Dato ormai per scontato che la scuola provvede poco
perfino a soffiare nell’animo dei ragazzi il piacere della lettura,
visto che ben il 67% della popolazione meridionale
ha dichiarato di non aver mai letto un libro, riprendiamo
il filo della delicata questione degli esami di stato da poco
conclusi.
La lamentela principe riguarda il giudizio finale che non
rispecchierebbe spesso la preparazione effettiva del candidato
nonostante il voto di ammissione e i crediti, per
colpa evidente di professori poco rigorosi e scadenti giudici.
Ma oltre a queste ingiustizie si sono pure notate differenze
di valutazione fra una commissione e l’altra e fra
una scuola e l’altra, dimostrando con ciò che non esistono
standard uniformi di giudizio né all’interno di una stessa
commissione né fra commissioni diverse a livello nazionale,
mentre taluni docenti permissivi coi propri alunni
diventano pignoli e attaccabrighe con gli altri. Cosicché
capita volentieri che ragazzi con un buon curriculum
scolastico crollino e certi asinacci volino oltre l’insperato.
Di ricette per evitare tante sperequazioni se ne sono
scritte molte a cominciare dall’abolizione dell’esame stesso
e continuando con l’immediata proclamazione del voto
a conclusione di ogni prova o alla composizione della
commissione tutta esterna, ma si tralascia di studiare il
vero nodo del problema che è la certificazione delle competenze.
Fino a quando infatti si tratterà di giudicare un
alunno con un voto unico e onnicomprensivo dell’intero
percorso scolastico non ci sarà mai equità di giudizio
qualunque strategia venga posta in essere. Per raggiungere
una il più possibile equa scala di valutazione occorrerebbe
invece che il Ministero fissasse per ogni materia livelli
di competenza uniformi, così come avviene con le
lingue straniere i cui parametri valutativi sono stati elaborati
dal Consiglio europeo e ribaditi dalle linee guida per
l’insegnamento, cosicché un corso di lingue svolto a Londra
o a Berlino ha lo stesso valore di certificazione in qualsiasi
parte d’Europa.
Fatto questo accorrerebbe affidare l’esame di stato a
una commissione tutta esterna che, a conclusione delle
prove rese oggettive dal Ministero, rilasciasse un documento
con tanti voti quante sono le materie sottoposte a
esame (non necessariamente tutte) in modo che l’alunno
possa poi spendere il proprio titolo a seconda dei suoi bisogni
e dei suoi progetti. Con un tale certificato si eviterebbe
pure lo strazio delle bocciature, a meno che il candidato
abbia tante insufficienze da consigliargli di ripetere
l’anno, e l’ormai inconcludente valore legale del diploma.
Qualche studioso di scuola tuttavia, consapevole che il voto
unico difficilmente verrà soppresso e che l’esame di stato
si svolgerà sempre così come lo conosciamo, propone
che gli scritti siano consegnati in busta chiusa, come avviene
nei concorsi, e corretti da docenti esterni esperti in
docimologia (l’arte che studia i metodi e i criteri di valutazione
del profitto scolastico e delle prove d’esame) e che
la terza prova sia quantomeno elaborata non già da ogni
commissione ma a livello provinciale o comunque distrettuale
anche per capire se i programmi sviluppati nel corso
dell’anno dai singoli docenti abbiano uniformità di contenuti.
Interessante è la proposta di assegnare almeno 40/100
alla carriera scolastica, 45 alle prove scritte e solo 15 all’orale
dove si verificano le più contestate disparità. Resta
tuttavia sempre ferma la delicatezza che il mestiere di insegnante
porta con sé, non solo per l’educazione e la formazione
dei giovani, ma anche per la loro valutazione.
Giudicare è sempre difficile e farlo ogni giorno talvolta è
pure gravoso.
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)