PRESIDE PERSEGUITA PROFESSORESSA: MA IL MOBBING NON E' REATO
Data: Venerd́, 31 agosto 2007 ore 08:45:01 CEST
Argomento: Comunicati


Nel nostro Codice penale non esiste una precisa «figura incriminatrice».

La Cassazione: «Il mobbing non è reato».

Respinto il ricorso di una insegnante campana contro il preside.
 Se non si prova la reiterazione della persecuzione, niente condanna

 Il Corriere della Sera del 29 agosto 2007

 

ROMA - Il mobbing non è reato: il lavoratore, per difendersi dalle vessazioni del datore o dei colleghi, può chiedere il risarcimento del danno in un processo civile o fare una denuncia per maltrattamenti in sede penale. In quest’ultimo caso, tuttavia, dovrà provare la reiterazione della persecuzione e della discriminazione, altrimenti niente condanna. Insomma, nel nostro Codice penale, non esiste una precisa figura incriminatrice per punire il cosiddetto mobbing. È quanto affermato dalla quinta sezione penale della Corte di cassazione che, con la sentenza 33624, ha respinto il ricorso della Procura di Santa Maria Capua Vetere e di un insegnante che aveva denunciato il presidente per mobbing contro la sentenza di non luogo a procedere emessa dal Gup.

FIGURA ASSENTE NEL CODICE - Sia la professoressa sia la pubblica accusa avevano parlato negli atti processuali di mobbing, figura però assente nel nostro Codice penale. Infatti, hanno chiarito i giudici di legittimità, «la difficoltà di inquadrare la fattispecie in una precisa figura incriminatrice, mancando in seno al Codice penale questa tipicizzazione, deriva dalla erronea contestazione del reato da parte del pubblico ministero. Infatti, l’atto di incolpazione è assolutamente incapace di descrivere i tratti dell’azione censurata. La condotta di mobbing - spiega ancora il Collegio - suppone non tanto un singolo atto lesivo, ma una mirata reiterazione di una pluralità di atteggiamenti, anche se non singolarmente connotati da rilevanza penale, convergenti sia nell’esprimere l’ostilità del soggetto attivo verso la vittima sia nell’efficace capacità di mortificare e di isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro».

IL CASO PARTICOLARE - Nel caso specifico, inoltre, il pm non aveva contestato azioni reiterate e continuative ma solo casi di diffamazione, ingiuria e una pluralità di gesti ostili non specificati; azioni prive in sé, secondo la Corte, di potenzialità direttamente lesive dell'integrità della vittima o di riscontri obiettivamente dimostrabili.

MALTRATTAMENTI - Al più il preside avrebbe potuto essere condannato per maltrattamenti, ma l’insegnante non è riuscita a provare la continuità nel tempo delle vessazioni subite e la correlazione con la patologia lamentata. Infatti, «la figura di reato maggiormente prossima ai connotati caratterizzanti il cosiddetto mobbing è quella descritta dall’articolo 572 c.p. (maltrattamenti, ndr) commessa da persona dotata di autorità per l’esercizio di una professione».

ULTIMI IN EUROPA - L'Italia è fanalino di coda nella lotta al mobbing tra i Paesi europei. «È l'unico Paese europeo che non ha una legge sul mobbing e che dunque non lo prevede come reato - denuncia Fabio Massimo Gallo, presidente della prima sezione lavoro del tribunale di Roma, ed esperto della materia -. Eppure, c'è una delibera del Consiglio d'Europa del 2000 che vincola tutti i Paesi a dotarsi di una normativa antimobbing».
  Comunicato stampa.
 Mobbing: mancano leggi efficaci.

dall'Ufficio stampa della Gilda degli Insegnanti, 30 agosto 2007

 
“La sentenza della Corte di Cassazione dimostra come la legislazione italiana sia insufficiente per contrastare il mobbing, un fenomeno che spesso assume caratteri molto gravi, rischia di danneggiare profondamente i lavoratori dipendenti e che, secondo quanto è stato rilevato, colpisce in modo particolare gli insegnanti”.

 Così il coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, Rino Di Meglio, commenta la decisione della Suprema Corte di rigettare il ricorso di una docente contro il non luogo a procedere nei confronti di un preside stabilito dal gip di Santa Maria Capua Vetere. Secondo i magistrati, infatti, la fattispecie non è contemplata dal nostro codice penale e, quindi, il mobbing non è considerato un reato.

 “Nei casi più gravi – afferma Di Meglio – il nostro ordinamento giudiziario non prevede sanzioni penali a carico dei datori di lavoro che vessano i propri dipendenti, rinviando la questione alla giustizia civile, con la conseguenza che i tempi si allungano molto per ottenere il risarcimento. E così – conclude il coordinatore nazionale – una causa per mobbing può durare anche dieci anni, un’attesa estenuante che umilia e danneggia ulteriormente le vittime”.


Roma, 30 agosto 2007
 
Ufficio stampa Gilda Insegnanti
 






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