Se si eccettua l’interessante contributo dato dal
recente convegno delle ACLI, il messaggio alla
Comunità di Mons. Gristina sull’emergenza giovani
non ha avuto alcun seguito. Eppure, abbiamo
ancora sotto gli occhi l’orrendo spettacolo
del 2 febbraio quando, attorno allo stadio di
Catania, una barbara guerriglia è culminata nella
assurda uccisione dell’ispettore Raciti. Nei
giorni seguenti ci sono stati 50 arresti, una metà
dei quali, minorenni. Gli altri, comunque, con
un’età compresa tra i 19 e i 29 anni. Al bombardamento
mediatico durato alcune settimane,
nel quale si è evocata la barbarie, la repressione
e l’inasprimento delle pene, è seguito un grave
silenzio, come se il problema non esistesse più.
Bisogna che ci decidiamo a prendere coscienza
delle nostre responsabilità, prima che sia troppo
tardi. Tanti giovani dei quali ci lamentiamo,
piuttosto che costituire la parte malata della
società sono, piuttosto, il frutto di una società
malata, della quale pagano le spese. Di quel che
fanno sono responsabili e dovranno renderne
conto: ma di chi è la colpa?
Abbiamo il coraggio di ammetterlo: il malessere
e le malefatte dei giovani manifestano la
sconfitta di noi adulti, la sconfitta di tutta la società.
Della famiglia permissiva, anzitutto, che
non educa al sacrificio, è spesso impreparata, divisa
o assente, incapace di ascoltare, dialogare,
offrire modelli significativi e che, a volte, gioca
un ruolo addirittura negativo. Della scuola, oggi
delegittimata, che svolge il suo programma,
incapace, tante volte, di interessare i giovani e di
formarli alla vita, con insegnanti non sempre
motivati e all’altezza del loro compito. Delle
parrocchie e degli oratori che, frequentemente,
non sanno cercare e attirare i giovani perchè
non parlano il loro linguaggio e non riescono a
comunicare Dio e i valori come senso pieno
della vita. Degli amministratori, che offrono il
triste spettacolo di un incessante scontro politico
e consegnano alle nuove generazioni città
quasi sempre allo sfascio e periferie dove si socializza
la cultura della violenza. Dei dirigenti
delle società sportive che spesso vengono a patti
con gli ultras e degli stessi giocatori, talvolta
rissosi e violenti, che sanno sputare in faccia all’avversario
e mollare testate, quasi fossero bull
dozzer, piuttosto che uomini. Della società senza
valori, che predica arrivismo, strapotere, sopraffazione
e la cultura del tutto e subito, mentre
non dà niente, se non il vuoto, scatenando la
voglia di rivalsa e la rabbia dei giovani.
Se ci guardiamo attorno, ci rendiamo poi conto
che le politiche giovanili con i relativi finanziamenti,
sembrano tornare utili più agli operatori,
che ai destinatari. Manca, infine, il lavoro,
spegnendo la speranza di futuro e creando
sconforto o lo si trova solo precario, alienante e
sfruttato, così da spingere a sopportare il giorno
aspettando la notte e la settimana in attesa della
domenica, per liberarsi dalle frustrazioni, dare
spazio ad un protagonismo altrimenti negato
e potersi sfogare per tutto quello che si è costretti
a ingoiare giorno dopo giorno. "Si sentono
fregati dalla vita, ha affermato don Di Leo,
parroco alla periferia di Misterbianco (CT), e
per questo si ribellano".
Don Chàvez, che dirige i salesiani nel mondo,
scrive: "Percorrendo le strade di Torino e visitando
le carceri, Don Bosco comprese che i giovani
cercano la felicità, desiderano sentirsi accolti
e apprezzati. E se vivono la loro aspirazione
seguendo vie sbagliate che li conducono fino
al carcere, non è perché siano cattivi, ma perché
non trovano persone che credano in loro e che
li aiutino a sviluppare positivamente le proprie
energie e qualità. È dunque urgente accompagnare
e proteggere la vita minacciata di tanti
giovani che si dibattono nella violenza, nella
povertà, nell’emarginazione, nella sofferenza,
nel vuoto di ideali e del nonsenso". Prima che sia
troppo tardi, poniamoci accanto ai giovani per
aiutarli a comprendere che la lontananza da
Dio, il successo, il denaro, il potere e la violenza
non portano da nessuna parte.
Non bastano le conferenze e le marce per la legalità:
bisogna scommettere sull’educazione
che, per sei italiani su dieci, rappresenta la prima
emergenza. La gioventù cresce solo se sognata
e se aiutata a sognare, a intravedere possibilità
nuove e migliori di quelle sperimentate:
questa è la grande arte educativa. I giovani devono
poter percepire che abbiamo fiducia in
loro, in ciascuno di loro, e che possono essere
migliori. Ma, per la complessità del problema, è
indispensabile intervenire come sistema, perché
la paglia che non è legata insieme, il vento
la disperde. Guai, se al precedente diluvio di parole
non facessimo seguire i fatti: gesti concreti
non occasionali, ma inseriti in un progetto
complessivo, condiviso da più parti. Decidiamo
di osare la speranza e organizziamola.
Mettiamo su una costituente educativa permanente
che veda impegnati, in rete, tutte le agenzie
educative. Un "progetto giovani" provinciale
che si articoli nelle circoscrizioni e nei paesi e
veda concertare e operare insieme, famiglia,
scuola, chiesa locale, altre agenzie educative,
amministratori e gli stessi giovani, quali protagonisti.
Solo così mostreremo d’aver capito che non è
questione di tornelli allo stadio e l’ispettore Raciti
non sarà morto invano.
DON ENZO GIAMMELLO
salesiano
(da www.lasicilia.it)