Esami di Stato: Quanto è difficile giudicare gli alunni
Data: Lunedì, 20 agosto 2007 ore 13:01:29 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Dato ormai per scontato che la scuola provvede poco perfino a soffiare nell’animo dei ragazzi il piacere della lettura, visto che ben il 67% della popolazione meridionale ha dichiarato di non aver mai letto un libro, riprendiamo il filo della delicata questione degli esami di stato da poco conclusi.

La lamentela principe riguarda il giudizio finale che non rispecchierebbe spesso la preparazione effettiva del candidato nonostante il voto di ammissione e i crediti, per colpa evidente di professori poco rigorosi e scadenti giudici.

Ma oltre a queste ingiustizie si sono pure notate differenze di valutazione fra una commissione e l’altra e fra una scuola e l’altra, dimostrando con ciò che non esistono standard uniformi di giudizio né all’interno di una stessa commissione né fra commissioni diverse a livello nazionale, mentre taluni docenti permissivi coi propri alunni diventano pignoli e attaccabrighe con gli altri. Cosicché capita volentieri che ragazzi con un buon curriculum scolastico crollino e certi asinacci volino oltre l’insperato.

Di ricette per evitare tante sperequazioni se ne sono scritte molte a cominciare dall’abolizione dell’esame stesso e continuando con l’immediata proclamazione del voto a conclusione di ogni prova o alla composizione della commissione tutta esterna, ma si tralascia di studiare il vero nodo del problema che è la certificazione delle competenze.

Fino a quando infatti si tratterà di giudicare un alunno con un voto unico e onnicomprensivo dell’intero percorso scolastico non ci sarà mai equità di giudizio qualunque strategia venga posta in essere. Per raggiungere una il più possibile equa scala di valutazione occorrerebbe invece che il Ministero fissasse per ogni materia livelli di competenza uniformi, così come avviene con le lingue straniere i cui parametri valutativi sono stati elaborati dal Consiglio europeo e ribaditi dalle linee guida per l’insegnamento, cosicché un corso di lingue svolto a Londra o a Berlino ha lo stesso valore di certificazione in qualsiasi parte d’Europa.

Fatto questo accorrerebbe affidare l’esame di stato a una commissione tutta esterna che, a conclusione delle prove rese oggettive dal Ministero, rilasciasse un documento con tanti voti quante sono le materie sottoposte a esame (non necessariamente tutte) in modo che l’alunno possa poi spendere il proprio titolo a seconda dei suoi bisogni e dei suoi progetti. Con un tale certificato si eviterebbe pure lo strazio delle bocciature, a meno che il candidato abbia tante insufficienze da consigliargli di ripetere l’anno, e l’ormai inconcludente valore legale del diploma.

Qualche studioso di scuola tuttavia, consapevole che il voto unico difficilmente verrà soppresso e che l’esame di stato si svolgerà sempre così come lo conosciamo, propone che gli scritti siano consegnati in busta chiusa, come avviene nei concorsi, e corretti da docenti esterni esperti in docimologia (l’arte che studia i metodi e i criteri di valutazione del profitto scolastico e delle prove d’esame) e che la terza prova sia quantomeno elaborata non già da ogni commissione ma a livello provinciale o comunque distrettuale anche per capire se i programmi sviluppati nel corso dell’anno dai singoli docenti abbiano uniformità di contenuti.

Interessante è la proposta di assegnare almeno 40/100 alla carriera scolastica, 45 alle prove scritte e solo 15 all’orale dove si verificano le più contestate disparità. Resta tuttavia sempre ferma la delicatezza che il mestiere di insegnante porta con sé, non solo per l’educazione e la formazione dei giovani, ma anche per la loro valutazione.

Giudicare è sempre difficile e farlo ogni giorno talvolta è pure gravoso.

PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)







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