ovunque i Fratelli Musulmani o sigle
ideologicamente simili abbiano acquisito potere, in Egitto, Algeria, Marocco,
Tunisia, Libia, Yemen, Kuwait, Iraq, Siria, Turchia, Indonesia, Pakistan,
elevando il leit-motiv «Io solo rappresento il vero islam e chi non è mia
immagine e somiglianza è un apostata meritevole della morte», il passo
successivo è stata l'esplosione del terrorismo che preferisce decapitare la
testa del potere anziché praticare il lavaggio di cervello della gente per
mettere solidi radici alla dittatura teocratica.
Per cortesia: occupiamoci di noi occidentali e smettiamola di preoccuparci di
Tariq Ramadan. Gli abbiamo fatto un regalo immenso, lo abbiamo elevato al rango
di una star mediatica accreditandolo come icona dell'islam moderato,
raffigurandolo come un eroe solitario attaccato da ogni lato da un plotone di
esecuzione anti-islamico formato da laicisti e fondamentalisti cristiani ed
ebrei. Al punto che sembra crescere sempre più il partito dei pro-Ramadan,
prevalentemente a sinistra, che si sentono solidali e perfino concordi con le
sue tesi. Partendo dalla condivisione del suo pregiudizio anti-americano e
anti-israeliano, della sua militanza terzomondista e contro la globalizzazione,
finiscono per trovare del tutto accettabile il sostanziale rifiuto della civiltà
occidentale e l'obiettivo di rivoluzionarla attribuendo all'islam, al pari del
cristianesimo e dell'ebraismo, pari dignità e valore come religione fondante e
intrinseca dell'identità europea. Si tratta di uno stravolgimento della realtà
storica e un tentativo di accreditare un'identità ideologizzata dell'Europa,
dove l'islam si presenterebbe come il Cavallo di Troia legittimato a conquistare
dall'interno il Vecchio continente. Questo è il traguardo più ambizioso di
Ramadan, che lui ha scritto e che ripete, ma evidentemente non c'è peggior sordo
di chi non vuol sentire. Così come costa sempre più fatica, dal momento che
l'Occidente rassomiglia alla scimmietta che non sente, non vede e non parla,
ricordare ciò che è del tutto manifesto nel pensiero di Ramadan: la distruzione
di Israele, la legittimazione del terrorismo palestinese e di quello iracheno,
l'aspirazione a un grande Califfato islamico globalizzato.
Questa è la realtà dell'Occidente che non basandosi sulle proprie certezze,
perché non le ha più, si innamora delle certezze dei taglia-lingua islamici,
individuando in esse il punto di inizio per realizzare il mito della società
multiculturale. Prima di immaginare un possibile dialogo costruttivo con
l'altro, l'Occidente deve riconciliarsi con se stesso, riscattare i propri
valori e acquisire una propria identità. Diversamente ci comporteremo come chi
si identifica in Voltaire quando disse: «Signore, io non la penso come lei, ma
mi farei uccidere per far si che possa esprimere il proprio pensiero». Senza
sapere e capire che la risposta degli estremisti islamici è: va benissimo,
suicidatevi!