Qualcuno potrebbe pure dire: «a passo di gambero», come
il libro di Umberto Eco, se non ci fosse di mezzo la
scuola e il futuro dei nostri ragazzi. Tuttavia è un fatto:
c’è un rigurgito forte di passato, da cui la considerazione
che l’architettura scolastica della metà del Novecento
era così salda da fare saltare gli orpelli dei presunti architravi
modernisti. Non ci dilunghiamo a enumerare le
esumazioni fatte (ammissioni, esami di stato e di riparazione,
tabelline, voto di condotta, tempo pieno, recuperi,
ecc. ecc.) ma l’unica vera novità è l’obbligo fino a 16
anni e lo snellimento delle procedure per licenziare i
professori assenteisti, a parte qualche utile difficoltà
messa tra i piedi dei candidati esterni che volessero fare
esami di Stato. In fatto di obbligo, come si ricorderà,
la Moratti lo aveva esteso ma come semplice diritto-dovere
all’istruzione, mentre Fioroni stabilisce che «l’istruzione
impartita per almeno 10 anni è obbligatoria e
finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di
studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica
professionale di durata almeno triennale entro il 18° anno
di età».
In altre parole si fa obbligo di prolungare, dopo la terza
media, di altri due anni la permanenza a scuola o in
uno di quegli istituti di formazione professionale a carico
della Regione. Ma fatta così la legge si è trovato subito
l’inganno persino al programma che l’Unione aveva
presentato in campagna elettorale, perché l’innalzamento
dell’obbligo ha fatto sempre intuire un biennio
comune con aree di indirizzo diversificate in modo da
dare ai ragazzi più tempo per conoscersi e soprattutto
per scegliere se continuare negli studi o se prendere la
via del lavoro insieme alla possibilità di uscire comunque
dalla scuola con un bagaglio più consistente di conoscenze.
L’atteso era dunque di obbligare a frequentare un
biennio scolastico all’interno del quale spiccava pure
l’ulteriore obiettivo di incentivare la lotta alla dispersione
e all’abbandono che hanno raggiunto livelli assai
preoccupanti nonostante gli impegni presi a Lisbona e
nonostante i troppi progetti Pon e Por finanziati a tale
scopo.
Questa scelta del Mpi fa pensare che le disastrate
casse dello Stato non possano assolvere al loro preciso
obbligo né a quello del programma di governo e quindi,
per un verso si entra nel dibattito col fiorone dell’obbligo
all’occhiello, dall’altro si esce con un obbligo all’istruzione
e non di scuola. Tuttavia il Ministro in fatto di finanziamenti
la sa lunga e infatti si gloria di aver messo
sul tappeto ben 64 milioni di euro per il miglioramento
dell’offerta formativa: ma saranno sufficienti, si chiede
Tuttoscuola? Se la cifra si frazione dalla sua roboante totalità
per ogni scuola e quindi per tutte le classi del territorio
nazionale la somma appare il solito contentino
per far bella figura anche se è sempre meglio di niente.
«Se dividiamo i 30 milioni per le attività di recupero
per le circa 93.400 classi, troviamo che ciascuna potrà disporre
di circa 320 euro, con i quali si dovranno compensare
gli insegnanti di diverse discipline. I 9 milioni per
l’apertura pomeridiana delle scuole invece basteranno
a mala pena a compensare gli straordinari del personale Ata. Per i "percorsi di approfondimento dello studio di
Dante", per i quali vengono stanziati 2 milioni, la quota
che spetterebbe a ciascuna scuola sarebbe di meno di
200 euro. Ci si potrà fare, al massimo, una conferenza, o
3-4 lezioni collettive». Se dunque qualche preside aveva
pensato di fare teatrini sul sommo poeta è meglio che dirotti
sul solito docente sempre presente per far niente.
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)