Il malessere dei giovani (o della società?)
Data: Mercoledì, 08 agosto 2007 ore 19:59:20 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Se si eccettua l’interessante contributo dato dal recente convegno delle ACLI, il messaggio alla Comunità di Mons. Gristina sull’emergenza giovani non ha avuto alcun seguito. Eppure, abbiamo ancora sotto gli occhi l’orrendo spettacolo del 2 febbraio quando, attorno allo stadio di Catania, una barbara guerriglia è culminata nella assurda uccisione dell’ispettore Raciti. Nei giorni seguenti ci sono stati 50 arresti, una metà dei quali, minorenni. Gli altri, comunque, con un’età compresa tra i 19 e i 29 anni. Al bombardamento mediatico durato alcune settimane, nel quale si è evocata la barbarie, la repressione e l’inasprimento delle pene, è seguito un grave silenzio, come se il problema non esistesse più.

Bisogna che ci decidiamo a prendere coscienza delle nostre responsabilità, prima che sia troppo tardi. Tanti giovani dei quali ci lamentiamo, piuttosto che costituire la parte malata della società sono, piuttosto, il frutto di una società malata, della quale pagano le spese. Di quel che fanno sono responsabili e dovranno renderne conto: ma di chi è la colpa?

Abbiamo il coraggio di ammetterlo: il malessere e le malefatte dei giovani manifestano la sconfitta di noi adulti, la sconfitta di tutta la società.

Della famiglia permissiva, anzitutto, che non educa al sacrificio, è spesso impreparata, divisa o assente, incapace di ascoltare, dialogare, offrire modelli significativi e che, a volte, gioca un ruolo addirittura negativo. Della scuola, oggi delegittimata, che svolge il suo programma, incapace, tante volte, di interessare i giovani e di formarli alla vita, con insegnanti non sempre motivati e all’altezza del loro compito. Delle parrocchie e degli oratori che, frequentemente, non sanno cercare e attirare i giovani perchè non parlano il loro linguaggio e non riescono a comunicare Dio e i valori come senso pieno della vita. Degli amministratori, che offrono il triste spettacolo di un incessante scontro politico e consegnano alle nuove generazioni città quasi sempre allo sfascio e periferie dove si socializza la cultura della violenza. Dei dirigenti delle società sportive che spesso vengono a patti con gli ultras e degli stessi giocatori, talvolta rissosi e violenti, che sanno sputare in faccia all’avversario e mollare testate, quasi fossero bull dozzer, piuttosto che uomini. Della società senza valori, che predica arrivismo, strapotere, sopraffazione e la cultura del tutto e subito, mentre non dà niente, se non il vuoto, scatenando la voglia di rivalsa e la rabbia dei giovani.

Se ci guardiamo attorno, ci rendiamo poi conto che le politiche giovanili con i relativi finanziamenti, sembrano tornare utili più agli operatori, che ai destinatari. Manca, infine, il lavoro, spegnendo la speranza di futuro e creando sconforto o lo si trova solo precario, alienante e sfruttato, così da spingere a sopportare il giorno aspettando la notte e la settimana in attesa della domenica, per liberarsi dalle frustrazioni, dare spazio ad un protagonismo altrimenti negato e potersi sfogare per tutto quello che si è costretti a ingoiare giorno dopo giorno. "Si sentono fregati dalla vita, ha affermato don Di Leo, parroco alla periferia di Misterbianco (CT), e per questo si ribellano".

Don Chàvez, che dirige i salesiani nel mondo, scrive: "Percorrendo le strade di Torino e visitando le carceri, Don Bosco comprese che i giovani cercano la felicità, desiderano sentirsi accolti e apprezzati. E se vivono la loro aspirazione seguendo vie sbagliate che li conducono fino al carcere, non è perché siano cattivi, ma perché non trovano persone che credano in loro e che li aiutino a sviluppare positivamente le proprie energie e qualità. È dunque urgente accompagnare e proteggere la vita minacciata di tanti giovani che si dibattono nella violenza, nella povertà, nell’emarginazione, nella sofferenza, nel vuoto di ideali e del nonsenso". Prima che sia troppo tardi, poniamoci accanto ai giovani per aiutarli a comprendere che la lontananza da Dio, il successo, il denaro, il potere e la violenza non portano da nessuna parte.

Non bastano le conferenze e le marce per la legalità: bisogna scommettere sull’educazione che, per sei italiani su dieci, rappresenta la prima emergenza. La gioventù cresce solo se sognata e se aiutata a sognare, a intravedere possibilità nuove e migliori di quelle sperimentate: questa è la grande arte educativa. I giovani devono poter percepire che abbiamo fiducia in loro, in ciascuno di loro, e che possono essere migliori. Ma, per la complessità del problema, è indispensabile intervenire come sistema, perché la paglia che non è legata insieme, il vento la disperde. Guai, se al precedente diluvio di parole non facessimo seguire i fatti: gesti concreti non occasionali, ma inseriti in un progetto complessivo, condiviso da più parti. Decidiamo di osare la speranza e organizziamola.

Mettiamo su una costituente educativa permanente che veda impegnati, in rete, tutte le agenzie educative. Un "progetto giovani" provinciale che si articoli nelle circoscrizioni e nei paesi e veda concertare e operare insieme, famiglia, scuola, chiesa locale, altre agenzie educative, amministratori e gli stessi giovani, quali protagonisti. Solo così mostreremo d’aver capito che non è questione di tornelli allo stadio e l’ispettore Raciti non sarà morto invano.

DON ENZO GIAMMELLO salesiano

(da www.lasicilia.it)







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